2023-07-06
Giornalisti pagati da Soros per screditare il Qatargate
George Soros (Getty Images)
L’inchiesta finisce nel tritacarne della feroce lotta tra Qatar ed Emirati Arabi. Sulla scia di questi ultimi si sono mossi pool di cronisti, alcuni al soldo del finanziere. Il ruolo dell’autore del falso scoop del Metropol.È in corso un’accurata opera di revisionismo sul cosiddetto Qatargate che ha coinvolto diversi europarlamentari socialisti accusati di essere a libro paga di Doha. A rimettere mano alla storia, per smontarla, è un pool di media che da mesi sta utilizzando materiale rubato a una chiacchierata agenzia investigativa svizzera. Nel mirino dei giornalisti sono finite le attività dei servizi segreti degli Emirati Arabi Uniti, accusati di dossieraggio, che sarebbe stato praticato con l’aiuto della sopra citata società di intelligence. A dicembre, noi avevamo già scritto che «a dare il via all’inchiesta sarebbe stata una segnalazione degli Emirati Arabi che avrebbe portato gli 007 belgi a un centro di studi del Marocco nella capitale belga». Da Abu Dhabi avevano immediatamente negato il coinvolgimento nelle indagini.Ma una specie di Emirati-leaks è esplosa pochi mesi dopo e nelle redazioni è finita un’imponente mole di corrispondenza elettronica interna dell’agenzia, la Alp services di Ginevra.L’azienda è presieduta da Mario Brero ed è stata costituita nel 1989.Brero, settantasette anni, è un personaggio molto controverso, più volte finito in inchieste per le sue operazioni borderline. Il primo a pubblicare un dossier sulle sue attività di spionaggio è stato il sito di giornalismo investigativo francese Mediapart che, a inizio marzo, ha svelato l’esistenza di una presunta rete di disinformazione operante Oltralpe su mandato degli Emirati.Mediapart ha raccontato che la Alp avrebbe ricevuto tre incarichi da un milione di euro e un quarto ricompensato con 1,2 milioni di franchi svizzeri ogni sei mesi. Uno dei contratti prevedeva che Alp services svolgesse indagini su «reti di influenza», «lobbisti, influencer e giornalisti» del Qatar nell’Unione europea.Concretamente, l’indagine avrebbe cercato di scoprire soprattutto quali europarlamentari avessero rapporti con il Qatar e alla fine dell’indagine ne sarebbero stati individuati una ventina Secondo Mediapart, l’ordine era quello di arrecare mediaticamente più danni possibili al Qatar e ai Fratelli musulmani. I giornalisti hanno parlato espressamente di una campagna di «islamofobia», innescata, è opportuno ricordarlo, da un Paese musulmano.La guerra tra Emirati e Qatar è datata e si è svolta senza esclusione di colpi sia nel Golfo persico che nel resto del mondo a colpi di gruppi di pressione, organizzazioni non governative, consulenti politici, think-tank e persino a colpi di mazzette. Come dimostrato nel caso del Qatargate, dove politici ed ex politici come Antonio Panzeri e Eva Kaili sono stati pizzicati con trolley e buste piene di soldi.Sarà per questo che i servizi segreti europei (belgi, olandesi, polacchi, ma anche italiani) si sono preoccupati di più della veridicità delle notizie che della loro origine. E, una volta verificata la genuinità, le hanno utilizzate per la nota inchiesta.Come detto, la Alp sarebbe stata incaricata da Abu Dhabi di «diffamare» i Fratelli musulmani in Europa, un movimento radicale che ha messo le radici in diversi Stati europei e che ha rapporti forti con il Qatar e l’Egitto.In questa opera sarebbe stato coinvolto uno studioso italo-statunitense, Lorenzo Vidino, direttore del programma sull’estremismo della George Washington university, il quale ha fatto parte della commissione parlamentare sul radicalismo nei governi Renzi e Gentiloni e ha affrontato il tema in articoli pubblicati a sua firma sui giornali del gruppo Gedi, La Repubblica e La Stampa. Mentre