2022-06-20
«Reddito per i poveri: ho provato a cambiarlo, il governo mi ignora»
Chiara Saraceno, sociologa presidente del Comitato per la riforma: «Incaricati da Orlando. Ma le nostre dieci proposte sono finite nel cestino».Sociologa di fama internazionale, Chiara Saraceno ha nella voce ancora lo stupore per l’accaduto. Rivela quello che «informalmente» le è stato detto a giustificazione e - dati alla mano - proprio non ci sta alla narrazione del «non trovo dipendenti perché non hanno voglia di lavorare». Era il 9 novembre 2021 quando presentò 10 proposte scaturite dai lavori del Comitato scientifico per la valutazione del Reddito di cittadinanza da lei presieduto. Il report del gruppo di esperti - «nessuno iscritto a un partito» - nominato dal ministero del Lavoro ha più di 80 pagine. A presentarlo alla stampa fu Andrea Orlando. Una valutazione del reddito doveva essere fatta, ma per due anni nessuno aveva preso l’iniziativa.Professoressa, che ne è stato delle vostre proposte?«Sono state completamente ignorate». Come è possibile? Non passa giorno senza che qualcuno tuoni pro o contro il reddito.«Più contro che a favore, purtroppo, e più a partire da posizioni ideologiche che sulla base di dati empirici. La proposta di ridurre gli anni di residenza in Italia richiesti agli stranieri non è stata neppure presa in considerazione, preferendo aspettare la procedura di infrazione della Corte di giustizia europea. O i ricorsi alla Corte costituzionale». Mario Draghi però annunciò di voler modificare la norma sulle imposte.«Sì, il nostro Comitato aveva suggerito di permettere di cumulare parzialmente il reddito con il sussidio, considerando il reddito del lavoro solo per il 60% e non per l’80% come è attualmente, fino a una certa soglia, in modo da incoraggiare alla partecipazione al lavoro regolare». Quanto detto dal premier è stato poi fatto?«La modifica è sparita: al Tesoro è sembrata troppo costosa. Peccato che sia miope ragionare così». Perché?«A lungo andare, chi si stabilizza nel mondo del lavoro esce dalla povertà. In tutti i Paesi civilizzati esiste una misura di sostegno che incentiva a trovare un’occupazione: a parità tra chi lavora e guadagna un po’, e chi non fa nulla, prende di più chi si è impiegato. Se ne sta riparlando ora, ma - chissà perché - solo per chi viene temporaneamente occupato nel turismo, creando ingiustizie tra beneficiari lavoratori».Tra le vostre proposte anche quella per le famiglie numerose. «I requisiti di accesso penalizzano le famiglie numerose e con figli minorenni: contano la metà di un adulto. Questo fa sì che a parità di numerosità e anche di Isee, le famiglie con figli sotto i 18 anni sono più facilmente escluse dal beneficio, e se incluse prendono meno di quelle composte da tutti adulti. Il contrario della lotta alla povertà. Abbiamo proposto di equiparare i minorenni agli adulti, eventualmente riducendo l’importo massimo della quota base, da 500 a 450 euro».Quindi i bambini sono penalizzati?«I 5 stelle inizialmente avevano pensato a una misura per i giovani, cambiata poi in itinere. E avevano il “totem” della cifra del sussidio di 780 euro. Quando arrivarono al governo stanziarono una somma mai vista prima nella lotta alla povertà, 7 miliardi. Ma i conti non tornavano se si voleva salvaguardare la cifra totem, e così hanno spacchettato la cifra, dividendola in quota base e contributo per l’affitto. Poi hanno fatto questa pensata di far contare meno i minorenni nella scala di equivalenza».In base a quale ragionamento?«Ah, non so. Provi a pensare a quanto mangia un figlio adolescente, o a quante paia di scarpe occorrono in fase di crescita. È un’ingiustizia particolarmente drammatica perché tocca i minori: se si è poveri da bambini, si rischia di esserlo per la vita».Quando l’hanno nominata ha accettato di buon grado?«Certo. Ho ricevuto la chiamata del ministro, che non avevo mai conosciuto di persona, e ho ritenuto mio dovere civico accettare. Con me c’erano studiosi erappresentanti delle istituzioni coinvolte (Inps, Anpal, ministero, ndr). Abbiamo fatto audizioni con studiosi ed esperti di associazioni che lavorano sul campo e pure con i navigator».Crede di aver portato a termine il mandato?