2020-11-15
Sinner ha cambiato i connotati al tennis italiano
A 19 anni trionfa a Sofia: è il più giovane azzurro di sempre a vincere un Open. Dopo decenni grigi, abbiamo una star. Scomodiamolo pure, Friedrich Hölderlin, il poeta preferito del filosofo Martin Heidegger: «Dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che dà salvezza». Jannik Sinner deve aver interpretato quella considerazione alla lettera. Lui nel pericolo ci sguazza, gli piace saltellare con i suoi arti snodati da birillo bionico sulle vette del rischio come uno 007 della racchetta, guardare il burrone, fingere di caderci a strapiombo, e poi stupire i fan con il guizzo che ribalta la situazione. Sul cemento indoor di Sofia, torneo Atp classe 250, il diciannovenne altoatesino si impone 6/4 3/6 7/6 sul canadese Vasek Pospisil, numero 74 del mondo, un cognome che ricorda una popolare pista delle automobiline anni Ottanta, e 30 stagioni di vita alle spalle da tennista mestierante, privo del talento di Sinner, ma con tanta esperienza in più. Yannik porta a casa il suo primo trofeo del circuito. Superato il record di Paolo Pistolesi, è oggi l'italiano più giovane di sempre a vincere una manifestazione Atp. E sta abituando il pubblico a una sua peculiarità: partire di slancio, smarrire qualche certezza a metà partita, mantenersi freddo come un killer professionista negli scambi conclusivi. Uscendo dalla battaglia con la calma olimpica di un pescatore di fiume. Merito del sangue asburgico, che mitiga la tempra fumantina dei tennisti mediterranei, quelli, per intenderci, alla Fabio Fognini, alla Omar Camporese, alla Paolino Canè, troppo irruenti per mantenersi sempre costanti. Lottando punto su punto in una finale titanica che sembra uscita dalla penna di uno sceneggiatore in piena fregola edonista reaganiana, Sinner ha mandato in fibrillazione persino le coronarie dei cronisti Rai - la tv di stato ha cambiato il palinsesto per trasmettere il suo match in diretta, segno delle capacità d'aggregazione del campioncino -, e del pubblico bulgaro nel palazzetto, tutto dalla sua parte. Il servizio martellante, la capacità di colpire d'anticipo a velocità siderali sia di dritto sia di rovescio, il giocatore nostrano ha fatto il suo classico gioco da attaccante da fondocampo, senza rientrare nella schiatta degli arrotini, come li avrebbe definiti Gianni Clerici. Dall'altra parte, Pospisil ribatteva puntuale, mettendo in mostra la malizia che gli ha consentito di strappare un break a Sinner nel secondo set, approfittando di un calo di ritmo. A quel punto, si sono palesate due possibilità. Jannik avrebbe potuto cedere alla sindrome ansiogena del braccino, arrendendosi di fronte all'esperto contendente dal passaporto canadese, ma legato a filo doppio alle sue origini boemo-morave. La stessa genia tennistica di Ivan Lendl, Miroslav Mecir, Petr Korda. Gente che prima di alzare le mani in segno di resa, sarebbe capace di lanciarti addosso la stampella di Enrico Toti. Oppure avrebbe potuto ritrovare la lucidità perduta, sviluppando la tempra e la regolarità da metronomo caricato a pallettoni. Così ha fatto. Tenendo sempre il servizio, si è portato sul tie-break del terzo set, impostando la roulette decisiva su ciò che gli riesce meglio: sbagliare poco, conservarsi rapido a dispetto dei quasi 190 centimetri di statura, variare le percussioni delle bordate, meglio se condite da sberloni liftati. Pospisil è andato fuori giri, il dicannovenne di San Candido si è aggiudicato in un sol boccone titolo e fardello da predestinato che segna un precedente nella storia del tennis italiano. Ora non può più nascondersi. Ma con quegli occhi da Clint Eastwood piantati su un ovale riempito di carne rosa da bambino goloso di Sachertorte, è lecito credere che non sia sua intenzione farlo. Quest'anno, il suo ruolino snocciola lo scalpo del numero 6 del mondo, Stefanos Tsitsipas, nel secondo turno degli Internazionali d'Italia. Quello del numero 10, Alexander Zverev, agli ottavi del Roland Garros. Una resa onorevole contro il demiurgo delle superfici rosse Rafa Nadal, la benedizione sincera di Novak Djokovic e Roger Federer, che vedono in lui un futuro da top 5. Non scordando le vittorie dell'anno scorso: tre Tornei Challenger (Bergamo, Lexington e Ortisei), oltre alle Next Generation Finals di Milano contro l'australiano De Minaur. Pare che, senza l'anomalia della classifica impantanata a causa del Covid-19, il tennista trentino avrebbe potuto già attestarsi tra i primi 20 del pianeta. Di sicuro sarà lui a guidare la nuova generazione maschile di eredi dei Panatta e dei Pietrangeli. Una nidiata mai così feconda come quella di oggi. A fianco di Sinner, il futuro è nelle mani di Lorenzo Musetti, diciottenne rocker che alla chitarra preferisce di gran lunga la racchetta, oltre ai già consolidati Matteo Berrettini, Lorenzo Sonego e al veterano Fabio Fognini, reduce da un 2020 sfortunato con tanto di positività al coronavirus, ma determinato a tornare. Togliere le zavorre alla schiettezza, è l'unico modo per saggiare la consistenza veritativa delle proprie parole. Pure su questo, il fresco vintore dell'Atp di Sofia non si schermisce: «Sono contento della prova, di come sono riuscito a rimanere agganciato al match. Condivido questa gioia con il mio staff. Complimenti a Pospisil per come ha giocato questa settimana, spero che gli vada meglio nel 2021. Per quanto riguarda me, devo ancora lavorare tanto». Ora et labora - prega e lavora - sono del resto le due attività indispensabili per affrancarsi dal peccato. Non male per uno che di cognome fa Sinner (peccatore in inglese, appunto) e che l'unico peccato grave che potrebbe commettere sarebbe quello di non arraffare i tesori che il destino ha preparato per lui.