all’estero il suo principale riferimento era il giornalista investigativo Andrew Norfolk del Times di Londra.Vidino e i suoi report sulla Fratellanza commissionati dalla Alp sono finiti al centro di una seconda inchiesta giornalistica, quella del New Yorker, prestigioso settimanale statunitense. Il servizio, lungo 40 pagine, si intitolava «Gli sporchi segreti di una campagna diffamatoria» e sosteneva che Brero e la Alp avessero ricevuto 5,7 milioni di dollari (tra il 2017 e il 2020) dallo sceicco degli Emirati, Mohammed ben Zayed Al Nahyan, per diffondere notizie negative sugli esponenti - reali o presunti - dei Fratelli musulmani nel Vecchio continente.Secondo il materiale di cui la rivista era entrata in possesso, il detective svizzero avrebbe ingaggiato dei giornalisti per colpire i suoi bersagli.La Alp avrebbe organizzato una campagna per «diffamare diverse organizzazioni musulmane in Europa, tra cui la Islamic relief worldwide (Irw) con sede nel Regno unito».Brero, secondo i file hackerati, avrebbe dato almeno 13 mila euro a Vidino per ottenere «interessanti indizi o rumor» sulla Fratellanza musulmana, nonché un «elenco di presunti membri delle organizzazioni di primo livello nei Paesi europei».L’agenzia ginevrina e Vidino avrebbero tentato di collegare Heshmat Khalifa – un membro del consiglio di amministrazione dell’Irw – al terrorismo, per via del suo lavoro con un’organizzazione umanitaria egiziana in Bosnia durante gli anni ‘90.Nella cronologia dei social media di Khalifa la Alp ha trovato diversi post contro gli ebrei che il dirigente della Ong aveva postato sui suoi canali personali dopo l’offensiva israeliana del 2014 a Gaza. Vidino li ha poi girati, nel 2020, al quotidiano Times, che li ha citati in un articolo ripreso successivamente dalla Verità. Fake news? Assolutamente no.Infatti Khalifa si è immediatamente dimesso dall’organizzazione benefica e la Islamic relief ha rimosso tutti e tre i funzionari coinvolti nelle indagini della Alp e ha detto di Khalifa: «Siamo sconvolti dai commenti odiosi che ha fatto e condanniamo senza riserve tutte le forme di discriminazione, compreso l’antisemitismo».Adesso i file pubblicati nelle inchieste di Mediapart e New yorker hanno iniziato a girare all’interno di un circuito giornalistico internazionale in cui i cronisti dei singoli Paesi hanno cercato tra le briciole avanzate qualche risvolto locale.Vidino come detto, ha avuto rapporti con numerose testate italiane, soprattutto del gruppo Gedi. Mentre sulla Verità è stato sentito come autorevole fonte da un paio di cronisti, Francesco Borgonovo e Stefano Piazza. Con quest’ultimo i rapporti sono subito diventati burrascosi per una questione di mancata citazione delle fonti. A sorpresa, nei giorni scorsi, alcuni media marginali del consorzio hanno inviato ai nostri colleghi due mail per avere notizie su altrettanti articoli pubblicati sul nostro quotidiano e per sapere se i giornalisti avessero avuto rapporti con la Alp.Missive scritte in un linguaggio da piantone di caserma. Borgonovo e Piazza sono caduti dalle nuvole. Abbiamo allora cercato di capire di che si trattasse e siamo risaliti all’inchiesta del New yorker e a Vidino, citato nel reportage statunitense.L’aspetto singolare è che tra i giornali interessati ad avere chiarimenti sui nostri presunti rapporti con la Alp (del tutto inesistenti) ci sia, oltre a testate svizzere come Heidi news e Rsi, anche un network «panarabo», Daraj media, con base a Beirut e diretto da Alia Ibrahim.Sul sito internet della società apprendiamo che tra i finanziatori c’è Open society foundations del filantropo ungherese George Soros, un uomo che vorrebbe l’Europa senza frontiere e appoggia ogni progetto di immigrazione selvaggia. Il consorzio ha anche contattato Davide Piccardo, già a capo del