2023-04-02
Sinner-Alcaraz, il tennis degli dei ha trovato i suoi nuovi highlander
Jannik Sinner e Carlos Alcaraz (Ansa)
L’Ice man italiano annichilisce il numero uno al mondo e si prepara alla finale di Miami contro Daniil Medvedev di questa sera. Ma il duello andato in scena tra il trentino e lo spagnolo è solo l’inizio della sfida del futuro.Si sono presi a pallate, hanno giocato al ping pong degli dei. Nella notte dell’Italia insonne Jannik Sinner ha battuto Carlos Alcaraz, anzi alla fine lo ha annichilito in tre ore sul verde pitturato di Miami (6-7, 6-4, 6-2), neanche fosse lui il numero uno al mondo. Ha scaricato sull’infante di Spagna la rabbia sottile che lo ha accompagnato in un inseguimento metodico, lungo, cominciato agli Us Open dell’anno scorso (quando fu sconfitto in cinque set) fino a raggiungerlo qui, a gridargli in faccia che nei prossimi 15 anni chi vorrà salire sul trono dovrà domare lui, giovane uomo di montagna della generazione videogame, che da bambino preferiva le racchette da neve. Ora è in finale, stasera alle 19 il formidabile altoatesino (11º nel ranking mondiale) affronta Daniil Medvedev (numero 5), russo senza patria costretto a fare lo slalom fra le proibizioni del mondo cosiddetto liberale per giocare a tennis. Sottile e sorridente col microfono, feroce sul court, il ventisettenne moscovita ha sconfitto l’italiano (21 anni) cinque volte su cinque. Questa volta ha paura, lo ha ammesso in conferenza stampa: «Il gioco di Alcaraz è piu completo ma Jannik può colpire la palla molto forte. Il suo tennis ping pong può portare guai. Non devo sbagliare nulla». Lo ha visto migliorato dalla cura dell’australiano Darren Cahill e del suo staff; ora il servizio di Sinner funziona a meraviglia, le gambe hanno più giri e una velocità da Formula 1. Quanto alla testa, è sempre stata d’acciaio. Nessuno dei due ha mai vinto un torneo 1000. Giocate pure Napoli-Milan, ma stasera la frittatona di cipolle e la birra gelata collettiva non sono per una squadra di calcio.Nell’attesa il cuore rimane lì, al duello con Alcaraz (19 anni) che ormai dalla scorsa stagione abbiamo individuato come il parametro principale di un’intera generazione a caccia del trono da numero uno. Quando Nole Djokovic è in fuga dai green pass (come accade nell’America della democrazia bideniana a geometria variabile) i bimbi d’oro ballano. E allora il cuore non si discosta dallo 0-15 del settimo game del primo set, quando va in scena uno dei punti più spettacolari dell’anno, nella top 20 di sempre nell’era di Youtube: 24 scambi in 1’19», una boutique di colpi da fantascienza - nessuno irreale per chi ha visto all’opera Bjorn Borg, John McEnroe, Pete Sampras e Roger Federer -, ma tutti con una suspense hitchcockiana addosso. E con boato finale a incorniciare il passante incrociato dell’italiano. Mentre la palla lo trafigge, Carlos primero da terra osserva incredulo il cielo mentre Jannik in piedi, gigantesco, ringrazia per l’ovazione. Si rimane lì come paralizzati, con in testa la battuta di Snoopy: «Per il compleanno voglio in regalo una scatola di volèes di rovescio». L’unico gesto che mancava alla formidabile collezione. Alla fine il ragazzo di San Candido non è neppure incredulo, è semplicemente consapevole di essere tornato a osservare il mondo dall’alto, dove merita. «Questa è una delle mie migliori vittorie. Partita molto dura, abbiamo giocato entrambi ad altissimo livello. Da parte mia, penso di aver cambiato un paio di cose da Indian Wells a qui (allora aveva vinto lo spagnolo, ndr), cosa che ero obbligato a fare, e tutto è andato per il verso giusto. Non dirò esattamente cosa ho cambiato, ma penso che lui se ne sia accorto e la prossima volta cambierà qualcosa, quindi dovrò essere pronto. Ora con Medvedev sarà un’altra partita, molto diversa, dovrò mischiare le carte. Contro di lui non ho mai vinto, vediamo come va». Sullo scambio immortale ha un’idea precisa: «Per farlo bisogna essere in due. Allora ti diverti, percepisci l’adrenalina che ti arriva dalla folla, sei dentro una grande energia. Meglio una sfida così che pochi scambi e poi il punto. Il buon tennis è questo».Bisogna essere in due. È la regola principale del piacere, che a dividerlo raddoppia. È soprattutto la conferma che i grandi rivali si cercano perché si ammirano, parlano la stessa lingua, sanno di poter crescere insieme, di essere l’uno moltiplicatore dell’altro. Come scrive Carlo Magnani nello stupendo pamphlet Il genio, il pirata, il ribelle sulla filosofia del tennis globale, «qui il contrasto non è oppositivo ma cooperativo». Gli Highlander si riconoscono da soli. Alcaraz non ha dubbi: «Jannik è stato migliore di me e questa è la realtà, non ho perso a causa dei fastidi all’inizio del terzo set. Non sono andato in bagno per fermare la partita ma perché ero immerso nel sudore e dovevo cambiarmi. In un duello simile se ti fermi quattro minuti poi è difficile riaccendere il motore. Ho sbagliato i punti chiave, con Sinner se lo fai sei finito. Ora ho tutta la stagione sulla terra battuta per tornare numero uno».È l’ottava volta che un tennista italiano sconfigge il numero uno del mondo; la ricerca si trasforma presto da statistica in leggenda. Il primo (anche se non ufficiale perché la classifica non era a punti ma ad acclamazione) è Nicola Pietrangeli (1961), che in finale ferma Rod Laver sulla terra del Foro Italico. Poi ecco Corrado Barazzutti (Ilie Nastase), Adriano Panatta due volte contro Jimmy Connors, Gianluca Pozzi contro Andre Agassi (per ritiro da infortunio), Filippo Volandri memorabile contro Roger Federer, Fabio Fognini incredibile davanti ad Andy Murray e Lorenzo Sonego che tre anni fa nel giorno della vita manda negli spogliatoi a testa bassa proprio Novak Djokovic. A loro oggi si aggiunge il rosso dolomitico, per mille motivi destinato ad aggiornare i numeri come se fosse un tassametro vivente. Sinner, punto esclamativo. Lo aveva battezzato due anni fa Paolo Bertolucci: «Per una volta il merito è della cicogna, che ha avuto la costanza di attraversare le Alpi invece di fermarsi prima». Spavaldo ma mai arrogante, con la dinamite nel braccio e nei quadricipiti, forte di una cultura del lavoro interiorizzata da generazioni nelle malghe che furono dell’imperatore Cecco Beppe, l’Ice man italiano è come un investimento sul mattone: una certezza. Stasera, a Wimbledon, ovunque rimbalzi una pallina, con lo schützen ci sarà da divertirsi a lungo.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)