2020-04-23
Scoperto il bluff di Zinga. L’uomo della sua polizza rischia pure la condanna
Esecutivo del Pd nei guai: la fideiussione per le Ffp2 e Ffp3 mai arrivate è stata siglata con la società farlocca di Andrea Battaglia Monterisi, imputato per camorra a Benevento.Il capo ufficio stampa di Nicola Zingaretti, Emanuele Lanfranchi, non ci ha risposto al telefono. Il capo della Protezione civile laziale, Carmelo Tulumello, ci ha chiesto di poterci richiamare ed è sparito pure lui. L'imbarazzo della maggioranza è palpabile dopo l'esplosione del Polizzagate. Forse perché il garante scelto da Zingaretti e dalla sua giunta per salvarsi dalla débâcle delle mascherine ha un curriculum che poco si addice a quello di un salvatore. Stiamo parlando di Andrea Battaglia Monterisi, 55 anni, natali barlettani, ma romano d'adozione, anche se oggi si dice viva a Londra. A Benevento è coinvolto in un processo di camorra alle battute finali: il 12 giugno sono previste le arringhe delle difese e dopo pochi giorni la sentenza. A giugno, quindi, rischia di essere condannato l'uomo che, in piena zona Cesarini, ha firmato la fideiussione che dovrebbe coprire l'acconto da 15.295.000 euro che la Regione ha dato a una piccola ditta, la Eco Tech, con un fatturato quindici volte inferiore all'anticipo.Quello che coinvolge Monterisi è un processo pesante. Lui compare in testa all'elenco dei 17 imputati che, pandemia permettendo, saranno giudicati in uno dei più importanti processi di camorra della provincia di Benevento degli ultimi anni. Stralcio di una inchiesta - condotta nel 2014 dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli - che ha già registrato una serie di condanne in sede di rito abbreviato. Tra cui quella del boss di San Martino Valle Caudina, Domenico Pagnozzi detto Mimì 'o Professore. Battaglia Monterisi è accusato di aver reimpiegato nella Puntofin Spa i «proventi economici dell'attività delittuosa del clan Pagnozzi» con l'aggravante - si legge nel decreto di rinvio a giudizio - di «avere commesso il fatto nell'esercizio di un'attività professionale consistita nell'attività di garanzia espletata mediante il rilascio di polizze fideiussorie» al fine di «agevolare il clan camorristico Pagnozzi». Una cosca che, seppur poco nota alle cronache, detta legge da 50 anni nei territori incontaminati dove s'incrociano le province di Avellino, Benevento e Caserta. A tal punto potente e spregiudicata da aver messo radici, grazie alle solide alleanze del «Professore» con il padrino della mala romana Michele Senese (napoletano d'origine), nella Città Eterna. Dove per sradicarla è stato necessario l'intervento di 4 pm antimafia di Piazzale Clodio che, proprio nelle scorse settimane, si sono visti riconoscere dalla Cassazione la validità dell'impianto accusatorio dell'indagine «Camorra capitale», con una raffica di condanne confermate per oltre due secoli a carico di capi e gregari dell'organizzazione criminale campana.Nel processo in cui è imputato Battaglia Monterisi, i reati contestati vanno dall'associazione mafiosa all'estorsione, al riciclaggio, al falso, all'intestazione fittizia di beni, alla turbativa di gara per i lavori di ristrutturazione di una scuola elementare di un piccolo comune della provincia di Benevento.Processo campano a parte, Monterisi è sicuramente un soggetto conosciuto al nostro sistema giudiziario. Da almeno tre lustri subisce denunce e processi: in Toscana, in Molise, in Umbria e a Roma.I reati contestati sono stati quasi sempre gli stessi: esercizio abusivo dell'attività finanziaria (quasi sempre rilascio di polizze e fideiussioni), falso in bilancio, ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza, formazione fittizia di capitale per far figurare un consistente patrimonio tale da far apparire solvibili le società che avevano emesso le garanzie. La Procura di Roma nel 2011 ha chiesto il suo arresto, quello della compagna Alessandra Monti e di alcuni coindagati. Contestualmente è stata richiesto anche il sequestro preventivo di beni come la sua Harley Davidson, la casa in via Courmayeur a Roma, gli immobili di una delle sue società.Il suo avvocato, però, Pasquale Misciagna precisa che il suo assistito non ha mai riportato alcuna condanna definitiva e non è mai stato sottoposto ad alcuna misura cautelare.A prescindere dai precedenti giudiziari di Battaglia Monterisi, sembra che la garanzia prestata dalla sua società alla Eco Tech e a beneficio della Regione sia davvero poco più che carta straccia.