2023-05-07
La sigle si divideranno sullo sciopero
Luigi Sbarra, Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri (Ansa)
Le differenze nella Triplice verranno fuori quando l’ex Fiom alzerà di nuovo i toni. Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri chiedono autonomia dalla politica, gli altri «ostentano» i legami.Poco da dire, ieri la fotografia della piazza in mobilitazione ci ha consegnato l’immagine dei sindacati uniti. Cgil, Cisl e Uil, come un unico corpaccione che manifesta per chiedere al governo di tutelare di più i lavoratori. E del resto le rappresentanze sociali fanno il loro mestiere. Ma se dalla fotografia si passa alla sostanza è facile leggere che contenuti e obiettivi delle tre sigle divergono e che con ogni probabilità queste macroscopiche differenze verranno fuori quando si arriverà al dunque. Quando cioè le parole del numero uno della Cgil, Maurizio Landini, «gli scioperi generali non si minacciano ma si fanno quando è il momento di farli» diventeranno, appunto, fatti. Perché non è una questione di se, ma è solo una questione di tempo. Quando Landini deciderà di alzare i toni. Ecco, di fronte all’ineludibile è facile pronosticare che Cisl e Uil si troveranno ad affrontare un bivio. Seguire la linea barricadera o fare un passo indietro? Se i bookmaker della politica accettassero una scommessa le puntate più corpose sarebbero concentrate su una nuova spaccatura, con il sindacato di Luigi Sbarra (come del resto successo in passato con altri segretari) dato in pole position per smarcarsi e abbandonare il compagno «rosso». La Cisl e con toni più attenuati la Uil - anche nelle dichiarazioni di ieri - mettono al centro del tavolo il dialogo. Sbarra e Bombardieri chiedono al governo di essere ascoltati, magari non a cose fatte. Non chiedono di dettare la linea, ma di poter contribuire e dare possibilmente una spinta a quelli che sono i provvedimenti a loro più cari. «Il nostro obiettivo - evidenziava lo stesso leader della Cisl - in una recente intervista è quello di rinsaldare il filo del dialogo sociale con il governo».Per entrare nel merito, sia dalla Cisl che dalla Uil arriva l’ammissione che il taglio del cuneo del governo è un provvedimento importante che va nella giusta direzione, poi certo c’è la sottolineatura della necessità di fare di più perché con un’inflazione che galoppa all’8% le difficoltà degli strati più deboli della popolazione aumentano. Ma almeno si resta sui fatti e non si trascende nell’ideologia di chi boccia a prescindere qualsiasi cosa venga fatta da un governo di centrodestra. Non solo. Sulle modifiche ai contratti a termine ci sono dei distinguo. Per la Cgil è tutto da buttare, per gli altri non è così. Mentre sul salario minimo, le posizioni della Cisl e della Uil sono più vicine a quella della Meloni («Non serve nessuna legge») che a quella del Partito democratico e della Cgil. Per i primi il salario minimo rischia di comprimere ancora di più il reddito, eliminando le altre integrazioni economiche previste dai contratti nazionali, per i secondi è una questione di civiltà che ci metterebbe alla pari degli altri Paesi europei e non solo. Per non parlare di un vecchio cavallo di battaglia della Cisl, quello sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, che adesso è supportato da una raccolta firme per una legge di iniziativa popolare. Battaglia rispetto alla quale la Cisl non ha mai ricevuto sponde. Oltre ai contenuti a dividere le tre sigle è il cordone inestricabile che, come da tradizione, lega la Cgil alla politica di sinistra. Che oggi si materializza nella forte vicinanza al Pd, a trazione Schlein, e al Movimento Cinque Stelle. Un legame che ieri è stato reso in modo plastico dall’abbraccio tra Landini e il nuovo segretario democratico. Nella stessa intervista di cui sopra il segretario della Cisl era stato chiaro: «Non vogliamo nessun politico sul palco altrimenti verrà snaturato il nostro ruolo». Di politici sul palco non ne sono saliti, ma ha fatto rumore la presenza del segretario del Pd Elly Schlein in piazza, tra le gente. Al di là del significativo siparietto con un lavoratore arrivato da Napoli che ha provato a incalzarla, «Elly, chiamm ‘o sciopero!», ricevendo un sorriso dalla numero uno dem e una risposta, «Mica è la leader della Cgil», alquanto eloquente da una manifestante, ha fatto rumore perché si è «beccata» qualche fischio, e perché ha dato l’evidenza palese della differenza tra la Cgil e gli altri sindacati. Differenza che viene resa nel migliore dai modi in un tweet del segretario dei metalmeccanici della Cisl Roberto Benaglia: «Carissima Elly Schlein», cinguetta sul social il sindacalista, «tutti i leader del centrosinistra si sono sempre schierati con i metalmeccanici uniti e non tra i metalmecanici. Cinquant’anni di lotte hanno insegnato ai metalmeccanici una cosa fondamentale: l’autonomia del sindacato dalla politica paga sempre!». Rappresentanti dei lavoratori fuori dalla politica: una vecchia diatriba tra riformisti e massimalisti del sindacato. Che di solito - questione di tempo - porta a una loro separazione.
Giorgia Meloni e Donald Trump (Getty Images)
il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi (Ansa)
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