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2018-06-20
A sinistra si indignano ma a schedare i rom hanno cominciato loro
ANSA
Com'era prevedibile, tutti sono partiti in quarta. C'è chi ha gridato al razzismo, chi ha tirato in ballo le «leggi speciali», chi ha ricordato l'Olocausto e chi si è trincerato dietro una cortina di sdegno. Il commissario europeo Pierre Moscovici ha definito «scioccanti» e «raggelanti» le parole di Matteo Salvini a proposito dei rom.
Due giorni fa, durante un intervento a Telelombardia, Salvini ha dichiarato: «Al ministero mi sto facendo preparare un dossier sulla questione rom in Italia, perché dopo Maroni non si è fatto più nulla, ed è il caos». Poi ha aggiunto: «Vedremo di capire come si può intervenire facendo quello che all'epoca fu chiamato “censimento" e apriti cielo… Chiamiamola anagrafe, chiamiamola una situazione, una fotografia per capire di che cosa stiamo parlando». Che cosa c'è di scandaloso? Forse l'utilizzo del termine «censimento», che pure Salvini ha preso con le molle? Secondo qualcuno, censire la popolazione su base etnica sarebbe incostituzionale. Molti hanno fatto riferimento a ciò che avvenne nel 2008, quando l'allora ministro Roberto Maroni decise di procedere a una «schedatura» dei nomadi. Vero, l'Unione europea intervenne per tramite del commissario alla giustizia, Jacques Barrot, e si lamentò della violazione dei diritti umani. Ma l'argomento del contendere, in quel caso, erano le impronte digitali, cosa a cui Salvini nemmeno ha accennato.
Semplicemente, il nuovo inquilino del Viminale ha espresso l'intenzione di raccogliere informazioni dettagliate sulla popolazione nomade presente nel nostro Paese. Pensate che sia una cosa inutile, una trovata propagandistica? Beh, allora dovreste sfogliare il rapporto intitolato Gli insediamenti rom, sinti e camminanti in Italia, scaricabile dal sito dell'Istat e realizzato da Anci (l'associazione dei Comuni italiani) e Unar (l'ente contro il razzismo). Nella prima pagina si legge: «Uno dei principali problemi con cui ci si scontra nell'affrontare le questioni che riguardano le popolazioni rom è quello dell'assenza di dati certi e questo “vuoto" informativo risulta una difficoltà comune a gran parte dei Paesi europei». Quindi sì, forse c'è bisogno di avere dati chiari su i rom e gli altri gitani presenti nel nostro Paese. Anche perché molti di loro vivono in condizioni allucinanti, completamente al di fuori della legalità e della decenza.
Del resto, a «schedare» i rom, nel corso degli anni, hanno provveduto un bel po' di associazioni di provata fede progressista. Per esempio l'Associazione 21 luglio, che si occupa di difendere i diritti dei gitani e ogni anno realizza un dettagliato rapporto sui «nomadi» presenti nella Penisola. Perché se la radiografia la fa una Onlus o una cooperativa va bene e se la fa il Viminale no? Magari si risparmiano pure dei soldi…
Di vero e proprio «censimento» parlò anche la Croce rossa italiana nel 2008, all'epoca di Maroni. Poco prima, nel dicembre 2007, la Fondazione Giovanni Michelucci Onlus realizzò un'iniziativa analoga in Toscana, producendo lo studio intitolato Rom e sinti in Toscana: le presenze, gli insediamenti, le politiche, in cui si spiegava che «chiudere i campi è possibile, e vantaggioso». Un lavoro simile lo ha svolto anche la Caritas ambrosiana, che nel marzo di quest'anno ha pubblicato la ricerca In-visibili. La presenza rom e gli insediamenti spontanei, relativa alla situazione di Milano.
Nel 2015, fu Il Sole 24 Ore a tentare di disegnare una mappa. Sul sito del giornale si trova facilmente l'inchiesta, che contiene alcune interessanti dichiarazioni attribuite a Marcello Zuinisi, «rappresentante legale di Nazione rom, associazione nazionale che si occupa di promuovere l'integrazione e l'inclusione di rom, sinti e camminanti». Diceva Zuinisi: «Lo Stato italiano, l'attuale governo in modo marcato, non si impegna affinché ci sia chiarezza sui rom». Insomma, era lo stesso rappresentante dei rom a chiedere più dati e dettagli. Proprio l'associazione Nazione rom ha dichiarato nei giorni scorsi che esiste un dossier, «elaborato dall'Istat nel 2017», il cui scopo è proprio quello di catalogare i nomadi italiani. Delle due l'una: o si attacca Salvini perché è un razzista che vuole fare una cosa inaudita, oppure lo si critica perché è poco informato e vuole rifare una cosa già fatta da altri.
