2023-06-10
37 capi d'accusa per Trump. Adesso gli danno la caccia i federali
Donald Trump (Getty Images)
L’ex presidente è accusato di aver nascosto nella propria abitazione documenti riservati della Casa Bianca. Martedì in tribunale a Miami. E si scopre che la moglie del procuratore produsse film su Michelle Obama.I repubblicani hanno visionato un documento che conterrebbe le prove di una mazzetta milionaria per aiutare un oligarca ucraino. Il Bureau: «È usato in un’indagine in corso».Lo speciale contiene due articoli.Nuova tempesta giudiziaria su Donald Trump. L’ex presidente è stato incriminato dal procuratore speciale, Jack Smith, per aver trattenuto dei documenti classificati dopo aver lasciato la Casa Bianca a gennaio 2021: dovrà quindi presentarsi in tribunale a Miami martedì alle ore 21 italiane. Diventato ormai il primo ex presidente a subire un’incriminazione federale, Trump si accinge ad affrontare sette capi d’imputazione, tra cui ostruzione alla giustizia, distruzione o falsificazione di documenti, associazione per delinquere e false dichiarazioni. In particolare, una delle accuse riguarda la violazione alla sezione dell’Espionage Act, che proibisce di trattenere documenti concernenti la «difesa nazionale». Ricordiamo che Smith era stato nominato dal procuratore generale, Merrick Garland, a novembre per indagare su Trump in riferimento agli incartamenti classificati - confiscati dall’Fbi nella sua villa in Florida ad agosto - e al tentativo di ribaltare le elezioni del 2020. Secondo la Cnn, il procuratore sarebbe in possesso di un audio del 2021, in cui Trump sembra ammettere di detenere materiale classificato. «Da presidente avrei potuto declassificarli, ma ora non posso più», avrebbe detto l’ex presidente, secondo una trascrizione dell’audio ottenuta e pubblicata dalla testata, mentre mostrava dei documenti nel corso di una riunione. Se esiste ed è autentico, questo audio potrebbe ovviamente creare dei problemi rilevanti alla difesa legale di Trump, che puntava a sollevare il precedente di Hillary Clinton. L’Espionage Act è infatti una farraginosa legge del 1917 che è sempre stata bollata dalla sinistra americana come lesiva delle libertà civili. Ebbene, anche la Clinton fu sospettata di averla violata in relazione alla nota vicenda delle email classificate. Eppure, a luglio 2016, l’Fbi decise di non incriminarla, non perché non ci fossero irregolarità ma perché non fu considerato dimostrabile che quelle irregolarità fossero state commesse consapevolmente. «Sono un uomo innocente», ha dichiarato l’ex presidente. «Il procuratore speciale nominato da Biden mi ha incriminato in un’altra caccia alle streghe riguardo a documenti che avevo il diritto di declassificare come presidente degli Usa», ha aggiunto. Gran parte del Partito repubblicano ha fatto quadrato attorno a lui: dallo Speaker della Camera Kevin McCarthy ai senatori Ted Cruz e Josh Hawley. Ad accusare l’amministrazione Biden di usare politicamente la Giustizia sono stati anche alcuni dei principali rivali di Trump per la nomination repubblicana, come Ron DeSantis e Tim Scott. La domanda a questo punto è: la nuova incriminazione avvantaggerà l’ex presidente, come accaduto con quella arrivatagli dalla procura distrettuale di Manhattan a marzo? È presto per dirlo, ma Trump punterà prevedibilmente il dito contro alcuni elementi che lasciano oggettivamente perplessi. In primis, non si capisce che fine abbia fatto Robert Hur: il procuratore speciale, nominato da Garland a gennaio, per indagare sui documenti classificati trattenuti indebitamente da Joe Biden almeno dal 2017. Secondo Nbc News, questa inchiesta starebbe andando stranamente a rilento. Inoltre: mentre continuano a essere fatte trapelare alla stampa informazioni riservate relative all’indagine di Smith, non si sa praticamente nulla di quella che sta conducendo Hur. Per quale ragione? Ma emerge un’ulteriore bizzarria: Smith ha impiegato appena sette mesi per incriminare Trump, mentre la procura federale del Delaware sta indagando su Hunter Biden per sospetti reati fiscali dal 2018 e ancora non si è arrivati a uno straccio di conclusione. Se non è stato trovato nulla, perché l’indagine è ancora aperta? E se invece è stato trovato qualcosa, perché il figlio del presidente non è ancora stato incriminato? Va ricordato che, il mese scorso, un funzionario dell’Agenzia delle entrate americana, Gary Shapley, ha denunciato interferenze nell’inchiesta su Hunter da parte del Dipartimento di Giustizia. Un ulteriore elemento da sottolineare è che il procuratore speciale Smith è stato nominato da Garland, il quale è a sua volta stato nominato da Biden nel 2021: quello stesso Biden che potrebbe dover sostenere un duello elettorale con Trump l’anno prossimo. Vale anche la pena di sottolineare che Smith è sposato con Katy Chevigny: la produttrice di Becoming, il documentario del 2020 dedicato all’ex first lady, Michelle Obama. Non