2022-11-24
Il sistema perverso che gestisce i flussi è riuscito a eleggere la sua figurina
Aboubakar Soumahoro (Getty Images)
Al di là dei possibili reati, Aboubakar Soumahoro ha promosso un modello d’accoglienza che arricchisce le coop sulla pelle dei migranti.Con l’arroganza dell’inettitudine che troppo spesso caratterizza i burocrati di Bruxelles, il vicepresidente della Commissione europea, Margaritis Schinas, ha dichiarato al Corriere della Sera che il caso Ocean Viking «è stato pedagogico per l’Italia». A suo dire il «nuovo governo» deve imparare ciò che «tutti i governi dei nostri Stati sanno bene», e cioè che «hanno più da guadagnare lavorando con Bruxelles e i loro partner piuttosto che contro di loro». Al netto dell’epidermica antipatia che suscita, il fulmine Schinas ha ragione, sebbene involontariamente. La storia della Ocean Viking insegna una amara verità: l’Unione Europea e, più in generale, tutti gli osservatori e i commentatori nazionali e internazionali, si accorgono dei disastri causati dall’immigrazione di massa soltanto quando deflagra una bomba. Ovvero quando è troppo tardi e a farne le spese sono le persone più indifese.L’Italia ha passato anni a «lavorare con Bruxelles», perché così imponevano i vari governi a trazione più o meno liberal progressista che si sono succeduti dalle nostre parti. E ciò che ha ottenuto è, precisamente, un tubo. L’Europa si muove solamente quando si verificano le crisi, altrimenti ciascuno degli Stati membri si fa allegramente gli affari propri: c’è chi chiude le frontiere come la Francia, chi stringe accordi con la Turchia, pagati da tutti gli altri come la Germania, chi malmena i migranti come la Spagna e via discorrendo. Una soluzione seria e unitaria non si è mai riusciti a trovarla, e per un motivo semplice: non interessava a nessuno, anzi conveniva che fossero gli Stati affacciati sul mare a farsi carico dei guai più grossi (l’immigrazione illegale e difficilmente controllabile). Non è mai stata approntata una politica seria di dialogo con l’Africa, sostituita da finanziamenti a pioggia e accordi «privati» dei singoli governi. Non è mai stato creato un sistema decente di gestione dell’immigrazione regolare. Il risultato lo abbiamo sotto gli occhi: si opera sempre in emergenza, e quando scoppia il bubbone si assiste alla fiera dell’indignazione un tanto al chilo. Purtroppo, tocca notare che lo stesso meccanismo opera anche in Italia. In questo senso, a risultare «pedagogica» è la vicenda di Aboubakar Soumahoro e dei suoi familiari. In questo frangente l’aspetto giudiziario è perfino meno importante di quello politico. E non deve stupire che Verdi e Sinistra italiana - cioè i compagni di partito del sedicente difensore dei braccianti - abbiano deciso di non espellerlo. Costoro, come del resto l’intero fronte progressista italico, ancora non riescono a comprendere che la malagestione delle cooperative dell’accoglienza non è uno sfortunato accidente, bensì un elemento sistemico. In fondo, che Soumahoro si dimetta o venga cacciato non importa: è la macchina dell’immigrazione di massa a dover essere smantellata. Ma quella macchina i nostri moralisti tifosi dell’accoglienza senza limiti - quelli che sono soliti dividere gli italiani in buoni e cattivi a seconda della loro disponibilità a ospitare stranieri - non solo non l’hanno ostacolata, ma l’hanno sostenuta politicamente per anni. Il punto non è se Aboubakar e parenti siano disonesti. Il punto, semmai, è che il sistema di gestione dei migranti favorisce la disonestà e lo sfruttamento. Il video che ora torna a circolare della visita di Soumahoro alla baraccopoli di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, dice tutto. Repubblica punta il dito accusando l’ex sindacalista di aver raccolto fondi per portare regali ai bambini del ghetto quando in realtà da quelle parti di piccini non ce n’erano che un paio. Ma qui il problema non sta nel fatto che il sindacalista africano abbia eventualmente approfittato delle donazioni. Egli avrebbe dovuto pretendere l’abbattimento della baraccopoli, non promuovere una patetica solidarietà nei confronti degli occupanti. Egli avrebbe dovuto pretendere la fine del traffico in mare, invece di insistere sul soccorso ai barconi che giova agli scafisti. Ecco il nodo, ineludibile. Soumahoro, come tanti altri, è divenuto negli anni la proverbiale figurina dell’accoglienza, il migrante che ce l’ha fatta, e ha messo in piedi lo spettacolino a beneficio delle anime raffinate che si sentono in pace con la coscienza quando accusano le destre d’essere razziste. E mentre lui discettava di Antonio Gramsci e pontificava sui dannati della Terra, centinaia di coop rosse, bianche e rosa si arricchivano sulla pelle degli aspiranti profughi irregolari e degli italiani. Si chiedono in tanti: poteva il neo parlamentare non sapere ciò che facevano sua moglie e sua suocera? Probabilmente non poteva, ma alla fine della fiera ciò conta relativamente. Quel che egli doveva sapere - e sapeva - è che il modello dell’accoglienza diffusa tramite coop produce abiezione e sfruttamento, consente a pochi di arricchirsi a danno di africani e autoctoni. Ma quel sistema Soumahoro non l’ha mai combattuto, e così i giornali e i politici oggi - con molto imbarazzo - si trovano a commentare tutta questa odiosa vicenda. Adesso la vescica è scoppiata, e si frigna in abbondanza. Tuttavia il vero dramma dell’immigrazione non sono i Soumahoro forse saprofiti, bensì i somari che hanno elevato lo schiavismo a modello, spacciandolo per un dovere morale.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)