L'atteggiamento più ipocrita, tuttavia, è quello esibito dal Partito democratico. Gli esponenti dem fanno a gara a chi la spara più grossa contro Salvini. Forse non sanno che in Emilia Romagna, regione che la sinistra governa da quando esiste, il censimento dei rom si è fatto eccome. Nel rapporto, realizzato nel 2014 con dati relativi al 2012, compare una slogan curioso: «Far rispettare le regole rispettando le diverse culture». Sul sito della Regione (all'epoca governata da Vasco Errani) è rintracciabile il comunicato che annunciava il suddetto studio: «Sono 2.745 le persone che vivono sul territorio, in 129 campi e aree», si legge nel testo. Nessuno, però, ha mai parlato di razzismo.
Nessuno scandalo nemmeno quando a censire i rom fu il Comune di Milano. Era il 2012, sindaco Giuliano Pisapia. Pierfrancesco Majorino (assessore oggi come allora) e il collega Marco Granelli realizzarono una nota intitolata «Sinti, rom e camminanti. Un progetto per includere le famiglie e i bambini e contrastare irregolarità e illegalità». Tra le loro proposte c'era il «censimento dei nuclei familiari delle popolazioni rom, sinti e camminanti presenti a Milano».
Salvini ha notato l'incongruenza e ha commentato: «Se lo faccio io è razzista, se lo propone la sinistra va bene». L'assessore Majorino si è molto risentito: «Il censimento della popolazione rom a Milano proposto da me e dall'assessore Granelli nel 2012 non c'entra niente con quello proposto dal ministro dell'Interno», ha detto ieri. «Noi abbiamo stilato un elenco delle persone presenti nei cosiddetti campi rom, qua siamo, invece, di fronte ad un censimento su base etnica». Già: loro censivano i campi rom, ma se si imbattevano in un rom era solo per caso, mica per razzismo...
Francesco Borgonovo
Nelle case popolari la trasparenza è d’obbligo
«Non è nostra intenzione schedare o prendere le impronte digitali a nessuno, nostro obiettivo è una ricognizione della situazione dei campi rom». Non è bastata la precisazione del ministro dell'Interno Matteo Salvini ad attenuare l'indignazione del fronte progressista. Diversi esponenti del Pd hanno parlato di misura che evoca la pulizia etnica. L'immancabile Roberto Saviano lo ha definito un «abominio», mentre Laura Boldrini «disumanità al potere».
L'elenco è ancora lungo, non ce n'è uno però che ricordi che censimenti dei campi rom ne sono stati fatti a decine anche da amministrazioni di centrosinistra. Ma soprattutto, rinchiusi nei loro attici ai Parioli a Roma e in Zona uno a Milano, i guardiani della democrazia non possono sapere che, da decenni, nelle case popolari italiane i censimenti sulle residenze, le composizioni del nucleo familiare, i redditi e le proprietà degli inquilini vengono fatti ogni due anni.
Quello che una volta era lo Iacp (Istituto autonomo case popolari) e che ora sono le Ater nel Lazio (Azienda territoriale per l'edilizia residenziale) o le Aler in Lombardia, ogni 24 mesi inviano all'inquilino un apposito modulo di autocertificazione che va compilato e riconsegnato. Questi i documenti che è obbligatorio presentare per farsi confermare l'assegnazione dell'alloggio: codici fiscali dei membri del nucleo familiare e documento di riconoscimento dell'assegnatario dell'alloggio; eventuali dati sul decesso o uscita dell'assegnatario e degli altri componenti usciti o entrati nell'alloggio nel biennio precedente; certificazione dei redditi complessivi percepiti da tutti i componenti del nucleo; modulo Obis-m (in caso di pensione sociale, assegno sociale o invalidità); visura catastale delle case di proprietà (in caso si abbiano proprietà immobiliari); eventuale certificato di invalidità; eventuale certificazione di disoccupazione.
