2024-09-18
Schlein resta muta sulla figuraccia e manda avanti le seconde linee dem
Giorgia Meloni e Raffaele Fitto (Ansa)
Imbarazzo palpabile nel Pd. Nicola Zingaretti: «Commissione conservatrice, un passo indietro». Tace anche Giuseppe Conte ma il M5s arriva a borbottare perché non si è ancora sostituito Fitto in Italia. Adesso sarà Vietnam in Aula.Game, set, match. Nel gioco del tennis si dice così quando una vittoria risulta schiacciante e la partita di Giorgia Meloni in Europa è finita così, nonostante i gufi nostrani che, pur di andare contro il nostro esecutivo, tifavano contro una vittoria italiana. Nel giorno in cui a Raffaele Fitto viene confermata la nomina di commissario, vice presidente esecutivo con delega a Coesione e Riforme, la sinistra perde la testa. Tra silenzi assordanti e dichiarazioni prive di senso. Dal Partito democratico che chiedeva un’informativa urgente in Parlamento da parte della premier circa il no al sostegno a Ursula von der Leyen, arriva il silenzio della segretaria: Elly Schlein che nei giorni scorsi più volte aveva detto di essere contraria alla nomina di Raffaele Fitto, non commenta. A farlo, probabilmente incalzato, chi siede in Europa, a cominciare da Nicola Zingaretti, capodelegazione Pd in Europa. «Nasce una Commissione conservatrice, specchio dei governi europei di questo momento. Un passo indietro. Ci impegneremo in Parlamento per garantire un’Europa più forte e più umana. Il commissario Fitto si liberi dalla retorica anti europeista del governo che lo ha indicato». Auguri striminziti arrivano da Dario Nardella anche lui eurodeputato dem, che dice «aspettiamo Fitto in audizioni approfondite». Per il resto poche ininfluenti voci. Silenzio inevitabile, perché quella che viene riconosciuta a mezza bocca da tutti come una doppia vittoria per Meloni, per il Pd è invece una doppia sconfitta. Sì perché a decine spesero parole di disprezzo nei confronti della gestione dell’affare Commissione da parte di Meloni all’indomani del no al sostegno a Ursula von der Leyen. Non capivano, o facevano finta di non capire, che quel mancato sostegno, ancora una volta, faceva parte di una strategia, chiarita e probabilmente accordata con Von der Leyen. Il voto di Ecr infatti avrebbe precluso quello dei Verdi e dei socialisti rischiando di far saltare il rinnovo alla guida della Commissione della popolare tedesca. In qualche modo quello di Meloni fu quindi un assist. Eppure furono moltissime le voci della sinistra, anche autorevoli, che la diedero per spacciata. Romano Prodi addirittura parlò di un’Italia «non determinante in Europa». Elly Schlein di «totale irrilevanza del governo italiano in Europa». Enrico Letta, ex segretario dem, in un’intervista rilasciata a Qn, diceva: «Un voto contrario o un’astensione vuol dire isolarsi. La scelta di questo isolamento alla fine la pagheremo». Isolamento che oggi è proprio il Partito democratico a vivere, dopo aver subito la scelta del gruppo socialista di andare avanti con Fitto per tenere in piedi la candidata spagnola Teresa Ribera che adesso infatti incassa la pesantissima delega alla Concorrenza insieme a quella per il Green deal, naturalmente, anche lei, da vicepresidente esecutiva. Bella botta per i dem italiani non aver potuto decidere né incidere sulla linea del gruppo socialista pur avendo la maggioranza degli eurodeputati dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D). Gli italiani sono 21, mentre gli spagnoli 20. Insomma a non aver saputo sfruttare l’oggettivo successo elettorale ottenuto alle ultime elezioni europee alla fine è proprio l’isolatissima Elly Schlein, mentre S&D in una nota fa capire che nonostante Fitto non sia una loro richiesta «lavoreranno con responsabilità», così la capogruppo dei Socialisti Iratxe Garcia Perez.Tornando al mancato sostegno a Von der Leyen, per il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte si traduceva a «relegare l’Italia in panchina» e riteneva «gravissimo che un presidente del Consiglio non avesse saputo interpretare il suo ruolo in un passaggio così fondamentale». Adesso anche Conte non parla, così come in altri casi, (Open Arms per dirne uno). Sembra che adesso faranno una riunione dopo l’audizione di Fitto per capire che fare, ma attualmente il no sembra la scelta più accreditata. Addirittura c’è chi tra i pentastellati si preoccupa per il posto che Fitto lascia in Italia. «Chiediamo alla presidente Meloni chiarezza sul futuro del Pnrr» dice il deputato Filippo Scerra, a cui bisognerebbe chiedere se Fitto vada bene o vada male perché così non è chiaro, vista l’apprensione per il posto che lascia vacante e che, evidentemente non si può dire, occupava molto bene. Così anche Chiara Appendino, vicepresidente del Movimento 5 stelle: «Dobbiamo sapere subito come verranno ripartite le enormi e ricche deleghe del ministro Fitto». Per The Left, il gruppo europeo dei 5 stelle, «si tratta della Commissione più a destra della storia: per la prima volta c’è un vicepresidente della commissione europea, uno dei dirigenti di più alto livello nell’Esecutivo Ue, che viene dall’estrema destra», ha detto la francese Manon Aubry. Angelo Bonelli portavoce di Europa Verde ribadisce che non è «la persona adatta a svolgere questa funzione. Non siamo contro l’Italia se diciamo che siamo in disaccordo sulla proposta di Fitto, colui che per il nostro Paese ha speso meno del 30% dei fondi del Pnrr e ora si accinge a gestire un portafoglio estremamente ampio». Dal suo gruppo, i Verdi, la capogruppo tedesca Terry Reintke non capiscono «perché l’Italia sia ricompensata ottenendo una posizione così influente» non avendo Ecr votato per la maggioranza. Anche dal gruppo macroniano Renew arriva rammarico per l’incarico a Fitto, «ma ora valuteremo i candidati alla Commissione in base alle loro competenze»: così si è espressa la presidente del gruppo, Valérie Hayer.
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)