2018-08-21
Sconfitto dalla realtà, Renzi può solo minacciare
Tra una conferenza stampa a pagamento e una registrazione di una serie televisiva in attesa di pagamento, l'ex presidente del Consiglio ha trovato il tempo di occuparsi anche di quanto è accaduto a Genova. L'ex segretario però non pare animato dal desiderio di capire come sia stato possibile che un ponte autostradale, concesso in uso dallo Stato a una società privata con tanto di lucrosi pedaggi, sia caduto uccidendo 43 persone. No, ciò che sembra interessare all'ex presidente del Consiglio è solo il giacobinismo di chi accusa il Pd, e dunque lui che di quel partito è stato segretario e tuttora è azionista di maggioranza assoluta, per le privatizzazioni e per i mancati controlli. Il senso dell'intervista che Renzi ha concesso a Repubblica si riassume tutto qui, in una minaccia: chi sostiene che noi siamo responsabili, pagherà. Un avvertimento che, come da tempo usa, fa intravedere querele, non spiegazioni, come sarebbe obbligo per chi fa politica.Nel mezzo dell'ostentazione muscolare, però, ci sono le considerazioni sul populismo, un fenomeno che l'ex segretario ritiene destinato a tramontare in fretta, per restituire il testimone a lui. Non passa intervento, che si tratti di un'intervista o di una diretta Facebook, nel quale l'ex premier non ribadisca il concetto. Il messaggio è chiaro: questi, intesi come Matteo Salvini e Luigi Di Maio, durano poco, poi toccherà di nuovo a noi, cioè a me. «Il clima di giacobinismo rischia di ritorcersi contro i presunti rivoluzionari. E secondo me accadrà molto prima del previsto. Per questo la comunità civile deve reagire subito», ha dichiarato al quotidiano di Mario Calabresi. Renzi non ha dubbi: «Da qui a Natale nasceranno in tutti i Comuni comitati civici contro questo governo. E prima del previsto nell'angolo ci saranno Salvini e Di Maio, non noi». Una frase, quella del senatore semplice di Scandicci, che si presta a due considerazioni. La prima riguarda, più che Genova e la gestione delle Autostrade, il futuro del Pd. Se per fare opposizione, che come dice l'ex segretario, si deve mettere da parte il fioretto per rispondere colpo su colpo (come se non lo facesse) e c'è bisogno di far nascere comitati civici in tutta Italia, ne consegue che il Pd è morto e Renzi lo vuole sotterrare in fretta insieme con Maurizio Martina. Già, perché se per fare opposizione non basta un partito che c'è già e che alle ultime elezioni ha preso il 18%, ma si devono tenere a battesimo altri soggetti politici come i comitati civici, vuol dire che il Pd è una bad company, ossia una società che in pancia ha più debiti che crediti e va abbandonata al proprio destino come un relitto da smontare. Tutto ciò ovviamente conferma le indiscrezioni circa il varo di un nuovo soggetto politico in stile Macron di cui si discute da mesi, un En marche! in salsa fiorentina.La seconda considerazione che consegue dopo la lettura dell'intervista al quotidiano di De Benedetti è che, nonostante le molte batoste, Renzi dimostra di non aver imparato la lezione e soprattutto di non aver capito nulla di ciò che è accaduto in questi mesi. Di fronte ai fischi a Martina e a Roberta Pinotti, l'ex segretario si ferma agli aspetti esteriori e non va al nocciolo della questione. Se ai funerali a essere contestati sono stati due ex ministri del Pd non è perché la folla sia stata fomentata dai 5 stelle o dalla Lega. Tra i partecipanti alle esequie non c'erano attivisti dei due movimenti, come vorrebbe far credere il deputato di pronto intervento Michele Anzaldi, un piddino più lesto nel dichiarare che nel pensare. No, in quell'hangar c'erano persone commosse e addolorate. Le quali non erano animate da calcoli politici, ma da un sentimento autentico contro l'establishment, ossia contro quella classe politica che ha governato il Paese negli ultimi 20, 30 anni. Se dopo oltre un quarto di secolo, con questi qui, siamo arrivati ai ponti che crollano, non vogliamo più vederli né sentirli. Ecco, il ragionamento è semplice, non politico e nemmeno populista. Non c'entrano la Gronda, Grillo, Salvini, Di Maio e tutto il resto. C'entra la voglia di farli sparire. C'è una sensazione di nausea contro chi in tutti questi anni non è riuscito a migliorare la vita degli italiani, ma solo a complicarla. Chi ha votato il 4 marzo contro i partiti lo ha fatto per chiudere un'epoca, ritenendo che gente inesperta come Di Maio e Salvini potesse essere meglio e avere più chance di cambiare il Paese di quei politici che avevano promesso di farlo, rivelandosi invece uomini attenti alle lobby e ai propri interessi più che alle esigenze di chi li aveva votati. Gli italiani non si sono incattiviti, come ha detto, sempre a Repubblica, Oliviero Toscani, il menestrello dei Benetton. Riferendosi ovviamente a quelli che dopo il crollo del ponte Morandi hanno messo nel mirino la famiglia di Ponzano, mica a quelli che comprano i maglioni colorati. Semplicemente ne hanno le tasche piene di gente così chic da stabilire che cosa è bene e cosa è male per il popolo, pur restando chiusa nei propri salotti e nelle proprie tenute. I fischi di Genova non erano contro Martina e la Pinotti (che almeno hanno avuto il coraggio di metterci la faccia), ma contro la classe dirigente del Paese. Cominciando dai politici per finire agli imprenditori, senza dimenticare, ovvio, i giornalisti. Se Renzi, invece di fare conferenze a pagamento e condurre trasmissioni in attesa di essere pagato, fosse andato a Genova, lo avrebbe capito da solo. O forse no.
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