2024-11-30
Sindacati sempre in piazza e mai in fabbrica
Le immagini di Giorgia Meloni e del ministro Guido Crosetto date alle fiamme ieri a Torino (Ansa)
Maurizio Landini ripropone le stesse ricette del passato: cassa integrazione e braccia incrociate. Ma i dossier su cui dovrebbe puntare sono la politica industriale, le nuove tecnologie e la formazione dei dipendenti. Tutti temi ignorati, a scapito dei lavoratori.In piazza ma mai in fabbrica. Potrebbe essere il biglietto da visita di Maurizio Landini e di quei sindacalisti che ne seguono orme e approccio politico. E non stiamo qui a dilungarci sulle scelte di fare una campagna politica come fosse l’altro pilastro dell’opposizione rispetto a Pd e al M5s. Ma ci riferiamo alle ricette che questo modello di sindacato porta avanti apparentemente a favore dei lavoratori e dei pensionati. Ieri il numero uno della Cgil, in mezzo ai tanti slogan anti governativi, ha gridato che è arrivato «il momento di rivoltare l’Italia» come un guanto. Salvo poi ribadire le ricette degli ultimi mesi e persino anni. Innanzitutto la cassa integrazione per i lavoratori, poi la geniale idea della ridistribuzione della ricchezza. Ieri con l’aggiunta della citazione diretta dei dividendi. Landini ha spiegato che in questi ultimi due anni le aziende (in scia alle banche) hanno portato a casa ricchi dividendi. Ciò è inaccettabile per Landini. Il quale vorrebbe che ne beneficino i lavoratori, ignorando volutamente il Codice civile e anche il ruolo che ricoprono gli azionisti di società di capitali ai fini dello sviluppo sociale. Ieri ci sarebbero stati più punti si cui soffermarsi, se Landini avesse deciso di non percorrere il populismo sindacalista. Ieri ad esempio sono stati diffusi i dati dell’export, dell’inflazione e della produzione industriale. Il primo parametro non è entusiasmante come nei mesi precedenti, il secondo è in crescita anche se in linea con le attese (e questo non è una notizia positiva per le famiglie). Il terzo, quello sulla produzione industriale è in peggioramento e lo è seguendo un trend negativo. A fronte, la componente relativa ai conti pubblici è in miglioramento, così come i parametri generali dell’economia. In un report diffuso sempre ieri da Jefferies, società di investment banking, si descrive perfettamente come la crescita dell’Italia post Covid sia ben al di sopra della media Ue e si rimarcano solo due punti di debolezza. Uno, l’invecchiamento del Paese. Due, un possibile colpo di coda del Superbonus targato Conte, contro il quale il numero uno della Cgil non è certo mai andato in piazza a manifestare. Ciò che ai nostri sindacati sembra mancare più di tutto è la consapevolezza del cambio di passo dell’economia mondiale e delle logiche del lavoro. Ancor di più la volontà di partecipare a piani e visioni strategiche. I sindacati americani come Uaw hanno dimostrato perfettamente di sapersi muovere a braccetto con Sergio Marchionne, dopo aver inciuciato con Barack Obama per salvaguardare l’investimento che avevano fatto nel colosso di Detroit. Gli è andata bene. Ora con Stellantis è un altro mondo. Ma in ogni caso la Cgil non ha nemmeno provato a farsi infilare nel consiglio di amministrazione della nuova società frutto della fusione tra Fca e i francesi di Psa. Non solo, sull’intera strategia dell’elettrico i sindacati italiani come quelli europei hanno sbagliato tutto. Non hanno compreso nemmeno di striscio il significato della transizione verde e i pericoli che avrebbe innescato per l’industria del Vecchio Continente. Non hanno capito che le migliaia di posti di lavoro perduti non si trasformeranno mai in altri impieghi. O meglio, un fetta si convertirà, ma mai nella sua interezza. Perché per definizione la transizione green prevede un perimetro produttivo di veicoli decisamente più ristretto. Senza contare - e qui sta la gravità del cieco atteggiamento dei sindacati - che la transizione implica anche una perdita di sovranità tecnologica. E senza tecnologia proprietaria i posti di lavoro saranno sempre da elemosinare. Personalmente, c’è anche un ulteriore tema che colpisce. Forse più di quelli elencati fino a qui. Cioè la formazione. È incredibile che il sindacato abbia del tutto abdicato a impegnarsi nel settore della formazione. Abbia deciso di non supportare mai l’evoluzione digitale dei dipendenti. La capacità di aggiornarsi per essere più competitivi e quindi guadagnare di più.Basti pensare che meno di un mese fa la Cgil di Grottaglie ha deciso di non accettare un bonus di 1.500 euro per coloro che segnalano a Leonardo personale idoneo e disponibile a un immediato inserimento. L’alternativa è andare avanti con la cassa integrazione. Insomma, è la risposta plastica all’incapacità di adeguarsi ed essere costruttivi. Un sindacato non può pensare sempre a essere distruttivo, perché alla fine a pagare sono i dipendenti. A meno che questi ultimi siano solo una scusa per poter andare in piazza a denunciare il pericolo fascismo temendo che la migliore delle Costituzioni sia a rischio. L’unica politica di cui i sindacati dovrebbero occuparsi è quella industriale. Potrebbero farlo sia sulla transizione green, sul futuro dell’acciaio e, perché no, sull’uso dei dazi verso la Cina o dagli Usa. Forse pretendiamo troppo. Più comodo così. Peccato veramente: il dialogo sui dossier veri farebbe proprio comodo a quella democrazia che la Cgil ogni giorno sostiene di difendere.
(Totaleu)
«Strumentalizzazione da parte dei giornali». Lo ha dichiarato l'europarlamentare del Carroccio durante un'intervista a margine della sessione plenaria al Parlamento europeo di Strasburgo.