2023-10-05
Ma quale fame e guerre: gli immigrati vogliono avere bei vestiti. Parola di Seydou Sarr
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L’attore di «Io capitano» tiene alle Iene un sermone pro immigrazione. Ma il messaggio che passa va in senso contrario: ad attirare qui gli africani, dice, è la bella vita vista sui social network, non i conflitti.Gli immigrati non fuggono da fame e guerra. A volte sono felici a casa loro, benché poveri. E se decidono di venire in Europa è perché vedono i nostri profili social, vogliono avere vestiti belli e, soprattutto, perché non si rendono conto delle durezze che il viaggio comporta. Vi paiono argomenti anti immigrazione? Pensate che li abbiano pronunciati Matteo Salvini, Giorgia Meloni o magari qualche giornalista della Verità? Niente di tutto questo: si tratta dei contenuti dell'incredibile sermone tenuto due sere fa a Le Iene (https://www.iene.mediaset.it/video/monologo-seydou-sarr_1282914.shtml) da Seydou Sarr, il giovane attore che ha vinto il Premio Mastroianni come protagonista di Io capitano, il film di Matteo Garrone presentato all’80esima Mostra del Cinema di Venezia, dove ha portato a casa il Leone d’Argento alla miglior regia. La pellicola racconta il viaggio di due ragazzi che dal Senegal decidono di raggiungere l’Europa. Per questo si affidano a trafficanti e passeur, attraversano il deserto, arrivano in Mali e in Libia, venendo torturati e sfruttati. Sarr ha 21 anni ed è senegalese. Al termine di un servizio strappalacrime sull'immigrazione, il programma Mediaset ha lasciato la parola al ragazzo, presente in studio e vestito con il classico completo nero da iena. Parlando nella sua lingua natale sottotitolata, con solo qualche frase pronunciata in italiano, Sarr ha tenuto quello che doveva essere un discorso in favore dei migranti, ma che a ben vedere si è rivelato l'esatto contrario. Ecco il testo integrale:“In Italia parlate molto di immigrazione ma nessuno si chiede come vive chi sta in Africa, chi lavora per sfamare una famiglia intera, sognando attraverso Instagram e TikTok la vostra vita agiata, ascoltando la musica che va di moda, indossando la maglia dei calciatori di Serie A – il mio preferito è Osimhen. Vi sembra strano se sogniamo una vita così? Basta questo per partire, anche perché ci parte non conosce il prezzo che si paga per attraversare il deserto. Potranno dirgli: 'Ci sono morti dappertutto lungo la strada' o 'In Europa la gente dorme sulle panchine', ma la voglia di andare è più forte. Non fuggiamo solo dalla guerra, c'è anche chi ha una vita felice ma povera e sogna di indossare vestiti belli come i vostri, avere un futuro stabile come voi e ricevere un'adeguata istruzione scolastica. È un desiderio legittimo, niente lo può fermare. Non i muri, non il filo spinato, non l'assurda richiesta di pagare 5.000 euro per evitare la detenzione. Siamo esseri umani come voi. Avete molte più cose, ma fra queste c'è la paura del futuro. Noi possiamo insegnarvi a non averla”.Ora, il discorso punta tutto sull'emotività e in qualche punto è contraddittorio. Ma dice anche alcune cose molto chiare che, se lette con attenzione, non vanno esattamente a favore della retorica immigrazionista. Sarr descrive un’Africa povera ma felice (parole sue), in cui non si fugge solo per la guerra o la fame. Per lo più si fugge per sognare una vita più agiata, per avere vestiti alla moda o un tenore di vita più alto. Il tutto, ovviamente mediato dalla vetrina ingannevole dei social, dove la vita di chiunque sembra sempre piena di agiatezze e soddisfazioni, o magari dalla vita da favola delle star del nostro calcio. Non che queste aspirazioni siano in sé incomprensibili o censurabili: tutti aspirano ad avere più agi, più ricchezze e più comodità. Il punto, tuttavia, è che non esiste un diritto a installarsi in un Paese straniero per avere “vestiti come i nostri”. Nessun ordinamento sancisce il diritto inalienabile a vivere così come si vede su Instagram. Quel che colpisce insomma è la sproporzione tra il movente e la pretesa di passare sopra a confini, leggi, identità. Per non parlare del fatto che se si vuole ricevere “un’adeguata istruzione scolastica” si potrebbe cominciare a lottare in patria per migliorare le cose.Colpisce, nel racconto, anche la descrizione dell’ignoranza di fondo dei rischi delle traversate. Certo, nel sermone confuso e un po’ pasticciato Sarr sembra dire che, anche se sapessero i pericoli, i migranti ci proverebbero lo stesso (ma ci permettiamo di dubitare: davvero c’è chi rischierebbe la tortura o l’annegamento per avere dei vestiti di marca?). Ma comunque mette il dito in un’altra piaga: quella dell’inconsapevolezza. Cosa che, peraltro, smonta sul nascere un argomento tipico dell’immigrazionismo, ovvero quello per cui i rischi stessi affrontati dai migranti sarebbero la prova del fatto che ciò da cui fuggono è ancor più terribile. Con la sua faccia da bravo ragazzo, Seydou Sarr ci ha appena spiegato che non è così.
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