«La Seguros Dhi-Atlas Ltd è una società con sede nel Regno Unito che non risulta abilitata all'esercizio dell'attività assicurativa in Italia né in regime di stabilimento, né in regime di libera prestazione di servizi». Così ha risposto alla Verità, l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (Ivass), confermando quanto emerge anche dal Financial service register tenuto dall'autorità inglese Fca dove la Seguros è iscritta, ma non come compagnia assicurativa. Nel registro Uk non risulta nemmeno un'abilitazione della compagnia ad esercitare attività assicurativa in Italia.La società negli ultimi otto anni è stata pressoché inattiva, fino alla stipula del contratto con Eco Tech. Tanto che le due fideiussioni da 10 e 4 milioni di euro portano l'ordine cronologico 0001 e 0002.Nel file di registrazione alla Fca della Seguros come «contact name», ovvero contatto di riferimento, c'è un storico collaboratore di Battaglia Monterisi, un certo Giuseppe Francesco Olivadoti. Allo stesso indirizzo di Londra della Seguros, e con lo stesso numero telefonico, ha sede anche la Birdie yas insurance Ltd presieduta sempre da Monterisi. Anche Birdie yas ha attivato lo stesso tipo di registrazione della Seguros alla Fca il 20 febbraio 2017 e come Seguros non ha «permissions», ovvero i requisiti per offrire servizi finanziari.Possibile che nessuno dei funzionari della Regione abbia fatto queste ricerche prima di affidare alla Seguros di Monterisi le garanzie fideiussorie? L'atto di copertura dell'incauto anticipo, come viene anche riportato sullo stesso documento di Seguros, è stato stipulato ai sensi dell'articolo 35, comma 18, del decreto legislativo numero 50 del 2016. Chi può rilasciare la garanzia? «Imprese bancarie o assicurative autorizzate alla copertura dei rischi ai quali si riferisce l'assicurazione e che rispondano ai requisiti di solvibilità previsti dalle leggi che ne disciplinano la rispettiva attività». Sempre secondo la norma del 2016 «la garanzia può essere, altresì, rilasciata dagli intermediari finanziali iscritti nell'albo degli intermediari finanziari di cui all'articolo 106 del decreto legislativo primo settembre 1993, n. 385». Ma la Seguros non sembra avere neanche il secondo requisito e il suo nome non si trova in nessun albo. Una fonte legale altamente qualificata ci fa notare altre anomalie nei documenti firmati dalla Eco Tech, da Seguros Dhi Atlas e, in qualità di beneficiario, dall'agenzia regionale della Protezione civile della Regione Lazio. La Eco Tech dovendo lavorare con la pubblica amministrazione da cui riceveva un appalto importante ha dovuto trovare una fideiussione che la garantisse. Si è quindi rivolta a un broker, un intermediario assicurativo che per conto del cliente, in questo caso la Eco Tech, ha dovuto individuare la migliore copertura assicurativa per le sue esigenze. Peccato che la scelta sia caduta sulla Itc international broker che risulta sì iscritta nel registro degli intermediari assicurativi, ma che in questo momento si trova in liquidazione volontaria e ha come titolare un arzillo ottantottenne che fa da prestanome per il figlio (il quale firma con il nome del padre). Ma l'esperto legale da noi consultato ha riscontrato anche un'altra anomalia: nei due «atti di fideiussione per l'anticipazione» datati 20 aprile lo spazio relativo alla dicitura «il premio convenuto alla firma è stato pagato il…» è stato lasciato in bianco e non è nemmeno indicato il codice di riferimento per la transazione bancaria. Il premio è il compenso che il cliente paga all'assicurazione affinché lo garantisca. Se non paghi il premio non è valida la polizza. Ecco perché quello era un dettaglio fondamentale da indicare nell'attoPs. La Regione ha annunciato per oggi la partenza delle mascherine da Shanghai per oggi. Nessuno, però, al momento, ci ha confermato il lieto evento.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
Continua a leggereRiduci
Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
Continua a leggereRiduci