Nelle medesime condizioni di oggi, nel 2018 i giornali utilizzarono i rendimenti finanziari per mettere sotto attacco il governo dell’alleanza Lega-M5s. Adesso che c’è Mario Draghi, invece, l’allarme è sotto traccia. Intanto però la Bce deve correre ai ripari.
Nelle medesime condizioni di oggi, nel 2018 i giornali utilizzarono i rendimenti finanziari per mettere sotto attacco il governo dell’alleanza Lega-M5s. Adesso che c’è Mario Draghi, invece, l’allarme è sotto traccia. Intanto però la Bce deve correre ai ripari.Come annota il professor Luca Ricolfi, siamo in tempi di «premessite»: nel timore di essere accusati di blasfemia-eresia-eterodossia, un po’ tutti, prima di esprimere un’opinione appena difforme dal coro, sentono l’esigenza di mettere le mani avanti.E allora facciamolo anche qui: ciò che stiamo per scrivere non significa negare l’esistenza di un problema legato alla dimensione del nostro debito pubblico, né tantomeno prendere sotto gamba l’entità del conto annuale degli interessi che grava sull’Italia. Meno che mai, da queste parti, si invocano logiche da bonus, sprechi e «spese a pioggia», destinate a peggiorare la situazione anno per anno: anzi, se sono sgradevoli alcuni zelanti mistici della spending review, non appaiono meno insidiosi - sul lato opposto - i campioni della «spending deppiù», dove il romanesco suggerisce un mix di faciloneria e sottovalutazione dei rischi. L’Italia dovrebbe ridurre il waste, gli sprechi; rinunciare alla logica dei bonus; tagliare le tasse; e, su un altro piano, immaginare strumenti per tenere il debito sotto controllo: questo giornale lo ha scritto fino allo sfinimento.Ciò detto, serve equilibrio, e occorre soprattutto mettere al bando il doppiopesismo. Oggi, in presenza di rendimenti piuttosto alti dei nostri titoli e di spread in salita, il grosso dei media tende a gestire l’allarme senza esagerazioni. Certo - si dice - la situazione va monitorata, ma nessuno fa drammi. E sia chiaro: è assolutamente ragionevole questo approccio non isterico.Peccato che qualche anno fa, in presenza di situazioni non dissimili, dalle stesse parti si urlasse, anzi si strepitasse. E come mai? Elementare, Watson: c’era da picchiare l’avversario politico del momento.Senza tornare al 2011, è sufficiente (con spread immensamente più bassi) ritornare ai mesi del 2018 in cui era operativo il governo gialloverde. Esperienza politica contraddittoria e piena di difetti, non c’è dubbio: e che tuttavia fu massacrata ben al di là di quanto meritasse. Giova ricordare che una legge di bilancio fu oggetto di un’autentica fatwa da parte della Commissione Ue, con l’obiettivo (oggi verrebbe a tutti da ridere) di ridimensionare il deficit inizialmente previsto (il 2,4) portandolo al 2,04…Il 2 giugno 2018 (giorno successivo al giuramento di quel governo!) il Sole 24 Ore di fatto giustificava, o comunque mostrava comprensione, verso i «signori dello spread». Scriveva il quotidiano di Confindustria: «Una speculazione, vale la pena ricordarlo, a cui i partiti di maggioranza hanno offerto il fianco. Perché se è vero che non bisogna farsi ricattare dalla grande finanza, è anche vero che è autolesionismo puro regalare su un piatto d’argento il pretesto ai ‘signori dello spread’ per scatenare una speculazione finanziaria».Il tempo di arrivare a dicembre, e arrivava la bordata del Giornale: «Ecco il ‘pacco’ gialloverde: mutui più cari con lo spread». E giù botte nel sommario: «Aumentano i tassi sui nuovi prestiti per le abitazioni. Il rapporto di Bankitalia: i crediti erogati sono in calo».Dopo di che, alla fine dell’estate, dopo lo scontro tra Matteo Salvini e Giuseppe Conte, e soprattutto dopo la scelta del Quirinale di non concedere elezioni anticipate, si insediò il governo Conte 2, l’esperienza giallorossa basata sull’alleanza M5S-Pd. E cosa accadde? Che analisti e giornali continuarono a picchiare l’esecutivo precedente. Ecco rilanciato su Repubblica (siamo nel settembre 2019) l’intervento di Edoardo Frattola dell’Osservatorio Cpi: «Lo spread gialloverde ci è costato 20 miliardi». Addirittura ci si portava avanti con il lavoro immaginando danni ventennali dell’esperienza politica appena archiviata: «Con l’insediamento del nuovo governo, lo spread Btp-Bund è tornato a livelli vicini a quelli di maggio 2018, attorno ai 150 punti base. Nei quattordici mesi di governo “gialloverde”, però, sono stati emessi titoli di stato con spread più elevati. Il costo di questo maggiore spread per la spesa per interessi, cumulato per i prossimi vent’anni, è circa 18-20 miliardi di euro».Rilette oggi, quelle critiche suscitano un (sia pur garbato) sorriso. Ma come? Adesso che c’è Mario Draghi, lo «scudo» fatto persona, le prefiche non piangono più? Sull’autorevolezza dell’ex governatore della Bce nessuno dubita, naturalmente, come pure sul fatto che investitori e mercati - comprensibilmente - lo ritengano l’interlocutore in assoluto più rassicurante. Eppure, anche in presenza dell’«icona», lo spread sale lo stesso, se la Bce (compratore principale dei titoli) viene meno.Da questo punto di vista, sarà bene per tutti fare un bagno di realtà. Se è fazioso oggi dare colpe solo a Francoforte (dimenticando la mole del nostro debito, che ci mette oggettivamente a rischio rispetto agli altri), era fazioso allora dare la colpa solo a un governo sgradito.E il solo fatto che ieri la Bce abbia preannunciato l’aggiornamento della sua toolbox, mostra che aprire il dibattito sui tools, sugli attrezzi più adatti per evitare che lo spread diventi un’arma politica, non può essere un reato di opinione.
