2021-08-28
«Da gay so che i problemi sono altri non certo le inutili battaglie di Zan»
Fabrizio Sclavi e Alessandro Zan (Getty Images)
Il giornalista e illustratore: «Il ddl non mi piace per nulla, soprattutto nella parte sui trans e sull'educazione nelle scuole. Ai bambini pensino le famiglie, non lo Stato. Il pride è una baracconata cavalcata dai politici».«Sai come ho trovato lavoro la prima volta?». Inizia con una sua domanda la chiacchierata con Fabrizio Sclavi, giornalista, già direttore di blasonate riviste di moda e viaggi, noto illustratore, designer e creativo. Darsi del tu è ovvio tra chi fa lo stesso mestiere. «Facevo l'Accademia di Brera, 1972. Ero a casa con l'influenza, mi chiamano e mi dicono che un signore con i capelli lunghi, le scarpe da ginnastica e una pelliccia di visone chiedeva se c'era qualcuno che voleva andare a lavorare in un giornale di moda».Che hai fatto? «Il signore era Flavio Lucchini, uno dei protagonisti della moda italiana e che nessuno allora conosceva. Al telefono mi dicono, “te che sei un pò gay vuoi andare a occuparti di moda?". Mi sono presentato la mattina dopo in piazza Castello con i jeans che mi ero dipinto io, tie and dye, un giaccone da marinaio di una mia amica allacciato da donna e lui mi ha preso. E lì è iniziata la mia storia. Divertente».Sclavi, caratteraccio toscano, nato a Siena, cresciuto di fronte alla sede della contrada della Lupa, si è sempre mosso ad altissima velocità come se l'handicap che lo segna dalla nascita non lo riguardasse così come l'essere omosessuale dichiarato. C'è ancora discriminazione intorno al mondo omosessuale? «No. C'è negli ambienti culturali molto bassi. La diversità fa paura alla gente che, quindi, si difende in malo modo».Conosci profondamente la situazione dei gay, cosa ne pensi del ddl Zan? «Non mi piace per nulla, soprattutto quando parla dei trans perché anche in quel caso sono fatti loro. Non vedo il motivo per cui lo Stato se ne debba occupare. E non c'è bisogno di spiegare questo a scuola a giovani di 15 anni, o ancora più piccoli. Quanti ragazzi curiosi ci sono fuori e a scuola? Se a questi fai venire in mente una cosa del genere magari hanno voglia di provarla».Già, la questione delicata è nelle scuole. «No, no, non va proprio bene. Sono dell'idea che di questo ne debbano parlare le famiglie nei tempi e nei modi che più ritengono opportuni. Capisco che in Italia le famiglie peccano da questo lato, che certi temi non sono facili da affrontare. Bisogna quindi istruire le famiglie, prepararle, non i ragazzi».Come sarebbe giusto proseguire, secondo te? «Così com'è il ddl non funziona. Per aggiustarlo ci devono pensare i politici e io non lo sono. E i compromessi non mi sono mai piaciuti né le aggiustature, quindi lo leverei e basta. Non ce n'è bisogno».E cosa non ti va per niente? «Il gay pride che trovo negativo in ogni suo aspetto. Le parrucche colorate, le baracconate non hanno senso perché in questo modo ti metti contro tutti gli altri. È sputtanare una cosa molto seria e non rappresenta un riscatto. Una moda iniziata negli Stati Uniti dove lì serviva davvero per uscire dal ghetto ma in Italia e in Europa è stata preso in mano malamente dai politici, dai sindaci, tutti che potevano gestirla in modo diverso. Cavalcano quest'onda solo per qualche voto in più».Quali sono stati i tuoi problemi insormontabili? «Quando Roberto, il mio compagno, era all'ospedale in coma c'era bisogno dell'autorizzazione per somministrargli morfina e non lo potevano chiedere a me anche se vivevamo insieme da 30 anni. Lo chiesero a un famigliare, un disastro. Ora, per fortuna, con la storia del matrimonio si sono superati certi gravi problemi. E la legge è uscita l'anno dopo la sua morte ».Come si vive la vita da omosessuale e disabile? «In modo pessimo. Ho fatto una causa, circa dieci anni fa, a un ospedale perché è stata sbagliata una preparazione al mio intervento e l'avvocato mi chiese: “Sclavi, che differenza c'è per lei tra essere sulla sedia a rotelle o meno?". Gli risposi che la differenza era che se si va con una signorina a pagamento la si paga il doppio che se si fosse in piedi, e lì ho perso la causa. Almeno ho avuto la soddisfazione di dirglielo».È sempre stato tutto complicato? «No. Ci sono stati anche gli anni d'oro di quando si andava fuori, sui Bastioni a Milano dove mi chiamavano, l'ho saputo poco tempo fa, “la signorina mezzo busto" perché per non farmi vedere non uscivo mai fuori dall'automobile e tutti mi conoscevano dalle spalle in su».Sui Bastioni, che c'era? «Dall'hotel Diana a piazza Repubblica, trovavi tutti lì in auto, in bici, in moto, era come una discoteca gay, stessa storia. Allora non c'erano i bar o altri locali per omosessuali ma posti fuori, all'aperto. Uno era al Politecnico, uno era lì. Da un punto di vista gay, il primo impatto è la fisicità, più che per una donna. Al liceo ho avuto ragazze pseudo innamorate di me però dicevo loro che era troppo facile, che la compassione l'ho sempre odiata. Iniziai andare con gli uomini che era molto più complicato. Il mio compagno era uno bello, simpatico, di buona famiglia, sposato. È durata anche tanto» Ed era sposato? «Sì, e con figli, ma separato prima che lo conoscessi. Non abbiamo mai abitato insieme per questa milanesità un po' bieca. Due case separate. Natale tutti insieme, con la famiglia sua oppure si andava da mia mamma a Siena che gli diceva “ma Roberto, perché viene qui a Natale, se ne vada da sua moglie", mi sono sempre divertito moltissimo».Tua mamma non aveva capito che era il tuo fidanzato? «No. Principalmente non aveva capito che ero gay».Non glielo hai mai detto? «Mai, mai parlato di questo. L'atteggiamento gay, forse ce l'ho anche, ma quelli che si atteggiano a gay a me danno molta noia. Non hai bisogno, per andare a letto con un uomo, di sembrare una donna. Se vuoi andare con un gay, meglio se sei un uomo normale. Poi con chi uno va a letto sono affari suoi. Le discriminazioni e ora anche le leggi su questo non vanno bene. Ho diversi amici, chi direttore di banca, professionisti, serissimi e nessuno sa niente».Sei vaccinato? «Sono vaccinato per via della malattia ai polmoni ma sta storia del vaccino ha rotto le palle. Dopo la seconda dose sono stato molto male e ne conosco già tanti che sono stati male e alcuni sono morti. È chiaro che va fatto però dobbiamo anche sapere che è una cosa sperimentale, siamo tutti delle cavie. Allora non puoi mettere il green pass per fare la cavia perché le cavie devono essere libere. E poi questi medici che sono diventati tutti giornalisti già questo la dice lunga. Un medico deve stare in ospedale. Sono diventati delle veline, li vedremo presentare Sanremo».