Basta un figlio che abbia iniziato a lavorare e addio casa del Comune. Infatti se nel biennio precedente si è superato un certo livello reddituale si perde il diritto alla casa popolare e in attesa dello sfratto viene immediatamente applicato il canone più alto, quello da occupante. Stessa cosa se non si risponde alla lettera del censimento: applicazione del canone massimo in attesa dell'ispezione dell'Ater che può portare anche allo sfratto. Prevedere controlli similari nei campi nomadi è un atto nazista? Questo il parere del segretario del sindacato degli inquilini Federcasa, Gianluigi Pascoletti: «Se si tratta di campi regolari, con casette assegnate, hanno lo stesso Dna dell'edilizia sociale e dell'alloggio popolare, ovvero sono finanziate con soldi pubblici per sopperire ad un'emergenza abitativa». «Per questo motivo», conclude Pascoletti, «si applica lo stesso ragionamento del censimento Ater. Bisogna conoscere il nucleo familiare e i redditi. Non si tratta di discriminazione ma di rispetto delle norme e contrasto ai furbi».
Marco Guerra
Il capo lumbard: «Tiro dritto». E l’Ue lo bacchetta
Dalle parole ai fatti. «Questa mattina a Carmagnola (Torino), dove amministra la Lega, è stata abbattuta una casa abusiva in un campo sinti non autorizzato. Prima gli italiani». Matteo Salvini non molla e va avanti con la sua idea di «censimento dei rom» lanciata lunedì provocando un mare di polemiche perché la parola censimento sarebbe sinonimo di «schedatura etnica». E così ieri il ministro dell'Interno ha risposto a muso duro su Facebook pubblicando la foto della demolizione della casa abusiva: «Censimento dei rom e controllo dei soldi pubblici spesi. Se lo propone la sinistra va bene, se lo propongo io è razzismo. Io non mollo e vado dritto! Prima gli italiani e la loro sicurezza». A parte che gli italiani ogni 10 anni vengono regolarmente censiti, alcune amministrazioni come Milano o Roma, hanno già fatto i loro censimenti di rom. Nel luglio del 2012, con Pisapia sindaco, l'assessore ai servizi sociali Pierfrancesco Majorino, firmò un rapporto dal titolo «Sinti, rom e camminanti. Un progetto per includere le famiglie e i bambini e contrastare irregolarità e illegalità» che aveva come primo obiettivo il «Censimento dei nuclei familiari delle popolazioni Rom, Sinti e Camminanti presenti a Milano». Dal 2002 al 2015 il comune di Roma ha speso circa 27 milioni di euro per la scolarizzazione dei minori, circa 2.000, presenti nei campi rom della capitale. Soldi buttati considerato che uno su cinque non è mai andato a scuola e meno di 200 hanno frequentato circa tre quarti dell'orario scolastico. Ma tant'è e l'obiettivo risparmio per le amministrazioni e sicurezza per i cittadini non convince l'opposizione e neanche l'Europa.
Il commissario Ue Pierre Moscovici, infatti, ha affermato: «Anche se interferire negli affari interni di un Paese, commentare questa o quell'altra dichiarazione scioccante o raggelante può essere una tentazione a cui è estremamente difficile resistere, resisterò con tutte le forze. Dico che la Commissione Ue eserciterà le sue competenze con le regole di cui dispone. Ci sono regole in materia economica e finanziaria ma anche per quanto riguarda lo stato di diritto. Sono le nostre regole comuni e vanno rispettate da tutti». Contro il responsabile del Viminale il deputato di Leu Roberto Speranza che ha annunciato una denuncia contro Salvini per istigazione all'odio razziale mentre l'ex presidente della Camera Laura Boldrini parla di «disumanità al potere» e accusa il vicepremier di «stimolare i peggiori istinti del Paese».
E se il sindaco di Napoli Luigi De Magistris dice: «Se Salvini alza il tiro, noi pronti alle barricate», pieno sostegno arriva dai governatori di Veneto e Lombardia, Zaia e Fontana, e dall'ex ministro leghista Roberto Maroni tutti spinti dall'esigenza di sicurezza per i cittadini. Non manca l'attacco del mondo cattolico. Per l'arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi: «I cittadini italiani e europei il ministro dell'Interno se li deve tenere tutti, rispettare e difendere, fino a prova contraria. È giusto anche che si superino i campi rom, che sono in condizioni inumane, ma se li si toglie dai campi, si devono offrire soluzioni abitative».