«Altroché: il nostro dovere lo abbiamo fatto ben al di là dei compiti strettamente istituzionali e rispondendo alle richieste precise del ministro. Ma si è preferito non toccare nulla in senso migliorativo, e viceversa rafforzare anche solo simbolicamente gli aspetti coercitivi e punitivi. Rafforzando così, mi permetto di aggiungere, la vulgata dei percettori come nullafacenti o imbroglioni».In queste settimane non è mancato giorno senza che qualche albergatore raccontasse la difficoltà a trovare dipendenti. «Innanzitutto è un problema che esiste anche in altri Paesi, e nessuno si sognerebbe di imputarlo al reddito minimo per i poveri. Chi suggerisce questo nesso evidentemente pensa di poter pagare salari molto bassi. Inoltre, se tutte queste opportunità insoddisfatte transitassero dai Centri per l’impiego, se davvero venissero rifiutate irragionevolmente da qualche beneficiario, questo dopo due rifiuti decadrebbe dal beneficio. Invece si rimane nel sentito dire e nella denuncia non verificata. Aggiungo che la stragrande maggioranza dei percettori di Reddito di cittadinanza ha qualifiche molto basse: non è facilmente appetibile nel mercato di lavoro. Chi cerca cuochi, camerieri di sala, baristi, cerca persone con competenze specifiche, anche linguistiche».Perché i giovani non vanno a fare i camerieri pur di lavorare?«Un po’ perché è un lavoro con orari pesanti, un po’ perché la pandemia ha svelato che non è un mestiere sicuro. Se si vuole costruire una vita familiare occorre che siano pagati di più, e forse che si cambi l’organizzazione del lavoro, i turni. Possibile non vedere mai moglie o marito e figli per lavorare?».Se l’alternativa è il divano…«L’alternativa non è il divano. È un lavoro adeguatamente pagato e accessibile. Ottanta chilometri di distanza possono essere già impraticabili se non ci sono trasporti efficienti e si hanno familiari bisognosi di cure, figuriamoci l’intero territorio nazionale. Ed è la possibilità di non vedersi decurtare il sussidio euro per euro. Tra i percettori vi è anche chi ha un’occupazione che non dà un reddito sufficiente per vivere. Lungi dallo stare “sdraiati sul divano”, la maggioranza dei poveri si dà un gran da fare per mettere insieme di che vivere e più che rifiutare un lavoro, troppo spesso non se ne vede offrire nessuno, o in condizioni di decenza. Oggi la povertà è trattata come una colpa».Ne parla anche nel suo ultimo libro, La povertà in Italia (il Mulino, con David Benassi ed Enrica Morlicchio). C’è poi il fattore stipendio. «Le esperienze di chi mi scrive raccontano di lavori in nero o con contratti da 4 ore quando ne lavori 12, a cifre bassissime: 800, 1.000 euro al mese. E non c’è certo solo questo mondo della ristorazione e del turismo: quanti lavori a cottimo, pagati a due mesi, ci sono in giro nella logistica, nella comunicazione, nel settore artistico, del restauro, dell’editoria?».Lei è pro o contro il salario minimo?«Favorevole. In Italia ci sono troppi contratti anche legali con salari troppo bassi. Contratti che aspettano di essere rinnovati per 5 anni, addirittura. E poi tanti nuovi lavori - rider, logistica… - sfuggono alla contrattazione. Un salario minimo definisce uno standard dal punto di vista culturale oltre che legale. Ma non è sufficiente se non si affronta anche la questione della precarietà. Il problema è civilizzare i rapporti di lavoro». Che ne pensa della proposta di Matteo Salvini e Giorgia Meloni di dare soldi agli imprenditori, così che possano assumere?«Degli imprenditori nessuno osa parlare, la verità purtroppo è che il nostro Paese, in larga misura, ha funzionato sui bassi salari. Non sono un’economista, ma ricordo bene come prima della crisi del 2008 ci s’interrogasse sul perché aumentava l’occupazione ma non la produttività. Come mai? Perché gli stipendi sono bassi. E poi, me lo lasci dire: è uno slogan troppo comodo dire che occorre dare soldi agli imprenditori». In che senso comodo?«Già ora chi assume un percettore di reddito ha benefici in termini di decontribuzione e di allocazione della quota residua di Rdc.Forse gli imprenditori vogliono soldi a fondo perduto, senza destinazione precisa e senza controlli?».Il Reddito è stato ed è un provvedimento di bandiera per il M5s. «Pensato inizialmente con tanti aspetti punitivi. Ricorda quando si fece la lista di ciò che si poteva o non si poteva comprare? Come se i poveri fossero moralmente più deboli degli altri, nella narrazione collettiva. O imbroglioni. Sei povero? Comprerai vino e non sfamerai i tuoi figli. Assurdo». Molto dibattito c’è sul fatto che gran parte dei percettori sia al Sud. «Dove c’è più povertà e meno domanda di lavoro, in particolare per le donne: di che ci stupiamo? Ma, vede, occorre una visione più complessa. La narrazione dei percettori di reddito pigri e sdraiati sul divano ha certo fatto presa, se c’è chi come Matteo Renzi vuole addirittura abolirlo con un referendum. Perché invece non riformarlo? I veti incrociati dei sostenitori del Rdc, così come di coloro che lo vogliono abolire, hanno impedito finora di riformarlo per renderlo più equo ed efficace».Il suo Comitato ha raccolto molti dati.«Tuttavia non siamo riusciti a sapere quante offerte di lavoro fossero state fatte in questi anni attraverso i centri per l’impiego e quante siano state rifiutate». Perché non siete riusciti?«Ciascuna Regione ha la sua autonomia, ciascuna il suo sistema informatico che non dialoga con gli altri. Roba da matti».
Jose Mourinho (Getty Images)