2022-03-02
Senza Putin la Russia mollerà l’Ovest e finirà per guardare solo all’Asia
Sergej Karaganov (Getty Images)
Sergej Karaganov, uno dei consiglieri del presidente, teorizza l’idea che il futuro dell’economia mondiale si trovi a Oriente e ci si debba staccare dalla decadente società occidentale. Ma servirebbe un cambio al Cremlino.Nel condannare il sostegno e la fornitura di armi da parte delle capitali europee a favore dell’Ucraina, il ministero degli Affari esteri russo ha dichiarato lunedì che le azioni non rimarranno senza risposta ma soprattutto ha sottolineato che sarebbe giunto il tempo che i Paesi occidentali comprendano che il loro dominio indiviso nell’economia globale appartiene da tempo al passato.Quest’ultimo pensiero esula dai canoni classici delle dichiarazioni istituzionali ed è forse la prima vera spia delle teoriche intenzioni di Vladimir Putin. Quest’ultimo, spiazzando tutti gli analisti, ha avviato un’invasione geopoliticamente illogica, che lo ha condannato all’isolamento e al compattamento del fronte occidentale, la cui unità tanto abilmente era invece riuscito a minare nell’ultimo ventennio. La dichiarazione del ministero che fa capo a Sergej Lavrov dirada tale illogicità e fonda le mosse russe sulla teoria della distruzione costruttiva di Sergej Karaganov, uno dei consiglieri di Putin. Presidente del Consiglio per la politica estera e di difesa, membro della Trilaterale, Karaganov da anni propaganda l’idea che il futuro dell’economia mondiale si trovi a oriente e che la Russia debba staccarsi dalle sirene della decadente società occidentale facendosi promotrice della Grande Eurasia basata sulle vie della seta cinesi e sull’Unione doganale euroasiatica a guida moscovita. Secondo i fondamenti della distruzione costruttiva l’Occidente, rendendosi conto del proprio inesorabile decadimento, si starebbe difendendo con una retorica aggressiva e avrebbe cercato di utilizzare l’Ucraina per neutralizzare la Russia. Ne consegue che l’invasione dell’Ucraina sarebbe un modo per fermare la destabilizzazione e riannettere Kiev al mondo incardinato geograficamente intorno alla Siberia, destinato a grandi fasti e a cui intimamente appartiene. Ridefinire lo spazio imperiale e attendere che il resto collassi, nonostante il possibile ma certamente effimero consolidamento momentaneo, mentre Mosca costruisce con i partner asiatici il nuovo paradiso in terra. Questo sarebbe il ragionamento su cui Putin starebbe basando la guerra che rischia di diventare il suo Afghanistan e per l’Europa una minaccia esistenziale, qualora l’ex agente del Kgb dovesse sentire di perdere il controllo sugli eventi. Secondo gli scritti di Karaganov, uno dei compiti fondamentali della Russia è quello di riprendere sotto la propria ala protettrice tutte quelle nazioni divenute indipendenti con il crollo dell’Urss ma governate da elites locali, senza esperienza storica o culturale nella costruzione di uno Stato. Se il passare delle settimane dovesse confermare che Putin si è affidato alle visioni strategiche del suo consigliere, dovremo constatare che la Russia si è per la prima volta affidata realmente a quella parte dei circoli intellettuali che dal XIX secolo la vorrebbero potenza asiatica e non europea e che a prendere tale decisione è stato il suo leader più europeo, per nascita, formazione ed esperienze lavorative. Tuttavia, le premesse di tale pivot to Asia moscovita sono inconsistenti e potrebbero invece rappresentare l’inizio della fine proprio per Putin.La regione euro-mediterranea è da sempre, e lo è ancora oggi, l’economia più ricca al mondo, il territorio a cui sono legati i principali interessi di tutte le grandi potenze e soprattutto il mercato con il maggiore numero di flussi commerciali del pianeta. Controllare l’Europa e mantenerne la disunità politica è stata la stella polare della geopolitica imperiale britannica prima e americana oggi in quanto nessun attore esterno può permettersi di trovarsi un giorno nuovamente di fronte a un Napoleone col potere di bloccare l’accesso ai mercati del Vecchio continente. Continente che da solo conta per il 70% degli scambi commerciali del globo. La Cina, su cui implicitamente Putin starebbe puntando per costruire la Grande Eurasia, dipende vitalmente dalle esportazioni verso il nostro mercato. E se anche dovesse in un futuro prossimo aprire, come tutti auspichiamo, il suo mercato interno, dovrà prima passare attraverso le dure prove delle