Caim, il Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano, in quanto presunto bersaglio degli Emirati. Infatti, tra i target della Alp, ci sarebbe stato anche l’imprenditore Hazim Nada e la sua società, la Lord Energy, per cui lavora lo stesso Piccardo.A questo punto abbiamo telefonato a Vidino, il quale ci ha informato di essere stato contattato giovedì da un giornale belga, anche questo abbastanza di nicchia, lo Standaard, mentre Le Soir, che il Qatargate ha cavalcato, non si sarebbe fatto sentire.Vidino ha risposto allo Standaard in modo diretto: «State scrivendo un articolo basato su documenti rubati, perché sarebbe sbagliato scriverne uno basato su screenshot di Facebook forniti da una società di intelligence privata?».Poi il ricercatore ha raccontato: «Come ho spiegato al New yorker, Alp mi ha mostrato post di Facebook con messaggi violentemente antisemiti di vari fiduciari dell’Irw e, una volta che ho valutato in modo indipendente che fossero autentici, li ho condivisi con il signor Norfolk. Sarebbe stato irresponsabile sedersi su quell’informazione e non renderla pubblica».Con noi Vidino ha aggiunto: «Essendo entrato in possesso di immagini di una pagina aperta di Fb, ho condiviso il link con il Times e loro hanno scritto una storia che dimostra come uno pseudo ente caritatevole che riceve milioni di sovvenzioni da Paesi europei e Ue avesse una leadership con posizioni fortemente antisemite. È una notizia che difendo e di cui sono abbastanza orgoglioso. Quanto ai rapporti con il vostro giornale, mi avete intervistato come hanno fatto altri media su fatti che riguardavano la Fratellanza o l’estremismo in generale. Nel caso specifico mi avete chiamato quando è uscito il Times».Ha contatti anche con giornali di sinistra? «Certo. Io sono stato intervistato pure dal Manifesto, il mio lavoro è molto trasversale. Io paradossalmente vengo identificato in Italia come vicino al Pd perché ho lavorato per la commissione con i governi Renzi e Gentiloni, anche se etichettarmi politicamente è sbagliato perché il mio è un ruolo tecnico. Io penso che ogni accademico che si occupi di qualunque materia, nel mio caso di estremismo, debba interagire con qualsiasi schieramento, per questo io rilascio interviste dal Secolo d’Italia al Manifesto senza nessun problema».La cosa curiosa è che le domande ci siano state rivolte da un collaboratore della tv svizzera e del Domani come Stefano Vergine, il giovanotto che con il collega Giovanni Tizian ha intrattenuto rapporti con il massone Gianluca Meranda durante l’affaire Metropol, e che al seguito del legale è volato a Mosca per tentare un’operazione di sputtanamento di Matteo Salvini utilizzando un agente provocatore. Al Domani si adontarono per il nostro scoop sulle loro fonti.Ma adesso Vergine ha chiesto ai nostri colleghi, insinuando che i loro articoli fossero «ispirati da un’operazione di lobbying», di svelare i nomi di eventuali fonti dentro ad Alp services.Un’operazione condotta insieme al giornale finanziato da Soros e a favore della Fratellanza musulmana, con l’ausilio di materiale hackerato. È questo il giornalismo etico che propugnano? E i trolley e le buste pieni di soldi consegnati ai politici socialisti diventano così uno scherzo di carnevale? Siamo molto interessati a leggere che cosa il giornale di Soros e i suoi piccoli amici tireranno fuori (di non già letto su Mediapart e sul New yorker) per salvare il Qatar e la Fratellanza. Anche perché i nostri numerosi scoop sul Qatargate (acquisiti anche a livello giudiziario) li abbiamo realizzati con indagini e con fonti che non c’entrano nulla con la Alp e i servizi segreti emiratini. Sfidiamo chiunque a dimostrare il contrario. Abbiamo già pronti i popcorn.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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