
Nel dossier sul bilancio le spese pazze per il Covid. Censurato il Qatargate. Molestie, 25 onorevoli nel mirino.Il Parlamento europeo ha speso quasi 6 milioni per i centri di controllo Covid nel 2021, destinandone 5 milioni e mezzo solo a Bruxelles, mentre il resto è stato utilizzato tra il Lussemburgo e Strasburgo. Vanno aggiunti poi altri 600.000 euro per i rilevatori di temperatura corporea, anche se di questi almeno 40 (insieme a 4 telecamere) giacciono nei depositi. Eppure, «durante l’estate» del 2021 «accadeva spesso che alle persone fosse negato l’accesso a causa dell’elevata temperatura esterna anche se non aveva nulla a che fare con la febbre alta». Questa è sola una parte dell’approvazione finale del Parlamento europeo rispetto al modo in cui è stato attuato il bilancio dell’Ue per il 2021.Si tratta di una sorta di bilancio consuntivo sull’operato rispetto alle priorità politiche del Parlamento europeo. In pratica ogni anno, la commissione Controllo dei bilanci verifica come la Commissione europea e le altre istituzioni e agenzie europee abbiano attuato il bilancio dell’Ue e prepara la decisione del Parlamento che concede il discarico per ogni esercizio finanziario ed una relazione allegata, spesso di stampo politico. Il documento insiste sul fatto che parte del bilancio sia stato alleggerito durante la pandemia, ma allo stesso tempo evidenzia diversi sprechi. Il documento è una miniera d’oro per capire come si spendono i soldi dei contribuenti. E proprio sulla gestione dell’emergenza pandemica, il relatore sentenzia che non è stato possibile valutare «l’efficacia dei controlli della temperatura corporea o l’acquisto dell’attrezzatura» e poi «ricorda il principio secondo cui qualsiasi utilizzo di denaro pubblico dovrebbe sempre consentire un controllo sulla regolarità della spesa e sull’efficacia del suo utilizzo». Insomma, a Strasburgo hanno speso male i soldi per fronteggiare il Covid e lo ammettono senza problemi.Nella relazione si fa riferimento anche alle spese per gli interpreti. Ai sensi del regolamento, infatti, gli eurodeputati hanno il diritto di parlare nella loro lingua. Questo comporta un notevole impiego di risorse, spesso sovra utilizzate e senza neppure un adeguato equipaggiamento. Secondo una ricerca interna, infatti, diversi interpreti avrebbero lamentato la scarsa qualità di microfoni e cuffie. Così, da giugno a ottobre 2022, gli interpreti hanno indetto uno sciopero per «migliorare le condizioni di lavoro». Mesi in cui il Parlamento Ue ha fatto ricorso «a servizi di interpretazione esterni, per un costo totale di 47.324 euro». E questa «decisione ha messo a repentaglio gli standard di qualità delle traduzioni [...] e [...] ha ostacolato il diritto di sciopero dei lavoratori», riconosciuto invece dal Trattato di Lisbona. La relazione si sofferma poi sui casi di corruzione. Non fa nomi e cognomi, ma si limita a raccomandare «una «formazione anticorruzione e trasparenza» per deputati e collaboratori con l’obiettivo «di garantire che i membri agiscano senza alcuna indebita influenza […] mediante una rigorosa regolamentazione delle attività retribuite durante il mandato, regali o inviti di viaggio». Sottolinea inoltre la necessità di avere «norme più rigorose e maggiore trasparenza dei redditi collaterali dei deputati al fine di evitare conflitti di interesse». E si sofferma quindi anche sui casi della Ong Fight Impunity e No Peace Without Justice di Antonio Panzeri, rammaricandosi «che il Servizio di ricerca del Parlamento europeo abbia organizzato una conferenza di due giorni nel giugno 2022 insieme a queste due organizzazione non governative, nonostante non fossero iscritte al Registro per la trasparenza». E passiamo al capitolo molestie. Negli ultimi 11 anni sono state registrate almeno 25 violazioni del codice di condotta da parte degli eurodeputati, e «i presidenti del Parlamento non hanno mai imposto loro (loro, ndr) alcuna sanzione finanziaria». Nel 2021 sono stati aperti ben sei procedimenti per molestie (quattro erano pendenti dal 2020). Il 25 maggio scorso ne è stato aperto un altro, questa volta per le accuse di molestie nei confronti della deputata europea belga Assita Kanko. Ma la relazione lancia anche altri allarmi, come i rischi che corre il fondo pensione che ha un deficit di 300 milioni e rischia di andare esaurito entro il 2025. Oppure ancora si sofferma sul curioso caso di un viaggio a Cuba che, per legge, deve essere organizzato dall’agenzia interna al Parlamento Europeo. Peccato che per una strana questione legata alle sanzioni degli Stati Uniti contro il Paese latino, si sia dovuto ricorrere a un’agenzia esterna. E sul costo finale non c’è certezza: misteri da europarlamento.
