2024-01-09
Sinistra indignata dai «bavagli». Tranne i suoi
Federico Mollicone, presidente della Commissione cultura della Camera in quota Fratelli d’Italia (Imagoeconomica)
La proposta di Fdi contro le fake news fa urlare al pericolo fascismo opposizioni e media. Gli stessi che finora hanno applaudito comitati ed «esperti» anti bufale, oltre al Digital services act. Il problema, infatti, non è la libertà di stampa, ma l’ideologia del censore.E dacci oggi il nostro fascismo quotidiano... In effetti non passa giorno senza che da sinistra si levi un accorato allarme per le sorti della democrazia. L’ultimo giunge - che sorpresa - da Repubblica: un focoso editoriale di Carmelo Lopapa ci informa che l’attuale governo sta mettendo in piedi un nuovo Minculpop. La mente dietro il temibile piano oppressivo sarebbe quella di Federico Mollicone, presidente della Commissione cultura della Camera in quota Fratelli d’Italia. In una intervista concessa proprio a Repubblica egli avrebbe affermato quanto segue: «È in corso la discussione sul Tusmar per la regolamentazione dei media, nel quale affronteremo la grande questione delle piattaforme digitali. Il fatto è che la stampa è in crisi e per incrementare l’audience fa spesso wild social, social selvaggio, per cui sui portali dei maggiori quotidiani che dovrebbero essere fonti autorevoli si trovano contenuti spesso farlocchi quando non smaccatamente pubblicitari». Da queste parole, i colleghi progressisti hanno dedotto l’esistenza di una macchinazione governativa per ottenere il controllo dei media. Fratelli d’Italia, e ci mancherebbe altro, ha rapidamente smentito tramite comunicato stampa: «La notizia riportata oggi dal quotidiano Repubblica, secondo la quale sarebbe allo studio una nuova legge bavaglio, è priva di fondamento. Non è allo studio alcuna proposta di legge di Fratelli d’Italia che intenda limitare la libertà di espressione o di stampa».Nel frattempo, tuttavia, si è scatenato l’inferno. Dal Pd ai Verdi, tutta l’opposizione è insorta. E certo non poteva mancare una dichiarazione del sindacato dei giornalisti: «Emerge un insano desiderio di controllare l’informazione e le scelte editoriali dei direttori nonché di sostituirsi alle valutazioni deontologiche dell’Ordine dei giornalisti», ha detto Alessandra Costante, segretaria generale della Federazione nazionale della stampa.Ora, a noi fa sicuramente piacere che illustri colleghi e politici di prima fascia siano così sensibili al tema della libertà di stampa, tanto da scattare alla prima avvisaglia di rischio incombente. Ci permettiamo di notare, però, che qualcosa non torna: tale prontezza nella difesa del libero pensiero sembra infatti manifestarsi a corrente alternata, e soltanto quando il pericolo reale non sussiste. In altri casi - al cospetto di violazioni feroci e plateali - i solerti alfieri della libertà tacciono o, peggio, stanno dalla parte del censore. Non servirebbe nemmeno ricordare quante commissioni per il controllo dell’informazione e dei contenuti digitali abbia proposto e talvolta effettivamente creato la sinistra negli anni. Comitati anti odio, gruppi d’azione contro le fake news, iniziative per fermare il razzismo più presunto che evro... E nessuno che fiatasse: anzi tutti battevano le mani.Silenzio assenso anche al cospetto delle norme europee contenute nel Dsa, il temibile Digital services act, il quale si occuperà di silenziare i contenuti online ritenuti menzogneri. Il fatto è che non si capisce bene a chi spetterà separare il vero dal falso, e secondo quali criteri. Trattandosi di una minaccia concreta, tuttavia, i nostri combattenti per il diritto al pensiero sciolto rimangono a cuccia. Del resto accade ogni volta che dall’Unione Europea piovono bavagli e misure liberticide. Se ne deduce che, per i progressisti italiani, il problema non è che si possa schiavizzare l’informazione o imporre una mordacchia. Il problema riguarda l’identità del censore: se quest’ultimo è di sinistra, europeista, atlantista o ecologista, allora faccia pure, zittisca chi vuole.Emblematico, a tale proposito, risulta un meraviglioso reportage pubblicato ieri dalla Stampa e dedicato al nuovo leader polacco Donald Tusk. Costui, come noto, è asceso quale portabandiera dell’europeismo, idolatrato perché capace di sconfiggere alle elezioni i perfidi sovranisti del partito di destra Pis. Ebbene, il bravo Tusk - a pochi giorni dall’entrata in carica - ha provveduto a un bel repulisti al vertice della televisione pubblica, eliminando tutte le personalità legate al precedente esecutivo. Se un partito conservatore avesse fatto qualcosa di simile, mezza Europa (anche giustamente) sarebbe insorta. Ma poiché a fare calare la mannaia è l’europeista Tusk, si festeggia. La Stampa lo ha celebrato addirittura come «il Che polacco» (non è uno scherzo): un eroico liberatore del popolo dalla tirannia destrorsa. Nota di colore: Tusk dovrebbe essere - negli intenti dei suoi sostenitori liberal - colui che porterà maggiori diritti alla popolazione Lgbt della Polonia. In questo quadro, il paragone con il Che non è esattamente calzante, dato che il noto rivoluzionario con gli omosessuali utilizzò maniere non garbatissime... Mortiferi aneddoti a parte, il punto è sempre il medesimo: contro il fascismo inesistente si dà fiato alle trombe, ma verso le forme concrete e manifeste di vessazione c’è molta meno veemenza. Anzi, il più delle volte vediamo complicità totale secondo l’antico adagio: dittatura non c’è se fa comodo a me.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.