2025-08-23
Sindaco Sala «irritato» per il Leonka. Ma da che parte sta?
Il sindaco «incredulo e irritato» perché non l’hanno avvisato del blitz (senza intoppi) in via Watteau. Magari avrebbe voluto orchestrare una manifestazione di protesta. E poi non era proprio lui a dire che l’ordine pubblico è responsabilità di Roma? «Un’incredulità che trasborda in irritazione». Che cosa ha scosso così profondamente i nervi del povero Beppe Sala? Forse la protesta delle 4.000 famiglie che, a causa delle scelte della sua giunta di consentire la costruzione di grattacieli senza concessione edilizia, sono rimaste senza casa e senza soldi? Nooooo! Forse l’aumento della criminalità che ha collocato la capitale economica del Paese ai vertici delle città italiane più pericolose? Macchéeee! Forse allora il fatto che nonostante i divieti di circolazione per i veicoli più datati, nonostante i milioni spesi per costringere i milanesi ad andare in bicicletta, restringendo le strade e creando chilometri su chilometri di inutili piste per le due ruote, l’inquinamento e il traffico non sono diminuiti ma aumentati? Ma vaaaa’, non è nemmeno questa la causa del malumore del povero sindaco. Il quale invece è infastidito per il fatto che nessuno l’avesse preavvertito dello sgombero del Leoncavallo, ovvero di un centro sociale occupato più di trent’anni fa e mai fatto smammare fino all’altro ieri. Il prefetto di Milano lo ha chiamato «solo» poco prima che le forze dell’ordine entrassero in azione. E lui, tapino, non non ha potuto avvisare nessuno. Non i suoi assessori, non i consiglieri comunali che lo sostengono, nemmeno la sua base elettorale, che in parte ha sempre simpatizzato con gli occupanti del Leoncavallo.Quei divertenti zuzzurelloni del centro sociale da quasi mezzo secolo hanno infatti l’abitudine di prendere possesso di immobili altrui. A lungo si impadronirono dello stabile da cui hanno preso il nome, alla periferia della città. L’edificio venne trasformato in una sorta di repubblica indipendente, ovviamente di sinistra, dove i compagni potevano fare qualsiasi cosa in barba alle regole. Ogni tanto dal fortino uscivano per organizzare scorribande in città, con manifestazioni non autorizzate che non di rado finivano con il mettere a ferro e fuoco le vie del centro. Alla fine, dopo una serie di tentativi, si riuscì a sfrattarli, ma solo a capo di una guerriglia con feriti e denunce. Passata qualche settimana, la combriccola di abusivi si impadronì di una fabbrica dismessa, in via Watteau, e lì per trent’anni ha potuto vivere indisturbata, senza che nessuno provvedesse a cacciarla. Anzi, la sinistra dei Pisapia, dei Majorino e dei Sala ha coccolato gli occupanti in ogni modo, perché alla fine anche la sinistra della sinistra vota sinistra e dunque è meglio tenersela buona. Le mamme del Leoncavallo, associazione che da anni patrocina l’occupazione, sono diventate perfino interlocutrici accreditate e privilegiate del Comune.Dunque, per queste motivazioni squisitamente di bottega politica, cioè di voti di compagni e compagne, Beppe Sala è scosso per non essere stato avvisato in anticipo che gli abusivi sarebbero stati sfrattati. I suoi nervi non sono stati messi a dura prova da una condanna a pagare 3 milioni di euro per il mancato sfratto (tale è il risarcimento stabilito dai giudici a favore dei proprietari dell’edificio occupato). E nemmeno si è innervosito per i ritardi di anni con cui lo sfratto è stato eseguito. No, Sala è irritato perché approfittando delle vacanze, con gli abusivi in trasferta al mare e ai monti (anche i compagni hanno diritto alle ferie), lo sgombero è proceduto in tranquillità. Nessuna manifestazione di protesta, nessun blocco stradale a impedire che le forze dell’ordine procedessero a ripristinare la legalità. Zero intoppi. Il blitz è stato organizzato in sordina al punto che tra un gin tonic e l’altro in riva al lago, Sala non è riuscito neppure a trovare una location alternativa per gli occupanti. Già, perché alle pressioni della proprietà per ritornare in possesso dell’immobile requisito abusivamente dalla banda del Leoncavallo, il sindaco pensava di rispondere offrendo alle mamme un’alternativa, cioè un edificio di proprietà comunale. Peccato che l’affidamento di una cosa pubblica dovrebbe essere preceduto da una gara, da un contratto e anche da un affitto, e questo piccolo scoglio fino a oggi non era stato superato. Di qui l’irritazione per uno sfratto che ripristina - in ritardo - la legalità.Ovviamente, dopo aver appreso dell’«incredulità che trasborda nell’irritazione» con cui il sindaco ha accolto la notizia dell’avvenuta cacciata, vengono spontanee alcune domande. La prima è semplice: ma Sala sta con la legge o con chi la vìola? La seconda è ancor più ovvia: ma se, quando si parla di criminalità e ordine pubblico, ogni volta il sindaco alza le mani dicendo che la questione non è compito suo ma del governo, perché si impiccia di uno sgombero che è responsabilità del prefetto e del questore? Già anni fa, quando le forze dell’ordine fecero una retata intorno alla stazione Centrale, Sala reagì con stizza per non essere stato avvisato in anticipo. Dunque delle due l’una: o lui con l’ordine pubblico non ha nulla a che fare, e quindi è meglio che stia zitto, oppure, da sindaco di una maggioranza che strizza l’occhio a immigrati, centri sociali e abusivi, a costoro deve rendere conto. In tal caso sarà bene che renda conto anche dei 3 milioni che lo Stato dovrà pagare per il ritardato sgombero.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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