Vladimiro Zarbo (iStock)
- Dopo la terza dose, a Vladimiro Zarbo si bloccarono gambe e braccia. Poi smise di vedere. Ma il Ssn ancora non riconosce la patologia.
- I pazienti pediatrici che assumono antidepressivi o similari sono raddoppiati dal 2020. Lo psichiatra Perna: «In quella fase la socialità è centrale. Il lockdown gliel’ha tolta».
Lo speciale contiene due articoli.
(Ansa)
«Non si mette in discussione, non viene mai ascoltata. Questa supponenza ha portato la sinistra ai margini della vita politica, la totale assenza di umiltà, di mettersi in discussione, che non li fa ascoltare mai e li fa solo parlare tra loro in una stanza». Lo ha detto il premier Giorgia Meloni al comizio del centrodestra a Bari a sostegno del candidato alla presidenza della Puglia Luigi Lobuono, in vista delle Regionali.
Robert W.Malone (Getty Images)
L’inventore della tecnologia mRna: «I Cdc Usa hanno soppresso i dati sugli eventi avversi. La buona notizia è che si possono curare: anch’io ho avuto problemi cardiaci dopo Moderna. L’utilitarismo e lo scientismo hanno prodotto un approccio stalinista alla salute».
Robert Malone è il papà dei vaccini a mRna. È lui che, neolaureato, conduce nel 1987 uno storico esperimento al Salk Institute in California e poi, l’11 gennaio 1988, appunta sul suo taccino: «Se le cellule potessero creare proteine dall’mRna, potrebbe essere possibile trattare l’Rna come farmaco». «Scusatemi, ero giovane, avevo soltanto 28 anni», ha ironizzato qualche settimana fa a Bruxelles. Ieri il fisico e biochimico, nominato dal ministro della salute Usa, Robert F. Kennedy, presidente della commissione vaccini americana (Acip), ha lasciato Roma, dove si è fermato tre giorni per partecipare a un convegno al Senato sull’esperienza statunitense della pandemia e alla conferenza sulla sanità del XXI secolo, organizzata dai medici Giuseppe Barbaro, Mariano Bizzarri, Alberto Donzelli e Sandro Sanvenero, insieme con l’avvocato Gianfrancesco Vecchio.
2025-11-11
Nella biblioteca dei conservatori, dove la destra si racconta attraverso i suoi libri
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Nel saggio di Massimiliano Mingoia un viaggio tra i testi che hanno plasmato il pensiero conservatore, da Burke a Prezzolini, da Chateaubriand a Scruton. Un percorso che svela radici, contraddizioni e miti di una cultura politica spesso semplificata dalla cronaca.
C’è un'immagine molto particolare che apre il nuovo libro di Massimiliano Mingoia, La biblioteca dei conservatori. Libri fondamentali per capire la destra (Idrovolante Edizioni, 2025): «Immaginatevi di entrare nella casa di un conservatore e di sfogliare i volumi della sua biblioteca». È una metafora efficace e programmatica, perché il saggio di Mingoia è proprio questo: un viaggio attraverso le stanze del pensiero di destra, le sue genealogie, le sue contraddizioni, e la sua lunga, irrisolta tensione con la modernità.
