2022-03-20
Vi spiego perché non accetto la mia condanna
Pure in appello sono colpevole di diffamazione contro il Circolo intitolato a Mario Mieli. Contesto il verdetto da diversi punti di vista.Il giorno 18 marzo ho avuto la sentenza di appello per il processo con il Circolo Mario Mieli. È stata confermata la condanna di primo grado, per aver affermato che Mario Mieli era un «pedofilo» e che è sbagliato finanziare per compiti di igiene, psicologia e assistenza sociale un circolo che, essendo intitolato a Mario Mieli, inevitabilmente inneggia ai suoi valori. Se non avete mai sentito nominare Mario Mieli cercate il suo nome su Wikipedia e avrete un’idea dei suoi valori. Il mio scopo non è, ne è mai stato, quello di offendere i componenti del Circolo Mario Mieli. Il mio scopo era, ed è, segnalare agli iscritti del Circolo, ma soprattutto ai funzionari dell’Unar, del Miur e del ministero della Salute quanto sia assolutamente sbagliato finanziare un circolo intitolato a Mario Mieli. Era anche mio dovere affermare la verità, una verità che né gli iscritti al circolo Mario Mieli né i funzionari dell’Unar, Miur e ministero della Salute, che hanno concesso loro riconoscimenti e finanziamenti, hanno visto, proprio per impreparazione tecnica: nessuno di loro ha le mie specialità, nessuno di loro la mia esperienza terapeutica, fatta nei reparti di chirurgia negli ambulatori di endoscopia, fatta ascoltando pazienti per decenni, fatta anche in Etiopia, nel 1986, durante una carestia, con la presenza di un esercito straniero, quando spesso la miseria totale spinge a vendere le bambine e i bambini. Nessuno di loro si rende conto di quanto sia grave l’abuso su un bambino, nessuno di loro si rende conto di aver creato una situazione pericolosa, situazione cui contribuiscono anche tutti i commenti sul libro e sulla figura di Mario Mieli reperibili su internet, a cominciare dalla pagina Wikipedia, la prima cosa che le persone consultano dopo aver sentito questo nome.Contesto la sentenza della mia condanna. Una condanna è il documento con cui un magistrato in nome del popolo italiano condanna un imputato. Ogni frase della sentenza deve essere universalmente condivisibile secondo la morale e secondo il codice penale di quel popolo. Ho preso alcune frasi della mia sentenza e spiego perché non sono per me condivisibili. I miei avvocati hanno spiegato perché non sono condivisibili dal punto di vista giuridico. Queste righe per chiarire per quale motivo non sono condivisibili dal punto di vista medico.Affermazioni nella sentenza non condivisibili: «Si tratta di un’opera certamente complessa, che affronta il tema della liberazione dell’eros da molteplici punti di vista: filosofici, psicanalitici, culturali, sociali e finanche economici, essendo evidente il legame che l’autore stabilisce tra repressione sessuale e sistema capitalistico».Questa affermazione non è condivisibile. Elementi di critica omosessuale non è un testo complesso, ma, al contrario, ha la linearità monotematica di una personalità appiattita su pochi pensieri non dimostrabili, ammantati di citazioni filosofiche, psicoanalitiche e financo economiche, dimostrando una lodevole capacità di fare copia e incolla. Per «liberazione dell’eros» ci si riferisce potenzialmente a cinque reati: abuso di minore, incesto, diffusione dolosa di epidemia, lesione del consenziente e vilipendio di cadavere. Che l’ingestione di escrementi sia una pratica erotica e che l’incesto anale di un bambino sia una forma di libertà non sono concetti filosofici, né sociali né psicanalitici. Tali «istigazioni», ripetute come slogan e ammantati di fonemi «colti», di sgangherate citazioni storiche, configurano un testo quantomeno ridicolo.Veniamo a quella che considero alla stregua di apologia della pedofilia: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l’Edipo, o il futuro Edipo, bensì l’essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro». Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale. L’autore di questa frase secondo me era un «pedofilo», parola che uso indicando una persona che prova attrazione erotica verso i minori. Solo una persona che prova un potente attrazione erotica per i bambini può scrivere parole come queste. Nulla del genere può essere scritto per ironia o provocazione, e inoltre, e lo stesso concetto ritorna in maniera ossessiva in tutto il libro. La frase più famosa del suo testo, «Noi checche rivoluzionarie…» non è estrapolata, il contenuto di questa frase è confermato in tutto il testo, esattamente come confermato in tutto il testo è l’odio per chiunque si opponga all’abuso su minore, definito canaglia reazionaria. Chi difende il bambino deve essere combattuto. Questa frase è gravissima per molti motivi.Leggere questa frase può essere estremamente eccitante per un pedofilo, può causare un’eccitazione erotica molto forte con le parole «sensualità inebriante», e ha la potenza inoltre di abbattere i freni inibitori con la potenzialità di spingere all’atto che può distruggere la vita di un bambino. L’abuso costituisce infatti un danno enorme e irreversibile sia dal punto di vista psichico, a volte un danno irreversibile anche dal punto di vista fisico. Grave poi è la parola dispregiativa «checche» che Mieli usa, dimostrando il suo odio di sé, il suo auto profanarsi: un odio che ha raggiunto l’apice nella coprofagia e nel suicidio. Questa parola è un violento insulto a tutte le persone con comportamento omoerotico, e inoltre inchioda sia Mieli che le persone a comportamento omoerotico all’idea, completamente ascientifica, che si tratti di un’identità.Gravissimo il plurale. Mieli non dice «io checca rivoluzionaria», ma dice «noi checche rivoluzionarie». Chi intende con la parola «noi»? Potrebbe intendere tutte le persone a comportamento omoerotico, e questa sarebbe una gravissima calunnia nei loro confronti, perché la maggioranza di queste persone non ha tendenze di questo genere, non si identifica con Mieli e trova le sue teorie ripugnanti. Oppure con questo inquietante «noi» Mario Mieli indica sé stesso e tutti i suoi seguaci, quelli che useranno il suo nome, quelli che raccomanderanno il suo libro come lettura edificante e fondamentale, coloro che scriveranno descrivendo la vita e l’opera di Mieli come buona e raccomandabile? Il suo libro è una costruzione ideologica che afferma la pedofilia come elemento positivo, buono, giusto e la mancanza di pedofilia come repressione ed «educastrazione», termine da lui coniato che fonde educare e castrare. Quel «noi» ci può spingere a pensare che con lui ci siano tutti quelli che useranno il suo nome, per esempio per darlo a un circolo cui appartengono? L’ipotesi può essere formulata? Può essere considerato un crimine formularla?Si legge poi nel libro: «Il padre si (rap)presenta come persona decisamente eterosessuale e rifiuta contatti erotici aperti con il figlio (il quale invece desidera «indifferenziatamente» e quindi desidera anche il padre), così come gli altri maschi adulti, in forza del tabù antipederasta, rifiutano rapporti sessuali con il bambino». Lo stupro del padre su un figlio o una figlia è un evento di tale gravità che può configurare una dissociazione mentale, in alcuni casi con lo sviluppo di personalità multiple, la più grave alterazione psichiatrica.
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Nel libro postumo Nobody’s Girl, Virginia Giuffre descrive la rete di abusi orchestrata da Jeffrey Epstein e Ghislaine Maxwell e ripercorre gli incontri sessuali con il principe Andrea, confermando accuse già oggetto di cause e accordi extragiudiziali.