solo. Secondo il New York Post, la Chevigny avrebbe effettuato anche delle donazioni alla campagna elettorale di Biden del 2020. Lo stesso Smith divenne capo della Public Integrity Section del Dipartimento di Giustizia nel 2010: ai tempi, cioè, dell’amministrazione Obama (in cui Biden ricopriva il ruolo di vicepresidente). Secondo l’Associated Press, quell’anno Smith ricevette gli elogi di Lanny Breuer: l’allora assistente procuratore generale, nominato dallo stesso Barack Obama nel 2009. Infine, ma non meno importante, la credibilità stessa dell’Fbi è crollata dopo il rapporto del procuratore speciale, John Durham, che ha mostrato tutte le storture commesse dai federali contro Trump in relazione al cosiddetto caso Russiagate (poi risoltosi in una bolla di sapone). Ecco: è proprio su tali stranezze e doppiopesismi che farà leva l’ex presidente in campagna elettorale. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sette-nuovi-guai-giudiziari-trump-2661186140.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ce-un-file-dellfbi-che-inguaia-biden" data-post-id="2661186140" data-published-at="1686388733" data-use-pagination="False"> C’è un file dell’Fbi che inguaia Biden Nello stesso giorno in cui è arrivata la seconda incriminazione di Donald Trump, i deputati repubblicani hanno potuto finalmente visionare il documento dell’Fbi, datato 30 giugno 2020, che accusa Joe Biden di corruzione con un soggetto straniero ai tempi della sua vicepresidenza (svoltasi dal 2009 al 2017). Secondo quanto risulta a Fox News, tale incartamento sostiene infatti che Biden e il figlio Hunter avrebbero ricevuto cinque milioni di dollari a testa da un «dirigente» della società ucraina Burisma. Il suo obiettivo sarebbe stato quello di ottenere il siluramento di Viktor Shokin: il procuratore generale ucraino che aveva indagato per corruzione sull’azienda e che Biden riuscì a far licenziare nel 2016, mettendo sotto pressione l’allora presidente ucraino, Petro Poroshenko. Ricordiamo che Hunter Biden fu nel board di Burisma dal 2014 al 2019 e che, il 16 aprile 2015, organizzò un incontro a Washington tra suo padre e un alto esponente di Burisma, Vadym Pozharskyi. Secondo Fox News, la società ucraina voleva mettere le mani su una non meglio precisata compagnia petrolifera statunitense e avrebbe per questo avuto bisogno di neutralizzare l’attività di Shokin. Non solo. Due deputate repubblicane che hanno avuto accesso al documento, Anna Paulina Luna e Marjorie Taylor Greene, hanno riportato che il presunto corruttore dei Biden sarebbe stato il fondatore stesso di Burisma, l’oligarca ucraino Mykola Zlochevsky.E qui emerge una strana coincidenza. Come sottolineato dal New York Post, il 13 giugno 2020 l’autorità anticorruzione ucraina tenne una conferenza stampa in cui mostrò una tangente da cinque milioni di dollari che era stata usata per cercare di porre fine a un’indagine proprio su Zlochevsky. Ricordiamo che il documento dell’Fbi è datato 30 giugno 2020. Va detto che i funzionari ucraini all’epoca smentirono che quella mazzetta fosse connessa alla famiglia Biden. Va però anche tenuto presente che Joe Biden aveva conquistato la nomination presidenziale del Partito democratico il 5 giugno 2020 e che, dopo meno di cinque mesi, si sarebbero tenute le elezioni per la Casa Bianca. L’altro ieri, il presidente ha respinto le accuse presenti nell’incartamento, definendole «un mucchio di sciocchezze». Tuttavia è bene sottolineare che la fonte che è alla base del documento è considerata «altamente credibile» e che è stata spesso usata dall’Fbi negli anni scorsi. Non solo. Lunedì, dopo un briefing con il direttore del Bureau Chris Wray, il presidente della commissione Sorveglianza della Camera, il repubblicano James Comer, aveva riferito che questo documento è attualmente utilizzato in un’indagine in corso (probabilmente quella che la procura federale del Delaware sta portando avanti dal 2018 su Hunter per sospetti reati fiscali). I dem hanno provato a dire che nel documento ci sono accuse vecchie relative a un’inchiesta che sarebbe stata chiusa dal Dipartimento di Giustizia, guidato dall’allora procuratore generale Bill Barr. Tuttavia lo stesso Barr - che è da due anni ormai in pessimi rapporti con Trump - ha smentito la versione dei dem. È ovvio che il documento di per sé non prova la validità dell’accusa di corruzione contro i Biden. Ma il fatto che i federali lo stiano usando attualmente in un’indagine vuol dire che lo ritengono quantomeno attendibile. È quindi verosimile che la commissione Sorveglianza della Camera chiederà di visionare i documenti bancari del presidente americano, per verificare la solidità dell’accusa contenuta nell’incartamento. Nel frattempo, sono state pubblicate quasi 9.000 foto, tratte dal famigerato laptop di Hunter: foto che, risalenti a un periodo che va dal 2008 al 2019, ritraggono il figlio del presidente mentre si droga e si intrattiene con prostitute.