Sarina Biraghi
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Per l'Istat mancano informazioni sui nomadi. E infatti le amministrazioni dem hanno realizzato censimenti nei campi: Giuliano Pisapia a Milano e Vasco Errani in Emilia.Nelle case popolari la trasparenza è d'obbligo. Ogni due anni le Regioni fanno lo «screening» agli affittuari. Basta un documento mancante e addio alloggio.Il commissario Ue Pierre Moscovici contro Matteo Salvini: «Raggelante». Il capogruppo di Leu, Roberto Speranza, lo denuncia per odio razziale.Com'era prevedibile, tutti sono partiti in quarta. C'è chi ha gridato al razzismo, chi ha tirato in ballo le «leggi speciali», chi ha ricordato l'Olocausto e chi si è trincerato dietro una cortina di sdegno. Il commissario europeo Pierre Moscovici ha definito «scioccanti» e «raggelanti» le parole di Matteo Salvini a proposito dei rom. Due giorni fa, durante un intervento a Telelombardia, Salvini ha dichiarato: «Al ministero mi sto facendo preparare un dossier sulla questione rom in Italia, perché dopo Maroni non si è fatto più nulla, ed è il caos». Poi ha aggiunto: «Vedremo di capire come si può intervenire facendo quello che all'epoca fu chiamato “censimento" e apriti cielo… Chiamiamola anagrafe, chiamiamola una situazione, una fotografia per capire di che cosa stiamo parlando». Che cosa c'è di scandaloso? Forse l'utilizzo del termine «censimento», che pure Salvini ha preso con le molle? Secondo qualcuno, censire la popolazione su base etnica sarebbe incostituzionale. Molti hanno fatto riferimento a ciò che avvenne nel 2008, quando l'allora ministro Roberto Maroni decise di procedere a una «schedatura» dei nomadi. Vero, l'Unione europea intervenne per tramite del commissario alla giustizia, Jacques Barrot, e si lamentò della violazione dei diritti umani. Ma l'argomento del contendere, in quel caso, erano le impronte digitali, cosa a cui Salvini nemmeno ha accennato. Semplicemente, il nuovo inquilino del Viminale ha espresso l'intenzione di raccogliere informazioni dettagliate sulla popolazione nomade presente nel nostro Paese. Pensate che sia una cosa inutile, una trovata propagandistica? Beh, allora dovreste sfogliare il rapporto intitolato Gli insediamenti rom, sinti e camminanti in Italia, scaricabile dal sito dell'Istat e realizzato da Anci (l'associazione dei Comuni italiani) e Unar (l'ente contro il razzismo). Nella prima pagina si legge: «Uno dei principali problemi con cui ci si scontra nell'affrontare le questioni che riguardano le popolazioni rom è quello dell'assenza di dati certi e questo “vuoto" informativo risulta una difficoltà comune a gran parte dei Paesi europei». Quindi sì, forse c'è bisogno di avere dati chiari su i rom e gli altri gitani presenti nel nostro Paese. Anche perché molti di loro vivono in condizioni allucinanti, completamente al di fuori della legalità e della decenza. Del resto, a «schedare» i rom, nel corso degli anni, hanno provveduto un bel po' di associazioni di provata fede progressista. Per esempio l'Associazione 21 luglio, che si occupa di difendere i diritti dei gitani e ogni anno realizza un dettagliato rapporto sui «nomadi» presenti nella Penisola. Perché se la radiografia la fa una Onlus o una cooperativa va bene e se la fa il Viminale no? Magari si risparmiano pure dei soldi… Di vero e proprio «censimento» parlò anche la Croce rossa italiana nel 2008, all'epoca di Maroni. Poco prima, nel dicembre 2007, la Fondazione Giovanni Michelucci Onlus realizzò un'iniziativa analoga in Toscana, producendo lo studio intitolato Rom e sinti in Toscana: le presenze, gli insediamenti, le politiche, in cui si spiegava che «chiudere i campi è possibile, e vantaggioso». Un lavoro simile lo ha svolto anche la Caritas ambrosiana, che nel marzo di quest'anno ha pubblicato la ricerca In-visibili. La presenza rom e gli insediamenti spontanei, relativa alla situazione di Milano. Nel 2015, fu Il Sole 24 Ore a tentare di disegnare una mappa. Sul sito del giornale si trova facilmente l'inchiesta, che contiene alcune interessanti dichiarazioni attribuite a Marcello Zuinisi, «rappresentante legale di Nazione rom, associazione nazionale che si occupa di promuovere l'integrazione e l'inclusione di rom, sinti e camminanti». Diceva Zuinisi: «Lo Stato italiano, l'attuale governo in modo marcato, non si impegna affinché ci sia chiarezza sui rom». Insomma, era lo stesso rappresentante dei rom a chiedere più dati e dettagli. Proprio l'associazione Nazione rom