rivoluzioni sociali a cui ci ha abituato la nostra storia, creatrice di benessere, di classe media e di sistemi democratici liberali. Sistemi democratici che stanno ritrovando in questi giorni, proprio a causa degli errori di valutazione di Putin, nuovo slancio e ragion d’essere ma soprattutto si stanno risvegliando dal torpore idealista a cui si erano autocondannati dalla fine della Guerra Fredda. La filosofia e il vaticinio della costruzione distruttiva possono anche affascinare ma non hanno alcun fondamento. La lotta intestina tra filo orientali e filo occidentali è presente fin dagli albori della nazione nelle elites russe. Nella speranza d’ancorare per sempre i destini del suo Paese all’Europa lo zar Pietro il Grande pretese nel 1703 la fondazione di San Pietroburgo. Nella città che fu capitale della Russia fino al 1918 è nato e cresciuto anche Putin. Nell’ipotizzare un cambio forzato al Cremlino, in un contesto verosimilmente dominato da visionari filo asiatici, le potenze Occidentali, dovranno ponderare molto attentamente se hanno a disposizione opzioni che non ci facciano perdere davvero la Russia tra le steppe asiatiche.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)
13 agosto 2025: un F-35 italiano (a sinistra) affianca un Su-27 russo nei cieli del Baltico (Aeronautica Militare)
La mattina del 13 agosto due cacciabombardieri F-35 «Lightning II» dell’Aeronautica Militare italiana erano decollati dalla base di Amari, in Estonia, per attività addestrativa. Durante il volo i piloti italiani hanno ricevuto l’ordine di «scramble» per intercettare velivoli non identificati nello spazio aereo internazionale sotto il controllo della Nato. Intervenuti immediatamente, i due aerei italiani hanno raggiunto i jet russi, due Sukhoi (un Su-27 ed un Su-24), per esercitare l’azione di deterrenza. Per la prima volta dal loro schieramento, le forze aeree italiane hanno risposto ad un allarme del centro di coordinamento Nato CAOC (Combined Air Operations Centre) di Uadem in Germania. Un mese più tardi il segretario della Nato Mark Rutte, anche in seguito all’azione di droni russi in territorio polacco del 10 settembre, ha annunciato l’avvio dell’operazione «Eastern Sentry» (Sentinella dell’Est) per la difesa dello spazio aereo di tutto il fianco orientale dei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica di cui l’Aeronautica Militare sarà probabilmente parte attiva.
L’Aeronautica Militare Italiana è da tempo impegnata all’interno della Baltic Air Policing a difesa dei cieli di Lettonia, Estonia e Lituania. La forza aerea italiana partecipa con personale e velivoli provenienti dal 32° Stormo di Amendolara e del 6° Stormo di Ghedi, operanti con F-35 e Eurofighter Typhoon, che verranno schierati dal prossimo mese di ottobre provenienti da altri reparti. Il contingente italiano (di Aeronautica ed Esercito) costituisce in ambito interforze la Task Air Force -32nd Wing e dal 1°agosto 2025 ha assunto il comando della Baltic Air Policing sostituendo l’aeronautica militare portoghese. Attualmente i velivoli italiani sono schierati presso la base aerea di Amari, situata a 37 km a sudovest della capitale Tallinn. L’aeroporto, realizzato nel 1945 al termine della seconda guerra mondiale, fu utilizzato dall’aviazione sovietica per tutti gli anni della Guerra fredda fino al 1996 in seguito all’indipendenza dell’Estonia. Dal 2004, con l’ingresso delle repubbliche baltiche nello spazio aereo occidentale, la base è passata sotto il controllo delle forze aeree dell’Alleanza Atlantica, che hanno provveduto con grandi investimenti alla modernizzazione di un aeroporto rimasto all’era sovietica. Dal 2014, anno dell’invasione russa della Crimea, i velivoli della Nato stazionano in modo continuativo nell’ambito delle operazioni di difesa dello spazio aereo delle repubbliche baltiche. Per quanto riguarda l’Italia, quella del 2025 è la terza missione in Estonia, dopo quelle del 2018 e 2021.
Oltre ai cacciabombardieri F-35 l’Aeronautica Militare ha schierato ad Amari anche un sistema antimissile Samp/T e i velivoli spia Gulfstream E-550 CAEW (come quello decollato da Amari nelle immediate circostanze dell’attacco dei droni in Polonia del 10 settembre) e Beechcraft Super King Air 350ER SPYD-R.
Il contingente italiano dell'Aeronautica Militare è attualmente comandato dal colonnello Gaetano Farina, in passato comandante delle Frecce Tricolori.
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