2021-04-17
Sinistra in ordine sparso a Roma L’Ulivo 2.0 di Letta è già malato grave
Enrico Letta (Samantha Zucchi/Insidefoto/Mondadori Portfolio via Getty Images)
Il segretario del Pd punta sulle primarie di coalizione. Calenda non ne vuole sapere. La Raggi, alleata di governo, va per conto proprio e fa campagna a sé. Anche il centrodestra senza un candidato condiviso«Se perdiamo a Roma il segretario si deve dimettere e finalmente alla Nazarena facciamo un congresso vero». Due perfidie in una frase. Il colonnello riformista (ex renziano rende meglio l’idea) mette già con le spalle al muro Enrico Letta arrivato da un mese e al tempo stesso deride la smania di parità di genere purchessia che attraversa le anime dem. Lo scenario è impressionista e conflittuale, non c’è pace nel Pd delle otto correnti che inneggia all’alleanza strutturale con il Movimento 5 stelle come la medicina migliore per il Paese, ma proprio nella capitale fatica a concretizzare l’Ulivo 2.0.Il segretario naviga a vista fra le buche, le discariche abusive, gli autobus incendiati, i buchi di bilancio, i cantieri eredità di cinque anni grillini. Vorrebbe rimanerne lontano, dribblare Virginia Raggi, lasciar bollire Roberto Gualtieri nel suo brodo troppo rosso. In cuor suo sponsorizzerebbe la candidatura centrista di Carlo Calenda, teme la discesa in campo di Nicola Zingaretti. E allora che fa? Indìce le primarie di coalizione. Le ha ufficializzate a Radio Immagina, l’emittente dem visibile in streaming, seduto su uno sgabello da saloon con tre orologi sul muro alle spalle, che segnano l’ora di Roma, Berlino, New York. Tutto così stupendamente obamiano.«La via maestra per individuare i candidati è quella delle primarie» ha spiegato Letta bevendo dalla borraccia Greta style. «Le amministrative sono un passaggio decisivo ma intervengono in una terra di mezzo; il centrosinistra ha vinto quando ha fatto coalizione e solo con le primarie di coalizione saremo di nuovo vincenti. Bisogna farle dovunque». Aveva individuato anche le date (13 o 20 giugno), sperava che fosse il discorso delle Piramidi, invece si è trasformato in un boomerang. Quando ha ripetuto il concetto davanti a 60 sindaci collegati via Skype c’è stata una mezza rivolta; chi ha già i candidati piazzati sui blocchi ha detto no e il tenero Enrico è stato costretto a una umiliante retromarcia: «È uno strumento flessibile, che non va imposto, sarà ogni città a decidere». Con Letta torna, declinato in ogni sfumatura, il «ma anche» veltroniano.Così si riparte da zero, anzi da sottozero perché proprio Calenda fa sapere che lui, le primarie, non le farà mai. «Il dado è tratto, scelta legittima, ma a questo punto le nostre strade si separano. Crediamo che occorra smettere di parlare solo di Pd», punzecchia il leader di Azione. «Le primarie di corrente non garantiscono un rinnovamento di classe dirigente. Auguri, ci confronteremo sui programmi». La dichiarazione equivale a una porta in faccia, per gli alleati centristi e per i riformisti del Pd il treno di Letta mostra due vagoni impresentabili: quello di Goffredo Bettini (rosso antico ma a Roma è potentissimo) e quello di Virginia Raggi. Bettini porta voti e problemi. Il primo è Gualtieri, il finto economista-chitarrista che il gran visir voleva consegnare come pacco regalo al nuovo segretario arrivato da qualche minuto al Nazareno. È il candidato della sinistra-sinistra, l’arrangiamento di Bella Ciao in chiave blues ha fatto breccia nei cuori ma non basta. Il secondo è proprio l’infatuazione per i pentastellati, da abbracciare «per la vita» mentre la parte meno massimalista del partito li considera zavorra. La pentola bolle, l’Ulivo del terzo millennio non è ancora nato e ha già la Xylella.Non sta meglio il centrodestra, più compatto come coalizione ma senza un candidato condiviso. Matteo Salvini e Silvio Berlusconi convergono su Guido Bertolaso, premiato dai sondaggi in mano al Cavaliere. «Sono convinto che lui potrebbe restituire a Roma l’orgoglio di essere capitale di questo Paese, però non decido da solo», ha detto ieri il numero uno della Lega. Traduzione: Giorgia Meloni non è convinta, vorrebbe un candidato suo. Ci ha provato con Andrea Abodi, ma non passerebbe il primo turno. Si tratta. Il vero groviglio è sul pianeta a 5 stelle. Nessuno si prende la responsabilità di cantare a Raggi «Fatti più in là». Lei si è ricandidata in autonomia, sorretta dall’ala Rousseau (Davide Casaleggio, Alessandro Di Battista), sostenuta da Beppe Grillo, tollerata da Luigi Di Maio, ignorata da Giuseppe Conte che non intende entrare nel serraglio a dirimere la questione. È molto difficile che Raggi accetti di sottoporsi alle primarie piddine, sta facendo campagna da sei mesi, posta surreali foto di marciapiedi asfaltati (un metro) e di tombini pitturati, ma comincia a temere uno sgambetto dai suoi.«Se Letta e Conte dialogano cordialmente e poi Zingaretti massacra la sindaca non va bene, per noi Raggi è irrinunciabile», commenta il senatore grillino Gabriele Lanzi che si sta occupando della pratica. Sul porfido caput mundi rischia di sgretolarsi prima di nascere il sogno di Letta, la grosse koalition alla vaccinara. «Roma sarà il nostro laboratorio politico». Per ora sembra quello di Frankenstein junior.