La maggioranza si scanna su come gestire i fondi che il premier ha già deciso per cosa spendere: 74 miliardi per la transizione green contro 9 per la salute (così dovremo accedere al salva Stati?); 4,2 per la parità di genere ma solo 3,1 per turismo e cultura.
La maggioranza si scanna su come gestire i fondi che il premier ha già deciso per cosa spendere: 74 miliardi per la transizione green contro 9 per la salute (così dovremo accedere al salva Stati?); 4,2 per la parità di genere ma solo 3,1 per turismo e cultura.La bozza del Recovery plan all'esame del Consiglio dei ministri ha un nome che è tutto un programma: Piano nazionale di ripresa e resilienza. L'acronimo, Pnrr, suona veramente male. «Secondo le conclusioni del Consiglio europeo», si legge nella bozza, «l'insieme dei fondi europei compresi nel Quadro finanziario pluriennale e nel Next generation Eu mettono a disposizione dell'Italia un volume di circa 309 miliardi di euro nel periodo 2021-2029. Per quanto riguarda il Dispositivo europeo di ripresa e resilienza (Rrf), che finanzia il Piano di ripresa e resilienza dell'Italia, il nostro Paese», si legge ancora, «nel periodo 2021-26 potrà accedere a circa 65,4 miliardi di euro di sovvenzioni e 127,6 miliardi di euro di prestiti (il 6,8% del Reddito nazionale lordo), ovvero 193 miliardi complessivamente, che il governo intende utilizzare appieno». Le risorse sono divise su sei macroaree.La prima, «Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura», può contare su 48,7 miliardi di euro, così divisi: 10,1 miliardi per la «Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella pubblica amministrazione»; 35,5 per «Innovazione, competitività, digitalizzazione 4.0 e internazionalizzazione»; 3,1% per «Cultura e turismo». La seconda macroarea è individuata come «Rivoluzione verde e transizione ecologica», e può contare su 74,3 miliardi di euro, così divisi: 6,3 per «Impresa verde ed economia circolare»; 18,5 per «Transizione energetica e mobilità locale sostenibile»; 40,1 miliardi per «Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici»; 9,4 miliardi per la «Tutela e valorizzazione del territorio e della risorsa idrica».La terza macroarea, «Infrastrutture per una mobilità sostenibile», conta su una dotazione totale di 27,7 miliardi di euro, così divisi: 23,6 per «Alta velocità di rete e manutenzione stradale 4.0» e 4,1 miliardi per «Intermodalità e logistica integrata». Passiamo al capitolo «Istruzione e ricerca», al quale sono assegnati 19,2 miliardi di euro suddivisi così: 10,1 per «Potenziamento della didattica e diritto allo studio» e 9,1 per «Dalla ricerca all'impresa».Le risorse della macroarea «Parità di genere, coesione sociale e territoriale» ammontano in totale a 17,1 miliardi, dei quali 3,2 per «Giovani e politiche del lavoro», 5,9 per «Vulnerabilità, inclusione sociale, sport e terzo settore», 4,2 miliardi per «Parità di genere», 3,8 per «Interventi speciali di coesione territoriale». Infine, la macroarea «Salute» conta su 9 miliardi di euro, così divisi: 4,8 miliardi per «Assistenza di prossimità e telemedicina» e 4,2 miliardi per «Innovazione, ricerca e digitalizzazione dell'assistenza sanitaria».Sorprende, ma forse non troppo, la macroscopica differenza tra i 9 miliardi destinati alla salute e, tanto per fare un esempio, i 74 stanziati per la rivoluzione verde. Saremo maliziosi, ma è probabile che lo scarsissimo stanziamento destinato alla salute sia un modo per far diventare necessari, se non indispensabili, i 36 miliardi del Mes. Ridicolo il finanziamento per i settori della cultura e del turismo: appena 3,1 miliardi di euro per quella che è la spina dorsale dell'economia italiana, che ricevono un miliardo in meno rispetto ai 4,2 destinati alla parità di genere.La bozza prevede una riforma della Giustizia e anche interventi di natura fiscale. «La riforma fiscale che abbiamo in mente», si legge nella bozza, «e i cui principi e criteri saranno presentati con il disegno di legge delega che il Parlamento sarà chiamato a esaminare risponderà, da un lato, all'esigenza di definire una riforma organica del nostro sistema fiscale e, dall'altro, alla necessità che il disegno riformatore possa essere attuato nei tempi previsti per la fine della legislatura. Abbiamo pensato innanzitutto», si precisa nel documento, «a una riforma dell'Irpef, perché è l'imposta principale, interessa circa 41 milioni di contribuenti (dichiarazioni 2019 riferite all'anno di imposta 2018), e perché è quella che mostra più di ogni altra evidenti problemi di inefficienza, iniquità verticale e orizzontale e mancanza di trasparenza. Anche in considerazione degli interventi posti in essere negli ultimi anni, si ritiene che l'esigenza sia ora di concentrare le risorse disponibili per ridurre prioritariamente la pressione fiscale sui redditi medi. Finora siamo infatti intervenuti sui lavoratori con reddito fino a 40.000 euro, ora dobbiamo intervenire», si legge ancora nella bozza, «a favore dei lavoratori (sia dipendenti sia autonomi) con un reddito medio, ovvero orientativamente incluso tra 40 e 60 mila euro, perché si tratta della fascia che oggi sconta livelli di prelievo eccessivi rispetto ai redditi ottenuti».Il punto dolente, quello della governance, sul quale c'è baruffa in maggioranza, è questo: sull'attuazione del Piano, si legge, «vigilerà con compiti di indirizzo, coordinamento e controllo un Comitato esecutivo, composto da presidente del Consiglio, ministro dell'Economia e delle Finanze e ministro dello Sviluppo economico. Viene inoltre individuato il ministro degli Affari europei, di intesa con il ministro degli Esteri e delle Cooperazione internazionale per quanto di competenza di quest'ultimo, quale referente unico con la Commissione europea per tutte le attività legate all'attuazione del Piano. Il Comitato può delegare a uno dei propri componenti, senza formalità, lo svolgimento di specifiche attività».
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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