Nel 2025 la Bce ha tagliato di 1 punto gli interessi, ma i prestiti casa sono diventati più cari. Su un fisso (9 su 10 lo preferiscono al variabile) da 150.000 euro a 25 anni il salasso è di 600 euro all’anno. Motivo? I mercati non credono possano esserci altre sforbiciate.
La Bce taglia i tassi o comunque non li aumenta e i mutui per comprare casa sono sempre più cari. È questo il paradossale fenomeno con il quale devono fare i conti le famiglie italiane che hanno deciso di indebitarsi pur di coronare il sogno di una vita: l’abitazione di proprietà. Tanto per intenderci: nel 2025, la Banca Centrale Europea ha limato per quattro volte il costo del denaro portandolo dal 3 al 2%. Si poteva sperare in qualcosa in più soprattutto con un Europa che cresce a ritmi lentissimi e con un’inflazione tutto sommato stabile, ma tant’è.
Le fake news russe diventano la scusa per varare il Democracy shield, l’ente per la «resilienza democratica» con cui l’Europa si arrogherà il diritto di controllare l’informazione. Che già influenza coi soldi a tv e giornali.
La Commissione europea si prepara a sferrare un attacco frontale contro quella che definisce «disinformazione» e «ingerenza straniera», ma i suoi piani sollevano gravi interrogativi sulla libertà di espressione dell’Unione. L’iniziativa, presentata come il nuovo «Scudo europeo per la democrazia» (Democracy shield), viene lanciata oggi a Bruxelles. Al centro di questo piano c’è la proposta di istituire una nuova struttura, il Centro europeo per la resilienza democratica, presentata come un polo per coordinare gli sforzi tra l’Ue e i Paesi membri contro attacchi ibridi di disinformazione provenienti, in particolare, da attori stranieri come la Russia.
Antonio Chiappani (Ansa)
Proteste in commissione Covid per l’audizione di Antonio Chiappani, il procuratore che indagò Conte e Speranza per epidemia colposa. Lui cita il codice penale: non impedire un evento evitabile equivale a cagionarlo.
Ancora una volta gli auditi proposti dalla maggioranza sono puntualmente contestati dall’opposizione. Succede in commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza sanitaria Covid. Ieri, a essere ascoltato era Antonio Chiappani, già procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo. «Sono qui per rappresentare tutte le criticità della prima fase della pandemia», ha spiegato più volte il magistrato, elencando le conseguenze del mancato aggiornamento e della non attuazione del piano del 2006. Apriti cielo. Il deputato Alfonso Colucci del M5s ha strepitato che «non è il caso di rifare il processo a Conte e Speranza», e che Chiappani avrebbe definito «sbagliato il provvedimento del tribunale dei ministri» mentre «le tesi dell’accusa si sono rivelate un buco nell’acqua».
2025-11-12
Viale Papiniano, il cantiere finisce sotto sequestro: per la Procura è nuova costruzione abusiva
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Dopo le inchieste dell’estate scorsa, arriva il provvedimento della magistratura: bloccato il palazzo di otto piani che avevamo raccontato su La Verità. Secondo i pm, dietro la Scia di ristrutturazione si nascondeva un intervento fuori scala, privo di piano attuativo e permesso di costruire.
