2021-11-21
Alessandro Squarzi: «I miei cappotti passano di padre in figlio»
Alessandro Squarzi (Getty Images)
Il patron di Fortela: «Le persone hanno capito che buttare i soldi stagione dopo stagione non serve e scelgono abiti di qualità. Oggi la meritocrazia conta sempre meno in questo settore: a causa dei social, emerge soltanto chi è più abile a comunicare».Doveva essere «Tela Forte», come è nel dna di Alessandro Squarzi, eclettico imprenditore di stile, che di stoffe decise, con personalità innegabile ne ha fatto un credo. «Ma non era registrabile», racconta. Così, invertendo le parole e unendole, è nato «Fortela», brand da intenditori, da veri cultori di un'eleganza che non teme confronti, adatta a uomini (e da poco anche a donne) che non vogliono confondersi nella folla del nulla, convinti che la moda sia un fatto distintivo. Snob? Forse. Per pochi? Senza dubbio. Ma sta lì il bello. È la passione che muove una moda che non si scopre per caso?«Passione è il termine giusto, che ho fin da ragazzo. Ho realizzato un sogno dopo un precorso iniziato dai piani bassi, facendo il commesso a Forlì nel 1992, poi l'agente e il rappresentante per tanti anni fino a quando, nel 1999, è nato Dundup, marchio di jeans, che mi ha dato la possibilità di entrare nella produzione, nei tessuti, nei materiali, di capire cosa vuol dire fare impresa nel mondo dell'abbigliamento».Oggi, cuore e passione bastano per sfondare in questo settore?«No, perché è venuta meno la meritocrazia. Con questa nuova formula di comunicazione che è Instagram non sei più bravo per quello che realmente sei ma sei bravo per quello che comunichi. Magari c'è quello con una marcia in più ma non è capace di comunicare e non viene nemmeno notato e quello meno bravo nella qualità e nel prodotto ed bravo a comunicarlo. Chi vince è lui».Lei è bravissimo a comunicare, quasi 280.000 follower su Instagram non sono uno scherzo.«Sono quasi dieci anni che ci siamo, sono stato uno dei primi. È chiaro che negli anni la gente ha dato peso e valore a chi ha comunque una storia da raccontare e qualcosa di credibile da far vedere nel tempo. Ora la comunicazione è velocissima, very fast e tutto si brucia».Chi segue il suo profilo?«Ho una marea di ragazzi tra i 25 e i 35 anni che rappresentano il range più grande, veri affezionati. Mi scrivono, mi chiedono consigli e io rispondo a tutti. Hanno piacere di vedere i look, le scarpe, gli oggetti. Il mio core business per fortuna non è Instagram, c'è chi ha fatto i blog e i post a pagamento mentre quello che posto è tutta roba mia. Se taggo un Tudor è perche l'ho comperato e non perché me lo hanno regalato. Ieri ho acquistato uno Squale, marchio storico milanese, un bellissimo orologio e ho avuto il piacere di fotografarlo. Non ha idea di quanti pacchi ho mandato indietro dove mi chiedevano di postare i loro prodotti. Sono molto talebano. Ovviamente c'è Fortela». Quando nasce Fortela?«Nel 2012, il mio brand, una collezione totalmente creata da me con tutti gli sforzi annessi e connessi. È sempre stata una gara in salita perché quando non rincorri le mode e fai delle cose con più contenuto che facciata, farsi comprendere è più difficile. Un prodotto fatto bene, bello, non identificativo, classico non è facile e oggi iniziamo a raccogliere frutti meravigliosi perché forse la gente ha capito che buttare i soldi stagione dopo stagione non serve». Qual è il valore aggiunto del marchio?«Rispondo con un episodio. Abbiamo fatto un pop up a Londra di Fortela circa venti giorni fa e un ragazzo mi ha scritto che sarebbe passato a salutarmi anche perché aveva acquistato un nostro capotto Winston ed era entusiasta. Poi mi ha riscritto che non poteva perché doveva stare con il suo bimbo di due mesi che, parole sue, avrebbe ereditato il mio cappotto. Questo significa che le persone recepiscono il mio messaggio. In più, grazie a Franz Botrè che mi ha voluto quale giudice nella competizione di sarti di Arbiter, ora, in negozio, si alterneranno tre sarti per il su misura».Una moda di valore, quindi?«Sono attentissimo, se le cose che arrivano in negozio non sono perfette le rimando indietro. Stiamo lanciando il nuovo cappotto che uscirà a fine mese che ho chiamato Balbo in onore di Italo Balbo, dalla storia dell'Italia e dal mondo militare. L'anno scorso avevamo fatto il Winston che era quello che portava Churchill, doppio petto inglese sia militare che civile. Quest'anno ho voluto dedicarlo all'Italia ed è il paltò usato fino agli anni '80 dai militari. Tessuti riciclati, lane riciclate. Fare capi che non getti, che non inquinano, è una forma di rispetto dell'ambiente».Tante cose le prende dal suo famoso archivio?«Al 90%. Un archivio a Forlì, dove ci sono tra i 5 e i 6.000 capi. E ci capisco solo io perché so dove mettere le mani. In tanti mi chiedono di visitarlo ma è inutile, li porterei in un capannone dove tutto è imbustato».Forlì città del cuore?«Sì, c'è ancora mio padre che segue i cavalli, grande appassionato».Il mondo dell'ippica, dove c'è un'eleganza molto rigorosa, potrebbe averla influenzata nelle sue scelte?«Faccio monta western, più cow boy. Ma se penso al mio babbo, il mio idolo, è sempre stato estremamente elegante in tutti i sensi, sia nel modo di vestire che di porsi con le persone. Credo che quella sia stata una grande scuola. Molto pacato a differenza di mia mamma, una leonessa. Luciano e Nadia, ho loro foto bellissime. Veniamo da una famiglia di persone umili che ci hanno insegnato l'onestà e il comportarsi bene. Con mio fratello siamo molto uniti, lavora con me».Fortela la rispecchia totalmente, ora non solo collezione da uomo ma anche da donna«Total look sia maschile che femminile, quest'ultima disegnata da Alessia Giacobino. Abbiamo anche aperto il negozio a Milano dedicato alla donna».Produzione?«Made in Italy totalmente».Quando inizia l'avventura con Fay?«Parlando con Michele Lupi, curatore del progetto, ha individuato me, quale esperto di vintage, per il miglior rilancio di Fay, dove si voleva esaltare, giustamente, la storicità del capo. Ha fatto il mio nome a Diego Della Valle e da lì tutto è partito. Una collaborazione meravigliosa che ha coronato un lavoro sul vintage di tanti anni, sono fiero di lavorare per questa azienda».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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