2023-05-05
Il Pd del Jobs act con i sindacati protesta contro l’aumento dei salari
Elly Schlein e Maurizio Landini (Imagoeconomica)
A Bologna domani la prima di tre manifestazioni. Si replicherà nei sabati successivi a Milano e Napoli. Elly Schlein contesta un provvedimento che prevede più tutele per i lavoratori rispetto a quello dei dem.Il campo largo della sinistra è talmente poco largo che non c’è posto per tre persone insieme, soprattutto se quelle persone si chiamano Maurizio Landini, Elly Schlein e Giuseppe Conte. La manifestazione convocata da Cgil, Cisl e Uil per sabato prossimo a Bologna, contro il decreto Lavoro varato dal governo guidato da Giorgia Meloni lo scorso 1° maggio, intitolata «Per una nuova stagione del lavoro e dei diritti», è la prima di tre tappe: si replica il 13 maggio a Milano e il 20 maggio a Napoli. Alla manifestazione sarà presente la segretaria dei dem ma non il leader del M5s. «Non giocate su queste cose», dice Conte ai cronisti che gli chiedono che problema abbia a scendere in piazza insieme alla Schlein, «ci saranno tante iniziative siamo in campagna elettorale, ognuno ha le proprie agende»; «Il M5s sabato sarà in piazza a Bologna», gli fa eco la vicepresidente pentastellata Alessandra Todde, a La7, «per la manifestazione dei sindacati. Il presidente Conte è molto impegnato in campagna elettorale, ma noi saremo presenti». Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? La celeberrima battuta di Nanni Moretti si adatta alla perfezione al clima che regna all’interno di quella che fu la coalizione giallorossa, poi diventata campo largo, con Giuseppi che soffre la leadership della Schlein, il che è tutto dire.Contraddizioni politiche che diventano un vero e proprio corto circuito quando si entra nel merito dei provvedimenti. Il decreto Lavoro varato dal governo Meloni, che tanta indignazione provoca soprattutto nella Cgil e nel Pd targato Schlein, va messo a confronto con gli altri due provvedimenti che negli ultimi anni hanno cambiato le regole del mercato del lavoro in Italia: il Jobs act varato dal governo guidato da Matteo Renzi e nel 2014, e il decreto Dignità messo a punto dal primo esecutivo guidato da Giuseppe Conte, quello Lega-M5s, nel 2018.Il Jobs act by Renzi ebbe un impatto fortissimo sulle tipologie contrattuali. Scardinò sostanzialmente l’articolo 18, ma andò anche a incidere in maniera molto forte sui contrati a tempo determinato. Fu eliminato l’obbligo di dichiarare la causale per giustificare l’esistenza di un termine nel contratto: si parlò appunto di contratto a termine a-causale. Venne stabilita per i contratti a termine una durata massima di 36 mesi e un numero massimo di 5 proroghe. Fu anche introdotto un limite massimo alla stipula dei contratti a tempo determinato da parte di uno stesso datore di lavoro: il numero dei contratti a termine non poteva superare il 20% del numero di lavoratori a tempo indeterminato in una azienda.Con il decreto Dignità targato Conte sono state reintrodotte le causali per giustificare la stipula di contratti a tempo determinato, tranne che per il primo e per una durata non superiore ai 12 mesi, e solo se tra il datore di lavoro e il lavoratore non sia mai stato stipulato un contratto in precedenza. Nel caso in cui il contratto dovesse avere una durata superiore ai 12 mesi o essere prorogato, la causale diventa obbligatoria. Tra l’altro queste causali sono molto stringenti, e un contratto a tempo determinato può essere rinnovato, solo per altri 12 mesi, e soltanto per motivi di straordinarietà rispetto alla organizzazione dell’impresa.Il decreto Lavoro approvato dal governo Meloni prevede nella sostanza la possibilità di stipulare contratti a termine senza causale per i primi 12 mesi e allarga un po’ le maglie delle causali che possono giustificare una proroga, e comunque sempre per non più di 24 mesi in totale.Per farla breve, il decreto Lavoro by Meloni rappresenta una via di mezzo tra la liberalizzazione spinta di Renzi e la stretta di Conte, anche se va sempre ricordato che poi, con la pandemia, le regole si allentarono un po’ per adeguarle al periodo catastrofico che si stava vivendo. Eppure, quel Pd approvò granitico e compatto il Jobs act di Renzi, con la sua deregulation, e contro la Cgil all’epoca guidata da Susanna Camusso, che contro quella legge tutta targata dem convocò perfino uno sciopero generale, insieme alla Uil , il 12 dicembre 2014 (la Cisl si smarcò). In sintesi: il Pd di Elly Schlein va in piazza insieme alla Cgil contro un provvedimento che, rispetto al Jobs act del Pd di Matteo Renzi, contrastato invece dal sindacato, prevede più tutele per i lavoratori, e intanto il M5s pure va in piazza insieme alla Cgil, ma senza il suo leader che ha cose più importanti da fare proprio sabato prossimo. Come se non bastasse, il leader della Uil, Pierpaolo Bombardieri, dichiara che «la mobilitazione non nasce sul decreto Lavoro ma è stata decisa su una serie di temi generali un mese e mezzo fa», smentendo un po’ tutti. Siamo di fronte a un esempio cristallino di incoerenza politica, di insussistenza di una linea comune che possa unire l’ex coalizione giallorossa, ora campo largo. Un attacco a tre punte, Landini, Conte e Schlein, formato da tre protagonisti che non solo non si passano mai la palla, ma che spesso e volentieri si ostacolano e si strattonano tra di loro. La spiegazione delle ripetute sconfitte della squadra giallorossa alla fine è tutta qui.
Robert F.Kennedy Jr. durante l'udienza del 4 settembre al Senato degli Stati Uniti (Ansa)
Antonio Decaro con Elly Schlein a Bari (Ansa)