2023-08-07
«Quando la Rai punì il Trio per quel “no” al sabato sera»
Tullio Solenghi: «Viale Mazzini? Lì cominci le riunioni con una persona e le finisci con un’altra. Pensate che non capirono i nostri “Promessi Sposi”. Per castigo ci spedirono a Torino».L’estate di Tullio Solenghi è tra un palco e l’altro della Penisola. Si destreggia tra le battute di Woody Allen con lo spettacolo Dio è morto e neanche io mi sento tanto bene - che fa spesso il tutto esaurito - e altri eventi che danno testimonianza del suo essere eclettico. Come quello tra le pagine stralunate del Don Chisciotte di Cervantes, per una lectio magistralis con il professore di filologia Corrado Bologna. O il ritratto di Wolfgang Amadeus Mozart duettando con il Trio d’archi di Firenze: viola, violino e violoncello, di qualche sera fa.L’attore genovese, classe 1948, scalda la voce per l’autunno: una nuova sfida lo attende, con l’amico di una vita Massimo Lopez. Dal 2017 a oggi hanno contato più di 300 repliche del loro show scritto per il palcoscenico, ed è venuta l’ora di cambiare e rinnovare. Sta lavorando a un nuovo spettacolo, ma «è ancora tutto un lavori in corso, non posso anticipare nulla». Si chiamerà Dove eravamo rimasti e debutterà al Teatro comunale di Ferrara il 10 di novembre.Con Lopez vi aspetta una nuova avventura, e sono più di 40 anni che lavorate insieme.«Il merito fu di Anna Marchesini, quando ancora lei e io eravamo un duo: mi parlò di lui apprezzando le sue doti straordinarie di imitatore. Le sliding doors della vita: lo avevo già conosciuto qualche anno prima. Gli avevo passato il testimone al Teatro Stabile di Genova per la parte di Berto ne Il fu Mattia Pascal con Giorgio Albertazzi. Iniziai così a immaginare il nostro Trio: la prima avventura insieme fu condividere anche come autori una trasmissione su Radio 2, nel 1982».Diventò, quel Trio, storia della televisione italiana.«Ed è il presente nel nuovo spettacolo che stiamo preparando: Anna è sempre con noi». Gli anni dei suoi inizi professionali sono forse irripetibili.«Gli anni di un ambiente unico, sì: lasciai Genova per Milano. Feci il provino per il Derby e convinsi Gianni Bongiovanni, lo zio di Diego Abatantuono, però poi lavorai al Refettorio di via San Maurilio, un locale che oggi non esiste più. Mi alternavo con un altro genovese: Beppe Grillo. Io facevo il primo tempo, lui il secondo». E non siete gli unici ad aver sfondato.«Da Marco Columbro a Zuzzurro e Gaspare, dai Gatti di Vicolo Miracoli alla Smorfia con Troisi, Arena e De Caro, tutti sulla scia dei capi scuola: Villaggio, Pozzetto, Cochi Ponzoni, Jannacci… Eravamo tutti contemporanei e matricole in ascesa, e nessuno avrebbe immaginato il successo che poi ci hanno riconosciuto. Ci è andata bene, sarà che molti di noi avevano talento. Il Trio, poi, nella ricetta del successo ha aggiunto qualche contromano in autostrada…».Cioè?«Dopo gli apprezzamenti che ottenemmo con Domenica In, in Rai volevano affidarci la conduzione del fantastico sabato sera di Rai 1. Tutti ambivano a quella fascia, come è ovvio, e lo chiesero a noi che invece rispondemmo “no, grazie”. Scegliemmo di dedicarci ai Promessi sposi».Era il 1990, la parodia dell’opera di Manzoni ebbe un successo strepitoso.«Andammo controcorrente, e fummo premiati».Si arrabbiarono, a viale Mazzini?«Non la presero bene da subito, quando per “punizione” a fare i nostri Promessi Sposi ci spedirono nella sede di Torino, dove si facevano solo pomeridiane e spettacoli per ragazzi. Ma eravamo fatti così, e rifarei tutto. I nostri Promessi sono poi diventati un cult. Quasi 15 milioni di spettatori per la prima puntata. Peccato, in Rai all’inizio non ci capirono. Allora c’era Biagio Agnes direttore generale».Avete poi fatto pace con lui?«Mai più incontrato, a dire il vero. Faccio spesso ironia sulla Rai: le riunioni sono lunghe e laboriose, quando si tratta di discutere di nuovi progetti. Entri con un interlocutore, esci che ce n’è un altro. Glielo assicuro: non è una battuta, accade davvero».Anna e Massimo, partner professionali e pure amici, per lei. A pensarci ora, sarebbe stato una persona diversa senza di loro?