2020-03-10
Solo ora la nota compagnia cantante scopre il bello della casa di proprietà
Si sprecano gli appelli a non uscire dalle proprie mura. Ma per anni avere un'abitazione è stato descritto come retrogrado, in nome della «mobilità» e dello «sharing». Adesso chi ha un tetto ringrazia il cielo.State a casa, dicono. Lo ripetono giornalisti e conduttori televisivi, lo scandisce Fiorello a suon di battute, lo twitta Luciano Ligabue. Jovanotti si è inventato un video simpatico, Giuliano Sangiorgi ci ha scritto persino una bella canzone delle sue. Restate in casa, ribadiscono tutti. E fanno bene, benissimo. Statevene fra le vostre mura, se potete. Magari, mentre siete lì, oltre a guardare film, leggere libri e compulsare serie televisive, provate ad avventurarvi in una piccola riflessione. Se oggi in tanti possono chiudersi in casa per fronteggiare l'emergenza è perché hanno una casa di proprietà. Quella che, ormai da qualche anno, ci viene descritta come superata, retrograda, persino immorale. Un paio di esempi, giusto per capirsi. Non molte settimane fa, l'Economist - bibbia del pensiero liberal - se l'è presa con l' «ossessione occidentale delle casa di proprietà», definita un «orrendo abbaglio». Possedere una casa, spiegava il giornale, «mette a rischio la crescita, l'equità e la fede pubblica nel capitalismo». In sostanza, il settimanale sosteneva che, dietro la crisi dei mutui del 2007-2008 ci sia «l'infatuazione per le case di proprietà» e spiegava che il possesso di un immobile fa male all'economia. «Secondo uno studio del Fondo monetario internazionale», si leggeva nello speciale dedicato all'argomento, «nel breve periodo l'aumento del debito dei proprietari di casa favorisce la crescita economica e l'occupazione. Ma poi i proprietari di casa hanno bisogno di limitare le spese per ripagare i prestiti, quindi nel giro di tre o cinque anni gli effetti positivi si ribaltano: la crescita rallenta e le probabilità di una crisi finanziaria aumentano». Tesi analoghe esalano da un saggio appena pubblicato dal Mulino, storica casa editrice progressista, intitolato Casa dolce casa? Tre studiosi dell'Università di Torino, Marianna Filandri, Manuela Olagnero e Giovanni Semi, spiegano che «alla proprietà è ancora oggi anacronisticamente collegata una serie di rappresentazioni sociali positive». Capito? Possedere una casa è anacronistico. Addirittura dannoso, poiché la domanda costante di case «consuma il suolo e deteriora il paesaggio». Tutti in affitto, dunque, così si garantisce la «mobilità» della popolazione e il capitale prospera. Solo che poi, quando c'è bisogno di un «rifugio in un mondo senza cuore», se non possiedi una casa come te la cavi? Diteglielo pure, ai lavoratori precari che condividono un appartamentino in quattro, di starsene barricati dentro per evitare i contagi. Molti di loro, in questi giorni, li abbiamo visti ammucchiarsi sui treni diretti a Sud, verso la casa dei genitori, verso la certezza e la stabilità. Lungi da noi giustificare chi assume comportamenti irresponsabili, ci mancherebbe. Però ci sia concesso di pensare che è irresponsabile anche invitare i popoli a vivere un'esistenza in bilico, a rinunciare alle poche sicurezze che, nel momento del bisogno, si rivelano fondamentali. Restate a casa, gridano oggi pure i difensori del liberismo selvaggio. Lo andassero a spiegare a chi deve pagare un affitto fra pochi giorni o a chi lo ha appena pagato. Volete un caso concreto? Prendete un «lavoratore flessibile» del cosiddetto mondo della cultura, o dell'intrattenimento. Qualcuno che nelle ultime ore si è visto cancellare l'ingaggio perché gli eventi programmati sono d'un tratto proibiti. Se costui non lavora, non incassa. E se non incassa, l'affitto non lo può pagare. Questo è un caso fra tanti, ma indicativo. Il discorso si potrebbe perfino allargare. In questi anni vi hanno detto che possedere una casa era sbagliato, così come possedere un'auto. Bene, adesso chi non ha una macchina è in balia dei mezzi pubblici, o dei veicoli «condivisi» a noleggio. Un toccasana, nel periodo di isolamento. Ditelo a chi ha rinunciato all'ufficio per un modernissimo «coworking» di stare lontano dagli sconosciuti. Ripetetelo a un hipster che ha optato per il «cohousing» di evitare contatti. Sì, state in casa, è la scelta migliore. Già che ci siete, ringraziate il cielo di averla, una casa di proprietà, di non avere rate da pagare o proprietari che si aspettano il canone mensile mentre voi non potete uscire perché il posto da stagionale nell'albergo non è più disponibile. Ecco a che cosa serve possedere un tetto: quando i tempi si fanno duri, c'è un posto caldo dove ripararsi.
Jose Mourinho (Getty Images)