2020-01-30
Se la Gdf non fa l’Ong finisce sotto indagine
Inchiesta della Procura di Agrigento sulla Guardia di finanza: non avrebbe avuto il potere di dare l'alt alla Mare Jonio. Archiviato Luca Casarini, che disobbedì agli ordini. È l'ultima beffa per i militari, già speronati dalla Sea Watch di Carola Rackete.Povera Italia, patria del controsenso logico, del paradosso, nazione alla rovescia, alla deriva, allo sbando. Povera Italia, terra nella quale Carola Rackete, al comando di una nave Ong, sperona una motovedetta della Guardia di finanza, rischiando di mandare all'ospedale, se non al cimitero, i militari a bordo, e diventa un'eroina, mentre le forze dell'ordine, tentando di far rispettare la legge, finiscono sotto inchiesta. Il caso di cui parliamo è davvero ai confini della realtà: ieri si è appreso che la Procura di Agrigento guidata da Luigi Patronaggio ha messo sotto inchiesta, ci crediate o no, la Guardia di finanza. Proprio così: nella richiesta di archiviazione delle indagini a carico dell'equipaggio della Mare Jonio, nave della Ong Mediterranea, che lo scorso marzo non rispettò l'alt di una motovedetta delle Fiamme gialle ed entrò nelle acque territoriali italiane, accostandosi a Lampedusa con a bordo 50 immigrati, poi sbarcati, c'è una ipotesi di reato per la Guardia di finanza, che secondo i pm agrigentini non avrebbe avuto la titolarità per intimare l'alt alla nave.La vicenda vide protagonista un volto tristemente noto dell'universo antagonista, Luca Casarini, ex leader delle «tute bianche» all'epoca dei no global, riciclatosi in quei giorni come campo missione della Ong Mediterranea. Casarini, insieme al comandante della nave, Pietro Marrone, finì sotto inchiesta con l'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e il mancato rispetto di un ordine dato da una nave militare: per l'appunto, i due non avevano rispettato quanto intimato dal pattugliatore Apruzzi dalla Guardia di finanza, ovvero di non entrare nelle acque territoriali.La Procura ha chiesto l'archiviazione per entrambi… e ha indagato la Guardia di finanza. La stessa Guardia di finanza che aveva posto sotto sequestro la nave, ora dovrà rispondere davanti alla magistratura di aver impartito un ordine senza averne la titolarità. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere: sarà curioso assistere al processo, se mai sarà celebrato, contro ufficiali delle Fiamme gialle il cui «reato» sarebbe stato quello di notificare un divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane, non disposto dall'autorità giudiziaria.Tutti, ma proprio tutti, ricordiamo che in quei mesi, quando al ministero dell'Interno c'era Matteo Salvini, quando il vicepremier era Luigi Di Maio, e quando a Palazzo Chigi sedeva il fratello gemello dell'attuale premier, Giuseppe Conte, la linea dei «porti chiusi» era una chiarissima indicazione politica, proveniente direttamente dal governo. Tutti, ma proprio tutti, sappiamo che un comandante di un pattugliatore della Guardia di finanza non ha come hobby preferito quello di impartire a casaccio divieti di ingresso nelle acque territoriali italiane, ma piuttosto, come tutti gli uomini e le donne delle forze dell'ordine, rischia la pelle ogni santo giorno per difendere i cittadini e i confini italiani.Niente da fare: per la Procura di Agrigento (l'inchiesta è condotta dal procuratore aggiunto, Salvatore Vella) i finanzieri che si trovavano a bordo del pattugliatore Apruzzi avrebbero commesso un reato. La notizia arriva pochi giorni dopo che la Cassazione ha respinto il ricorso presentato dalla Procura di Agrigento contro l'ordinanza che il 2 luglio del 2019 ha rimesso in libertà la comandante della Ong Sea Watch, Carola Rackete. L'imbarcazione capitanata dalla Rackete era approdata nel porto di Lampedusa dopo aver forzato il blocco delle autorità, speronando una motovedetta della Guardia di finanza, e per questo motivo la comandante era stata posta agli arresti domiciliari, ma poi liberata nei giorni successivi. Il gip Alessandra Vella decise di non convalidare l'arresto della Rackete sostenendo che non avesse commesso il reato di resistenza e violenza a nave da guerra, e che il reato di resistenza a pubblico ufficiale era stato giustificato dalla discriminante di aver agito «all'adempimento di un dovere», ovvero salvare vite umane in mare. La Procura aveva presentato ricorso contro l'ordinanza del gip, ma lo scorso 17 gennaio la terza sezione penale della Cassazione lo ha rigettato.Due casi giudiziari che si incrociano, che hanno come protagonisti gli stessi magistrati, e che danno la netta sensazione, la percezione cristallina, di come in Italia le cose funzionino esattamente al contrario di come dovrebbero funzionare. Chi conduce una vita di sacrifici per far rispettare la legge rischia di finire sotto processo; chi se ne frega allegramente di rispettare le regole non solo la passa liscia, ma diventa anche una specie di popstar internazionale. In questa Italia alla rovescia, in questa Italia alla deriva, tutto è possibile.