ha dichiarato nei giorni scorsi che esiste un dossier, «elaborato dall'Istat nel 2017», il cui scopo è proprio quello di catalogare i nomadi italiani. Delle due l'una: o si attacca Salvini perché è un razzista che vuole fare una cosa inaudita, oppure lo si critica perché è poco informato e vuole rifare una cosa già fatta da altri. L'atteggiamento più ipocrita, tuttavia, è quello esibito dal Partito democratico. Gli esponenti dem fanno a gara a chi la spara più grossa contro Salvini. Forse non sanno che in Emilia Romagna, regione che la sinistra governa da quando esiste, il censimento dei rom si è fatto eccome. Nel rapporto, realizzato nel 2014 con dati relativi al 2012, compare una slogan curioso: «Far rispettare le regole rispettando le diverse culture». Sul sito della Regione (all'epoca governata da Vasco Errani) è rintracciabile il comunicato che annunciava il suddetto studio: «Sono 2.745 le persone che vivono sul territorio, in 129 campi e aree», si legge nel testo. Nessuno, però, ha mai parlato di razzismo. Nessuno scandalo nemmeno quando a censire i rom fu il Comune di Milano. Era il 2012, sindaco Giuliano Pisapia. Pierfrancesco Majorino (assessore oggi come allora) e il collega Marco Granelli realizzarono una nota intitolata «Sinti, rom e camminanti. Un progetto per includere le famiglie e i bambini e contrastare irregolarità e illegalità». Tra le loro proposte c'era il «censimento dei nuclei familiari delle popolazioni rom, sinti e camminanti presenti a Milano». Salvini ha notato l'incongruenza e ha commentato: «Se lo faccio io è razzista, se lo propone la sinistra va bene». L'assessore Majorino si è molto risentito: «Il censimento della popolazione rom a Milano proposto da me e dall'assessore Granelli nel 2012 non c'entra niente con quello proposto dal ministro dell'Interno», ha detto ieri. «Noi abbiamo stilato un elenco delle persone presenti nei cosiddetti campi rom, qua siamo, invece, di fronte ad un censimento su base etnica». Già: loro censivano i campi rom, ma se si imbattevano in un rom era solo per caso, mica per razzismo...Francesco Borgonovo<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/salvini-rom-sinistra-2579530267.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nelle-case-popolari-la-trasparenza-e-dobbligo" data-post-id="2579530267" data-published-at="1765401850" data-use-pagination="False"> Nelle case popolari la trasparenza è d’obbligo «Non è nostra intenzione schedare o prendere le impronte digitali a nessuno, nostro obiettivo è una ricognizione della situazione dei campi rom». Non è bastata la precisazione del ministro dell'Interno Matteo Salvini ad attenuare l'indignazione del fronte progressista. Diversi esponenti del Pd hanno parlato di misura che evoca la pulizia etnica. L'immancabile Roberto Saviano lo ha definito un «abominio», mentre Laura Boldrini «disumanità al potere». L'elenco è ancora lungo, non ce n'è uno però che ricordi che censimenti dei campi rom ne sono stati fatti a decine anche da amministrazioni di centrosinistra. Ma soprattutto, rinchiusi nei loro attici ai Parioli a Roma e in Zona uno a Milano, i guardiani della democrazia non possono sapere che, da decenni, nelle case popolari italiane i censimenti sulle residenze, le composizioni del nucleo familiare, i redditi e le proprietà degli inquilini vengono fatti ogni due anni. Quello che una volta era lo Iacp (Istituto autonomo case popolari) e che ora sono le Ater nel Lazio (Azienda territoriale per l'edilizia residenziale) o le Aler in Lombardia, ogni 24 mesi inviano all'inquilino un apposito modulo di autocertificazione che va compilato e riconsegnato. Questi i documenti che è obbligatorio presentare per farsi confermare l'assegnazione dell'alloggio: codici fiscali dei membri del nucleo familiare e documento di riconoscimento dell'assegnatario dell'alloggio; eventuali dati sul decesso o uscita dell'assegnatario e degli altri componenti usciti o entrati nell'alloggio nel biennio precedente; certificazione dei redditi complessivi percepiti da tutti i componenti del nucleo; modulo Obis-m (in caso di pensione sociale, assegno sociale o invalidità); visura catastale delle case di proprietà (in caso si abbiano proprietà immobiliari); eventuale certificato di invalidità; eventuale certificazione di disoccupazione. Basta un figlio che abbia iniziato a lavorare e addio casa del Comune. Infatti se nel biennio precedente si è superato un certo livello reddituale si perde il diritto alla casa