Giornalista e studioso di cultura politica, Mingoia costruisce un itinerario che ha la forma di una libreria: al centro, sugli scaffali più consultati, i “padri nobili” del conservatorismo liberale — da Edmund Burke a Chateaubriand, da Tocqueville a Prezzolini — e accanto a loro gli autori del Novecento come Russell Kirk, Hayek e Roger Scruton. In alto, quasi a sfiorare il soffitto, le figure più controverse del pensiero reazionario e tradizionalista: de Maistre, Guénon, Jünger, Evola, de Benoist. In basso, ai margini ma non troppo lontani, i liberali “irregolari” come Sartori, Montanelli, Ricossa e Romano.
È una classificazione che racconta, meglio di molti manuali, la pluralità delle destre e la loro difficile convivenza: tra l’ordine e la libertà, tra l’autorità e il mercato, tra la fede e la ragione.
L’autore evita il tono accademico e adotta quello del cronista curioso. Ogni capitolo parte da un libro, spesso introvabile, per ricostruire il contesto e le idee che lo hanno generato. Così Le tre destre di René Rémond diventa il punto di partenza per capire la distinzione tra destra tradizionalista, liberal-conservatrice e nazional-populista; Intervista sulla destra di Galli della Loggia e Prezzolini offre l’occasione per riflettere sull’anomalia italiana, dove la destra è nata liberale e non reazionaria; Destra e sinistra di Bobbio e la replica di Veneziani mettono a confronto due visioni opposte, ma entrambe fondamentali per capire l’Italia degli ultimi trent’anni.
Uno degli episodi più vivaci del volume riguarda Dante Alighieri, collocato da Mingoia in posizione d’onore nella “libreria del conservatore”. Non tanto perché il Sommo Poeta fosse un pensatore di destra — anacronismo che l’autore smonta con finezza — ma perché con la Divina Commedia ha dato all’Italia una lingua e un’identità, un “mito delle origini” che ancora oggi accomuna patrioti e progressisti. Mingoia ricorda come, nel Novecento, Dante sia stato arruolato prima dal fascismo e poi, più di recente, citato da Giorgia Meloni nel suo Io sono Giorgia, a dimostrazione di quanto la tradizione culturale italiana resti terreno di contesa simbolica.
C’è anche spazio per il romanzo: Il Gattopardo e Il Signore degli Anelli appaiono nella sezione “narrativa”, a ricordare che il conservatorismo non vive solo di filosofia ma anche di mito, genealogie familiari e nostalgia per un ordine perduto. Giovanni Raboni, da posizioni progressiste, scrisse che “i grandi scrittori sono tutti di destra”: Mingoia cita la provocazione con ironia, ma riconosce che in certe opere — da Tomasi di Lampedusa a Tolkien — sopravvive l’idea di continuità, di radice, di limite, che è il cuore stesso della sensibilità conservatrice.
Nel capitolo conclusivo, l’autore si interroga sul presente. Esiste oggi una “destra conservatrice” in Italia? O la cultura politica di Fratelli d’Italia è più vicina al populismo identitario che al liberal-conservatorismo di Burke e Prezzolini? L’analisi, sorretta da studi di Marco Tarchi e da esempi tratti dalla storia recente, evita semplificazioni ma suggerisce una risposta: la destra italiana, nel suo insieme, ha ancora una debole consapevolezza della propria tradizione intellettuale.
La biblioteca dei conservatori è dunque molto più di un repertorio di citazioni o di un manuale: è un saggio divulgativo colto, ordinato, a tratti persino affettuoso verso le idee che esplora. Mingoia scrive da osservatore, non da militante: mette in luce le ambiguità del conservatorismo ma ne riconosce anche la profondità e la coerenza.
In un tempo in cui la politica vive di slogan e di tweet, l’autore invita il lettore a tornare ai libri, letteralmente. A entrare in una biblioteca e, come suggerisce il titolo, a scoprire cosa significhi davvero “conservare”: non il rifiuto del nuovo, ma la custodia della memoria.
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