2022-09-26
Ferdinando De Giorgi: «Se allenassi i politici pretenderei da loro soprattutto coerenza»
Ferdinando De Giorgi (Ansa)
Il coach campione mondiale di pallavolo: «Se diciamo qualcosa poi bisogna farlo. Ho investito su atleti giovani tutto il mio futuro». Il telefono squilla e «l’eroe dei tre mondi» ti risponde e ti spiazza raccontando di essersi appena emozionato a una cerimonia di premiazione, anche se è l’ennesima. È il giocatore di volley che ha vinto i Mondiali del ’90, ’94 e ’98, protagonista della «generazione dei fenomeni». Da allenatore - e sono solo i versi più recenti dell’epica -, ha riportato l’Italia in cima al mondo 24 anni dopo l’ultima volta. Ha fatto la storia con una squadra di tanti esordienti, 24 anni di media e solo 12 mesi dopo aver vinto l’Europeo. Se chiacchieri con Ferdinando - Fefè per i suoi tifosi - De Giorgi, tra poco 61 anni, sembra che non sappia cosa sia l’arroganza. Sta al tuo gioco di metafore perché per lui che ha giocato con la maglia azzurra il concetto di orgoglio nazionale non è qualcosa di astratto. E addirittura dice che è quasi più difficile ricevere onori e riconoscimenti, che vincere il Mondiale. Di vacanze - che son saltate - non se ne parla nemmeno ora: gli importa solo «condividere» in giro per la Penisola la bellezza dello sport a cui ha dedicato la vita. Nel Paese del calcio, dice ridendo un po’ amaro, «forse sono stati un po’ tirchi», i giornali, con le prime pagine, quando con i suoi ha sconfitto la Polonia campione in carica. Ma non è solo la vittoria storica: è «il messaggio», quel che importa in primis a De Giorgi, che ha scritto già un decennio fa i suoi Pensieri per allenare e motivare una squadra, libro edito in collaborazione con la scuola di Palo Alto, e più di recente Noi Italia pallavolo, con in copertina una foto della squadra con Sergio Mattarella.Complicato dire «noi» in giorni come questi di contrapposizioni elettorali.«Noi Italia è l’urlo agonistico dei nostri time out. Per merito, in campo siamo chiamati a rappresentare con orgoglio tutto il Paese».Una carriera, la sua, che lei racconta spesso ha come fondamento una terra e una famiglia.«Sono molto legato alle mie radici salentine, Squinzano in particolare. Ho mosso qui i primi passi da giocatore. Appena posso ci torno, per ricaricarmi, e ho mantenuto la residenza. Profumi, luce, sole, lu mare e lu ientu non sono uno slogan ma la mia realtà. A casa - non agiata, ed eravamo in tanti -, poi, i miei genitori sono stati un esempio: la famiglia è la prima agenzia educativa che ciascuno dovrebbe avere. Mi hanno insegnato il valore della continuità».La chiamano eroe, ci si è ormai abituato?«Roba da voi giornalisti, un po’ esagerata, la realtà è un’altra cosa glielo assicuro». (Sorride).Oltre ai genitori, a sostenerla quasi da sempre sua moglie Maria: insieme dal 1980, conosciuta giovanissima, l’ha sposata nel 1989.«È una figura importantissima per me. Non solo dal punto di vista dell’amore. Perché mi ha consentito di poter svolgere la mia attività al meglio, accettando una vita un po’ zingara che non sempre è stata semplice: i nostri due figli hanno spesso ricominciato le scuole in città diverse. Ora uno è laureato in giurisprudenza e l’altra studia medicina».Con un curriculum come il suo, è possibile avere ancora qualche obiettivo da realizzare?«Il progetto di questa squadra è iniziato lo scorso anno e il mio contratto è fino alle Olimpiadi di Parigi del 2024. Occorre qualificarsi. E poi l’anno prossimo ci sono gli Europei. Al di là dei risultati, però, per me conta costruire, migliorare, crescere».Domanda classica: il suo ricordo più bello in campo?«La convocazione in Nazionale è il primo, sa? Come gioia, anche se sembra strano, fu vicina a quella provata per la vittoria del primo Mondiale. Aggiungerei poi tra i ricordi più belli anche la mia ultima partita a 41 anni e mezzo: il sogno di chiudere la carriera con la maglia della Nazionale non era scontato, ma riuscii a farmi trovare pronto».Che effetto fa scontrarsi contro squadre allenate dai suoi ex compagni di gioco della «generazione dei fenomeni»? C’è chi le commenta anche le partite…«Siamo legati da qualche cosa di indissolubile, perché abbiamo vissuto insieme un’esperienza forte, vera, intensa. Ho visto l’emozione di Lucchetta e Zorzi dopo la partita con la Polonia e la capisco: l’azzurro non ti passa, se ne hai fatto la storia ti resta dentro».E invece che effetto fa se un allenatore del volley come lei si candida alle elezioni? L’ex ct Mauro Berruto in questa tornata era con il Pd… «Senza alcuna presunzione le posso rispondere che chi ha fatto sport ad alto livello ha vissuto situazioni concrete tali che ha una marcia in più. Gli sportivi sanno cos’è il rispetto, la condivisione, il guadagnarsi le cose con sacrificio… ma pure il mettersi in relazione con altri, la capacità di convincere».A parte l’ultima, le altre qualità sono presenti nei palazzi del potere?