«È ed è stata un’amicizia fraterna. Credo di aver vissuto con loro una dimensione famigliare, che per uno come me che ho sempre messo al centro mia moglie e le mie figlie - e oggi i nipoti - può suonare quasi come blasfemo. Anna mi ha insegnato l’abnegazione e la determinazione, e soprattutto la capacità di non lasciarsi condizionare da ciò che ci precedeva in termini artistici. Un aspetto caratteriale che già mi apparteneva, ma che in lei era più evidente. Abbiamo dovuto lottare forse più di altri che si lasciavano trascinare dalla corrente. Oggi però posso dire che è stata la conditio sine qua non per ottenere i risultati e restare nel cuore del nostro pubblico».E Massimo?«Massimo è sempre stato l’esatto contrario, una sorta di “poeta tra le nuvole”, un Pierrot lunaire, come lo chiamo io. Ho imparato da lui che ogni tanto occorre anche staccare, mollare la presa».Rimpianti ne ha?«Non molti a dire il vero. Ho sognato di avere una compagnia teatrale e ce l’ho. E sarei presuntuoso se volessi negare quel che mi ha regalato la notorietà televisiva. L’unica lacuna è forse che non abbiamo mai fatto cinema. Cani e porci un film l’hanno fatto, e anche noi stavamo per…».Cosa accadde?«Avevamo scritto un progetto e facemmo il giro delle sette chiese per trovare chi ci credesse. Con Cecchi Gori andò bene: ricordo il brindisi a casa sua, in pompa magna: “Allora si comincia”, disse baldanzoso. Poi però delegò tutto a Rita Rusic, allora stavano insieme».E?«Nulla, non la abbiamo mai più sentita. Strano, no? Dormo sonni tranquilli lo stesso, glielo assicuro. Ma non abbiamo più brindato, per scaramanzia (ride)».Chi le piace tra i comici di oggi?«Maurizio Crozza, Maurizio Lastrico, di certo».Campanilismo, anche loro cresciuti sotto la Lanterna.«Ma no, quello è un caso, sono entrambi bravissimi».Lei è nato a Sant’Ilario, provincia di Genova. Terra di comici noti, ma pure del mugugno.«Il genovese abita da sempre una terra meravigliosa ma anche complicata. Faccio sempre l’esempio del contadino padano, che si sveglia, esce di casa, va nel campo accanto e semina. Quello ligure invece per arrivare al campo deve inerpicarsi per terrazze scoscese, perché il territorio è così, complicato. Genova ha poi i vicoli stretti perché si difendeva dall’invasione dei turchi o di chi fosse arrivato dal mare. È una terra, la mia, che ha bisogno di essere protetta da gente coriacea. Forse per questo a volte sembra meno disponibile al sorriso».Quali altri personaggi la fanno ridere?«Mi piaceva Daniele Luttazzi, ma non si vede più in giro. E trovo geniali i personaggi di Corrado Guzzanti, quelli degli albori soprattutto. Straordinario».Con Dio è morto e anch’io non mi sento tanto bene lei legge nei teatri Woody Allen, ed è una comicità particolare.«L’assurdo, il gusto del surreale, nella comicità di Woody sono pura dinamite per i neuroni. Le sue battute ti spiazzano, ogni volta c’è qualcosa che ti atterra in maniera esilarante». Una che l’ha fatta innamorare?«Nel film Harry a pezzi il protagonista va a trovare il padre all’Inferno. Vede a un certo punto dei diavoli che stanno frustando così forte un povero dannato da staccargli la pelle. Lui urla, ovviamente, di dolore. Woody allora chiede quale sia la sua colpa, perché sia lì tra i dannati. Risponde: “Ho inventato gli infissi in alluminio anodizzato”. Rido ancora, rido ogni volta: solo uno geniale può pensare a una battuta così. Se pensa ai meravigliosi centri storici del nostro Mezzogiorno devastati da questi orribili infissi “ottonati” che hanno scalzato le esemplari porte in legno…».Comicità intellettuale?«Non direi intellettuale, direi al servizio dell’agilità dei neuroni. Una comicità che ti tiene desto, che ti sorprende». Che è anche la sua. Imitatore fin dai banchi di scuola, nell’ultimo show è passato da Mughini a Papa Ratzinger, il prossimo che vorrebbe imitare?«In Dove eravamo rimasti imiterò Sergio Mattarella, le do questa anticipazione. Dopo il Pontefice e il presidente della Repubblica, non so davvero chi potrei ambire a imitare… Mattarella l’ho fatto nello studio televisivo di Fazio, ora lo porto in teatro».Eravate con Massimo tra gli ospiti fissi di Fabio Fazio. E ora?«Se qualche volta ci inviterà, andremo volentieri. Fabio è innanzitutto un amico. L’appuntamento fisso da lui però non ci sarà possibile: quando partono per la tournée gli attori non si fermano mai e non avremo il tempo per impegni televisivi continuativi».