popolare e in attesa dello sfratto viene immediatamente applicato il canone più alto, quello da occupante. Stessa cosa se non si risponde alla lettera del censimento: applicazione del canone massimo in attesa dell'ispezione dell'Ater che può portare anche allo sfratto. Prevedere controlli similari nei campi nomadi è un atto nazista? Questo il parere del segretario del sindacato degli inquilini Federcasa, Gianluigi Pascoletti: «Se si tratta di campi regolari, con casette assegnate, hanno lo stesso Dna dell'edilizia sociale e dell'alloggio popolare, ovvero sono finanziate con soldi pubblici per sopperire ad un'emergenza abitativa». «Per questo motivo», conclude Pascoletti, «si applica lo stesso ragionamento del censimento Ater. Bisogna conoscere il nucleo familiare e i redditi. Non si tratta di discriminazione ma di rispetto delle norme e contrasto ai furbi». Marco Guerra <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/salvini-rom-sinistra-2579530267.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="il-capo-lumbard-tiro-dritto-e-lue-lo-bacchetta" data-post-id="2579530267" data-published-at="1765401850" data-use-pagination="False"> Il capo lumbard: «Tiro dritto». E l’Ue lo bacchetta Dalle parole ai fatti. «Questa mattina a Carmagnola (Torino), dove amministra la Lega, è stata abbattuta una casa abusiva in un campo sinti non autorizzato. Prima gli italiani». Matteo Salvini non molla e va avanti con la sua idea di «censimento dei rom» lanciata lunedì provocando un mare di polemiche perché la parola censimento sarebbe sinonimo di «schedatura etnica». E così ieri il ministro dell'Interno ha risposto a muso duro su Facebook pubblicando la foto della demolizione della casa abusiva: «Censimento dei rom e controllo dei soldi pubblici spesi. Se lo propone la sinistra va bene, se lo propongo io è razzismo. Io non mollo e vado dritto! Prima gli italiani e la loro sicurezza». A parte che gli italiani ogni 10 anni vengono regolarmente censiti, alcune amministrazioni come Milano o Roma, hanno già fatto i loro censimenti di rom. Nel luglio del 2012, con Pisapia sindaco, l'assessore ai servizi sociali Pierfrancesco Majorino, firmò un rapporto dal titolo «Sinti, rom e camminanti. Un progetto per includere le famiglie e i bambini e contrastare irregolarità e illegalità» che aveva come primo obiettivo il «Censimento dei nuclei familiari delle popolazioni Rom, Sinti e Camminanti presenti a Milano». Dal 2002 al 2015 il comune di Roma ha speso circa 27 milioni di euro per la scolarizzazione dei minori, circa 2.000, presenti nei campi rom della capitale. Soldi buttati considerato che uno su cinque non è mai andato a scuola e meno di 200 hanno frequentato circa tre quarti dell'orario scolastico. Ma tant'è e l'obiettivo risparmio per le amministrazioni e sicurezza per i cittadini non convince l'opposizione e neanche l'Europa. Il commissario Ue Pierre Moscovici, infatti, ha affermato: «Anche se interferire negli affari interni di un Paese, commentare questa o quell'altra dichiarazione scioccante o raggelante può essere una tentazione a cui è estremamente difficile resistere, resisterò con tutte le forze. Dico che la Commissione Ue eserciterà le sue competenze con le regole di cui dispone. Ci sono regole in materia economica e finanziaria ma anche per quanto riguarda lo stato di diritto. Sono le nostre regole comuni e vanno rispettate da tutti». Contro il responsabile del Viminale il deputato di Leu Roberto Speranza che ha annunciato una denuncia contro Salvini per istigazione all'odio razziale mentre l'ex presidente della Camera Laura Boldrini parla di «disumanità al potere» e accusa il vicepremier di «stimolare i peggiori istinti del Paese». E se il sindaco di Napoli Luigi De Magistris dice: «Se Salvini alza il tiro, noi pronti alle barricate», pieno sostegno arriva dai governatori di Veneto e Lombardia, Zaia e Fontana, e dall'ex ministro leghista Roberto Maroni tutti spinti dall'esigenza di sicurezza per i cittadini. Non manca l'attacco del mondo cattolico. Per l'arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi: «I cittadini italiani e europei il ministro dell'Interno se li deve tenere tutti, rispettare e difendere, fino a prova contraria. È giusto anche che si superino i campi rom, che sono in condizioni inumane, ma se li si toglie dai campi, si devono offrire soluzioni abitative». Sarina Biraghi
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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