In agosto era soltanto uno dei tanti cantieri finiti sui tavoli della procura di Milano tra le decine di filoni dell'inchiesta urbanistica. Oggi, quelle carte sono diventate un fascicolo giudiziario. E' stato disposto il sequestro preventivo dell’area di viale Papiniano 48, dove la società Papiniano 48 Srl stava realizzando un edificio residenziale di otto piani e due interrati al posto di un vecchio laboratorio commerciale di tre piani.
Secondo il decreto firmato il 10 novembre dal pubblico ministero Giovanna Cavalleri, con la co-firma del sostituto Luisa Baima Bollone e coordinanti dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, si tratta a tutti gli effetti «di una nuova costruzione in assenza di valido titolo edilizio». Il provvedimento, emesso d’urgenza, ordina il blocco immediato dei lavori «per evitare l’aggravamento delle conseguenze del reato e l’ulteriore avanzamento dell’edificio abusivo».
Gli indagati sono Mauro Colombo, direttore dei lavori e progettista, e Salvatore Murè, amministratore unico della Papiniano 48 Srl e della Murè Costruzioni. Entrambi sono accusati di lottizzazione abusiva e costruzione senza permesso di edificare, in violazione del Testo unico dell’edilizia.
La storia del cantiere — già raccontata questa estate dalla Verità — era iniziata con una Scia edilizia (Segnalazione certificata di inizio attività) presentata nel 2021 come “ristrutturazione con demolizione e ricostruzione”. In realtà, scrive la Procura, l’intervento “consiste nella demolizione integrale di un fabbricato e nella costruzione di un nuovo edificio di otto piani fuori terra e due interrati, con caratteristiche morfologiche e volumetriche completamente diverse”.
In altre parole: non un recupero, ma una nuova costruzione. E non una qualsiasi. L’immobile, una volta completato, avrebbe superato i 25 metri di altezza e i 3 metri cubi per metro quadrato di densità, soglie che — spiega il decreto — obbligano per legge a un piano attuativo o una lottizzazione convenzionata. Nessuno dei due strumenti era stato approvato.
Il Comune di Milano aveva già sospeso i lavori nel maggio 2024, rilevando «caratteristiche dimensionali e morfologiche eccedenti i limiti consentiti» e avviando un procedimento di annullamento d’ufficio della Scia. La società, tuttavia, ha ripreso il cantiere nell’autunno di quest’anno, dopo aver tentato — invano — di trasformare la pratica in un permesso di costruire convenzionato tramite un accordo con Palazzo Marino.
Il 16 ottobre scorso la Papiniano 48 Srl ha comunicato la ripresa dei lavori “a prescindere dall’esito del procedimento”, e pochi giorni dopo gli agenti della Polizia Locale hanno documentato la gettata del primo piano in cemento armato. Da qui l’intervento urgente della Procura.
Nel decreto si parla esplicitamente di una vicenda “sovrapponibile” ad altri cantieri già finiti sotto sequestro — come quelli di via Crescenzago e via Cancano — e di una “prassi illegittima” consolidata negli anni, in cui opere edilizie ad alto impatto urbanistico venivano impropriamente qualificate come ristrutturazioni per evitare piani attuativi e permessi di costruire.
La Procura ricorda anche la circolare comunale del 2023, sospesa la scorsa primavera, che aveva aperto la strada a interpretazioni “elastiche” dell’articolo 41-quinquies della legge urbanistica, quello che impone limiti di altezza e densità. «Tale disposizione — scrivono i magistrati — esprime un principio fondamentale della pianificazione, non derogabile da circolari o leggi regionali».
Il terreno di viale Papiniano 48, inoltre, è sottoposto a vincolo paesaggistico e rientra nel “Nucleo di Antica Formazione” del Comune, oltre che nel vincolo regionale “Naviglio Grande – Nucleo rurale di interesse paesaggistico”. Per la Procura, la trasformazione dell’area «comporta una lesione irreversibile dei beni tutelati dalla normativa urbanistica e ambientale».
L’edificio preesistente era basso, a uso commerciale, compatibile con il tessuto storico. Il nuovo, con otto piani e due interrati, cambierebbe completamente la morfologia dell’isolato.
Il sequestro di viale Papiniano arriva in un momento cruciale per l’amministrazione milanese, ancora alle prese con le inchieste sull’urbanistica che hanno toccato anche dirigenti comunali, professionisti e imprenditori. La stessa delibera di Giunta del maggio 2025 — citata nel decreto — era nata per fare chiarezza dopo mesi di indagini e polemiche.
Ora, con questo nuovo provvedimento, la magistratura sembra consolidare una linea: la stagione delle “Scia creative” è finita.
E quel palazzo che in agosto sembrava solo “troppo alto per essere vero” diventa oggi un simbolo giudiziario del nuovo corso milanese, dove i confini tra ristrutturazione e nuova costruzione non sono più soltanto una questione tecnica, ma un banco di prova per la legalità urbanistica della città.
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