«Ne avremmo tanto bisogno. Soprattutto, noi allenatori sappiamo che occorre coerenza: se diciamo una cosa, la dobbiamo fare. Non c’è altra possibilità. L’importanza dell’esempio sarebbe già una grande conquista per il mondo politico». Lei non si schiera…«Ho votato in passato sia a destra sia a sinistra, scegliendo sempre le persone. So che fa scandalo a chi fa il puro, ma io penso davvero che contino soprattutto le qualità. Ci vogliono quelle giuste, per prendere decisioni importanti».Dopo l’ultima vittoria, sui social più di uno la invoca come premier. Giochiamo a come si risolleva il Paese?«Basta che non mi faccia parlare troppo di politica».Promesso. Una chiave evidente che lei ha individuato sono i giovani.«Mi ci sono giocato la mia professionalità su di loro, sì. Non giovani scelti a prescindere, questo è importante. Sono giovani meritevoli. Perché ce ne sono tanti che meritano e così spesso non viene data loro l’opportunità di esprimersi».Ci vuole coraggio, a investire su di loro?«Mah, non è tanto questione di coraggio, sa? Non è un azzardo. È una scelta. L’importante è accompagnarli con fiducia».E come si fa ad allenarli, a farli diventare grandi e a credere nel progetto?«I ragazzi dell’Italvolley sanno che nelle loro mani ho messo il mio destino da allenatore. La proposta a cui hanno aderito non è solo agonistica: è un coinvolgimento valoriale e non solo tecnico, con allenamenti che sono cultura del lavoro e un modo di stare in campo e in gruppo che fa la differenza».Al suo fianco un pedagogista. «Sì. Da anni ho scelto di lavorare con una figura educativa».Gli insegnamenti importanti quali sono?«I giovani di questa Nazionale sanno uscire dalla propria zona di comfort. Insisto sempre: allenate soprattutto le cose che non vi piacciono, perché è lì che si può fare la differenza. Un altro dei fattori importanti è l’approccio all’errore: tutti sbagliamo, l’importante è imparare qualcosa ogni volta».Altro elemento della sua squadra è il territorio. Tanto del talento dei suoi è nato a Sud di Roma. «Le giuro che quando faccio le convocazioni l’ultima cosa che guardo è la provenienza geografica, a volte non la conosco proprio. Però concordo: il messaggio che può passare questa squadra è anche che si può unire, dare un senso di completezza».Parla di «valori», De Giorgi. Al di là della retorica, quali?«Chi ha visto giocare la squadra in televisione ha visto la loro forza serena: sorridono, si aiutano a vicenda nei momenti difficili, si cercano, guardano e toccano. Dietro c’è un lavoro importante, nulla è casuale: atteggiamento e consapevolezza, con responsabilità, sono le cose che curiamo nei dettagli».Social e politici litigano forte. Lei si è innamorato del volley, una competizione senza contatto. «È la sua qualità: c’è una rete di mezzo e non gareggi contrastando o ritardando l’avversario, ma con la compattezza della squadra e le capacità individuali. Se la palla è nel tuo campo, non c’è nessuno che ti disturba. Contano tecnica, carattere, capacità di reazione. Uno sport fine, che porta a una ricerca più sofisticata di altre. Intrigante».Tre passaggi per far punto…«Ciascuno interdipende dall’altro».Lei è la guida. Il cambiamento parte solo dall’alto?«Dai giocatori si impara molto, se si sa ascoltare. Conta nello sport, ma pure nella vita. Sai ascoltare se ti metti in relazione e se chi solleva un problema non lo fa per critica pura, ma per costruire insieme. Nell’arena ci sono loro, a fare la parte difficile».Oltre a dare l’esempio il capo deve… «Spiegare i motivi di qualsiasi cosa. A me piace esser molto chiaro, cerco sempre di evitare fraintendimenti».
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