
Il secondo capitolo della trilogia scritta da Hugh Howey approda oggi sulla piattaforma streaming: dieci episodi, un ritmo incalzante e pure un'ottima qualità, di scrittura e di fattura.Un passo indietro, doveroso, al 2011, all'anno in cui Hugh Howey ha scritto il primo romanzo. Wool è uscito allora, in un mondo televisivamente lontano dal pluralismo di oggi, dalla bulimia cui l'avvento dello streaming ha indotto gli Studios. Wool è uscito agli albori di Game of Thrones, quando ancora Netflix non esisteva. Due altri libri gli hanno fatto seguito, due altri successi. Eppure, l'industria dell'intrattenimento ha impiegato tredici anni a tradurre quella frenesia letteraria in una saga televisiva. E a guardarla, oggi, la saga tratta dai libri di Howey, si ha una sensazione strana, un senso di straniamento. Come ad assistere alla personificazione di un anacronismo: qualcosa fuori dal tempo, bello, bellissimo, ma collocato in una dimensione che non gli è propria.Wool, cui sono seguiti Shift e Dust, romanzi che hanno consentito a Howey di ribattezzare la trilogia Saga del Silo, è approdato su Apple Tv+ lo scorso anno, ribattezzato semplicemente Silo. Pochi episodi, un ritmo incalzante. Pure, un'ottima qualità, di scrittura e di fattura. Silo, cui il servizio streaming ha dato una seconda stagione, disponibile online da venerdì 15 novembre, si è rivelata bella. Bella al pari di tante altre serie. Bella, però, come lo sono già state tante altre serie, troppe. Lo show, storia di un mondo in rovina, in cui quel che resta dell'umanità è costretto a vivere sottoterra, porta in sé l'eco di altre narrazioni. Di altri cataclismi, di altre difficoltà, di altre lotte. C'è Snowpiercer, e quel treno che non la smette di girare, ossessivo e veloce, intorno ad un pianeta ridotto in cenere. C'è Westworld. C'è ogni distopia sia stata masticata negli ultimi anni e risputata fuori, più e meno bene. E c'è, però, una trama che regge, ben scritta, ben recitata: la storia dello sceriffo Holston Becker (David Oyelowo) e di sua moglie Allison (Rashida Jones).I due abitano gli spazi angusti di un edificio di 144 piani, sepolto un miglio al di sotto una Terra in rovina. Lo abitano senza troppi pensieri, troppe domande. Felici, quasi, fino al giorno in cui ottengono il permesso di avere un figlio. Il chip di controllo delle nascite, che il governo impone alle sue donne nel tentativo di contenere il sovraffollamento del palazzone, viene rimosso dal corpo di Allison, così che possa provare a concepire. I messi passano e nulla accade. Sospetti si affacciano alla mente dei due, e con loro ipotetiche macchinazioni dei potenti. Macchinazioni che riguardano la natura del Silo, città autonoma, macchinazioni che ritornano nella seconda stagione dello show, interpretata da Rebecca Ferguson, ingegnere nella serie. La Ferguson, Juliette nello show, è deputata ad inadagare, nel secondo capitolo di Silo, sulla morte di una persona cara. E, di nuovo, nel farlo, scoperchia un vaso di Pandora, di misteri, di brutture. Il silo è al centro di tutto, di nuovo. E, di nuovo, si ha l'impressione di aver già visto, sebbene questo già visto non tolga nulla alla piacevolezza della serie.
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L’ex magistrato Luca Palamara: «Grosso, leader del comitato anti riforma, mi tira in ballo per il “vecchio sistema opaco” del Csm e dice che è già stata fatta pulizia. Dovrebbe essere più prudente. Probabilmente ignora come siano stati nominati i suoi prossimi congiunti».
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