2023-02-15
L’analisi del Terzo polo: «Colpa del freddo»
Matteo Renzi, Letizia Moratti e Carlo Calenda (Ansa)
Italia viva e Azione giustificano il tonfo elettorale con scuse surreali: per Letizia Moratti bisogna puntare il dito contro il gelo invernale, Carlo Calenda accusa direttamente gli elettori. Matteo Renzi scompare per 48 ore, poi manda una newsletter in cui parla di risultato «fisiologico».Più che Terzo polo, Polo nord. Gli elettori di Lombardia e Lazio hanno letteralmente gelato i sogni di gloria di Carlo Calenda e Matteo Renzi, con Letizia Moratti che non è neppure entrata in consiglio regionale. Una disfatta oltre le aspettative che è stata presa dai protagonisti con scarsa sportività. La Moratti ha dato la colpa al «freddo terrificante». Insomma, a giugno l’ex presidente della Rai avrebbe vinto sicuro sul riconfermatissimo Attilio Fontana. Calenda invece, professorale come sempre, ha serenamente spiegato che «hanno sbagliato gli elettori». Quanto all’ex statista di Rignano, è sparito dai radar fino all’ora di cena per poi scrivere online che il risultato «è fisiologico». Per una serena e matura disamina degli errori commessi in campagna elettorale si aspetta la prossima volta. Se ci sarà. In fondo poteva andare peggio, magari incolpando degli insuccessi i palloni-spia di Pechino. Alla dura prova delle urne i numeri del Terzo polo sono risultati davvero bassi e inversamente proporzionali all’ego social dei suoi profeti. Nel Lazio, dove appoggiava la candidatura del piddino Alessio D’Amato, ci si è fermati sotto il 5% contro l’8,5% delle ultime politiche di settembre. In Lombardia, dove la candidata era Letizia Moratti, la lista della presidente ha preso il 5,3% e Azione con Italia viva si è fermata al 4,2% per un totale del 9,8% che non è neppure bastato a garantire un seggio alla Gran dama dei salotti milanesi. L’analisi complessiva del voto dice poche cose ma abbastanza chiare: il Terzo polo non riesce a rubare voti al centrodestra neppure se gli soffia un assessore e, dall’altra parte, non sa approfittare dello sbandamento infinito del Partito democratico. E con numeri del genere, al di là del rilancio del solito progetto del «grande centro», viene il sospetto che uno spazio autonomo, semplicemente, non ci sia perché ormai gli italiani votano o a destra o a sinistra. Malgrado abbia votato nel seggio milanese di via della Spiga, non esattamente in Siberia o in Transnistria, Donna Letizia ha avuto il problema del freddo. Ieri con un filo di voce si è lamentata della «campagna brevissima», «in pieno inverno e con un freddo terrificante, che a me ha creato i problemi che sentite ancora oggi». Nonostante l’ampio dispiego di cappotti di cachemire, giacche in lana cotta e sciarponi dalle volumetrie importanti, la Moratti ha dunque pagato dazio al Generale Inverno. Ma in generale, ha fatto capire che «il freddo terrificante» ha avuto un ruolo importante e magari ha tenuto a casa migliaia di elettori lombardi che non vedevano l’ora di consegnarle il loro voto. Gli elettori dei rivali Fontana e Pierfrancesco Majorino si immagina invece che fossero assai meglio equipaggiati e hanno fatto il loro dovere incuranti del gelo. La Moratti, lontana dalle piste di sci per cause di forza maggiore, ha accusato il colpo. Meno fantasioso, va detto, il Calenda, con i suoi pesanti giacconi inglesi anche nel dolce clima della capitale. Non se l’è presa con le condizioni meteorologiche, ma direttamente con gli elettori. E non è che gli sia scappata una battuta infelice. No, ha proprio preso la rincorsa, ha sviluppato tutto un ragionamento e ha trovato i colpevoli. Intervistato dal Corriere della Sera, ha cominciato facendo notare stizzito che «le preferenze pesano e noi invece dipendiamo da un voto di opinione. La peggiore condizione possibile per chi vuole spezzare il bipolarismo». Le preferenze sono quella cosa che quando le prendi tu sono buone, sane e democratiche, ma quando vanno ai tuoi avversari puzzano di voto di scambio. Nulla a che spartire con il «voto di opinione», casto, elevato e superiore in tutto e per tutto. A Calenda è stato quindi chiesto se per caso fossero sbagliati i candidati, ma no, erano perfetti. E sapete perché? Perché Moratti e D’Amato «sono i due assessori regionali che meglio hanno gestito il Covid». Ottima idea, puntare su simili eroi. Forse è per questo che non ce l’hanno fatta. Ma poi la colpa è del fatto, prosegue Calenda, che «si vota come al Palio di Siena, con un voto fideistico». E anche qui è appena il caso di notare che anche candidare i due presunti campioni della lotta al Covid è stato un po’ fideistico. Ma alla fine, ecco la domanda chiave: «Insomma, hanno sbagliato gli elettori?». Qui un politico di media caratura e un minimo scafato di solito si ritrae e dice cose tipo: «Non siamo riusciti a spiegare la nostra proposta». Un po’ democristiano, ma almeno la gente non s’arrabbia. Il Calenda invece va giù piatto: «Sì, non ho timore a dirlo. È la maledizione italiana: si vota per appartenenza. Sono di destra voto la destra, sono di sinistra voto la sinistra prescindendo dal candidato e dalla qualità delle sue proposte». Poi ha lanciato un improbabile partito unico. Chi invece non ci ha quasi messo la faccia è stato Matteo Renzi, letteralmente sparito per 48 ore, anche dagli amati social. La sua senatrice Raffaella Paita nel pomeriggio aveva detto a La7 che «si farà vivo e il Terzo polo andrà avanti». Il leader si è effettivamente fatto vivo poco prima di cena con una nota online del suo partito nella quale si fa un rapido cenno a «un risultato peggio delle aspettative», ma sostenendo che «è fisiologico per consultazioni come quelle regionali». Poi si è messo a parlare di Sanremo e canone Rai. Tanto se la sconfitta è colpa del freddo, degli elettori ed è fisiologica, che altro c’è da dire?
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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