Adesso i sindaci dem si scoprono tifosi delle frontiere chiuse. E battono pure cassa

A sinistra sono dei veri campioni in un’arte ben poco commendevole: quella del «chiagni e fotti». Per anni hanno predicato un’accoglienza indiscriminata degli irregolari, perché le migrazioni di massa sono un fenomeno irreversibile, perché è una «battaglia di civiltà», perché «dobbiamo restare umani». Adesso che la manna dal cielo è arrivata (più di 100.000 clandestini nel solo 2023), tuttavia, ecco che i sindaci rossi hanno scoperto l’acqua calda: no, non è possibile accogliere tutti, semplicemente perché non c’è più spazio. E nessuno vuole che i centri urbani, peraltro in piena stagione turistica, si riempiano di vagabondi e sbandati. Anche perché poi i cittadini, che sono pure elettori, non perdonano.
Anziché recitare un sonoro mea culpa, con tanto di capo cosparso di cenere, i primi cittadini del Pd hanno pensato bene di dare la colpa all’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. Il prode Stefano Bonaccini ne ha fatto addirittura una battaglia politica agostana: «Urlavano porti chiusi, è finita la pacchia, prima gli italiani, ma si stanno dimostrando incapaci di gestire l’immigrazione», ha twittato con foga il governatore emiliano riscopertosi sceriffo.
Per carità, il governo sta facendo molta fatica ad affrontare l’emergenza sbarchi e le sue responsabilità sono innegabili. Ma che la predica venga proprio dal pulpito piddino lascia piuttosto interdetti. Peraltro, non ci capisce bene che cosa vogliano di preciso i sindaci di sinistra, così come l’Associazione nazionali comuni italiani (Anci), capitanata dal primo cittadino di Bari, il dem Antonio Decaro. Pretendono uno stop agli sbarchi o più soldi dallo Stato? Non è molto chiaro.
Già un mese fa, a lanciare il «contrordine compagni» era stato il governatore della Toscana, il piddino Eugenio Giani, che non ne voleva sapere di accogliere 3.000 immigrati in arrivo da Lampedusa: «Il criterio scelto dal governo ci penalizza», aveva tuonato il successore di un altro fan dell’accoglienza indiscriminata, Enrico Rossi. Sarà che la rossa Toscana ha sempre avuto una certa allergia per i migranti, come dimostrò più volte Capalbio, il tempio del radicalchicchismo italico. Va bene dedicar loro un monumento (la Nave della Tolleranza), ma per favore fuori i profughi dal nostro angolo di paradiso maremmano.
Che la coperta sia corta l’ha denunciato pure il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, che ha inviato una lettera di diffida al Viminale, sottolineando che il Comune orobico ha anticipato di tasca propria 5 milioni di euro per i minori non accompagnati. Esatto, parliamo dello stesso Gori che, a inizio 2019, bocciò il decreto Salvini perché «produce irregolarità e insicurezza». Dopo ondate di irregolari affluiti nella sua città, ecco che ora il primo cittadino bergamasco piange miseria.
Anche Matteo Biffoni, sindaco di Prato e responsabile Anci immigrazione, batte cassa: «Lo Stato in teoria ci darebbe 100 euro al giorno per ogni minore direttamente sotto la nostra responsabilità, ma spesso questa cifra non basta, perché deve coprire eventuali affitti, se non abbiamo strutture disponibili, e poi gli operatori, i consulenti linguisti, gli psicologi, oltre che il vitto e la garanzia di altri servizi quotidiani». La soluzione? Servono almeno 140 euro a migrante. In pratica, gli immigrati sono troppi, le strutture non ci sono, i soldi scarseggiano, ma Biffoni vuole ancora più soldi per strutture che, appunto, non ci sono. Geniale.
Dopo aver vantato per anni il suo presunto modello virtuoso, persino Gianluca Galimberti, il sindaco di Cremona, ha dovuto alzare bandiera bianca: «Siamo alla saturazione completa, abbiamo già superato il limite, oltre non possiamo andare». Insomma, pare essere arrivato il momento di rivedere la propria posizione sull’accoglienza indiscriminata. Macché: «Il governo la smetta di usare l’immigrazione come clava per motivi elettorali», è insorto Galimberti. Probabilmente un po’ confuso.
Tra lacrime di coccodrillo frammiste ad accuse alla Meloni, c’è pure chi è pronto a fare le barricate, come Sergio Giordani, il primo cittadino di Padova. Eletto nel 2017 grazie al Pd, Giordani è stato categorico: «Padova non vuole tendopoli, non vuole dover pagare conseguenze di modelli sbagliati». Il sindaco è irremovibile: «Questo è il confine che mi sono dato, e su questo sono pronto a battermi in tutti i modi e in tutte le sedi, a difesa della città e anche della nostra comunità provinciale, un messaggio che desidero recapitare soprattutto al governo nazionale in via preventiva». Parole forti.
Ma l’apice è stato toccato probabilmente da Beppe Sala, e già in tempi non sospetti: «Sul nostro territorio continuano ad arrivare migranti, in modo silenzioso e senza alcun coordinamento tra istituzioni nazionali e regionali», aveva denunciato il sindaco meneghino. Per poi aggiungere: «Siamo preoccupati che la situazione possa sfuggire di mano». Eh già: dopo aver trasformato Milano in un centro d’accoglienza a cielo aperto, Sala adesso ha timore che possano crearsi «tensioni sociali». Chi l’avrebbe mai detto. E pensare che, ai tempi dei decreti Sicurezza, il sindaco dai calzettoni arcobaleno aveva avvisato così Matteo Salvini: «Dobbiamo avere la consapevolezza che senza immigrati la città si ferma. Essere una città aperta e internazionale significa anche accogliere chi decide di costruire qui un futuro migliore. Questa capacità è uno degli elementi di forza di Milano, dove il 19% della popolazione è di origine straniera. Il decreto Sicurezza così non va». Le ultime parole famose.






