La paga oraria di 9 euro lordi all’ora sarebbe pari al 75% della retribuzione mediana. Una soglia altissima che spingerebbe le forme di lavoro non regolari e peggiorerebbe i contratti della maggioranza dei lavoratori.
La paga oraria di 9 euro lordi all’ora sarebbe pari al 75% della retribuzione mediana. Una soglia altissima che spingerebbe le forme di lavoro non regolari e peggiorerebbe i contratti della maggioranza dei lavoratori. Il salario minimo orario in Italia non potrebbe funzionare perché i 9 euro lordi l’ora proposti dai partiti all’opposizione si aggirerebbero intorno al 75% del salario mediano italiano. Detto in parole povere, le retribuzioni nel nostro Paese sono troppo basse e l’obbligo di una tariffa oraria legale rischierebbe di incentivare il ricorso a forme di lavoro non regolari. La prima ad averlo detto a più riprese è la premier Giorgia Meloni che l’altro ieri lo ha ribadito nella sua rubrica sui social «Gli appunti di Giorgia». «Il paradosso è che il salario minimo potrebbe rischiare di diventare un parametro sostitutivo e non aggiuntivo, con il risultato di peggiorare per paradosso il salario di molti più lavoratori di quelli ai quali lo migliorerebbe. Titolo accattivante ma risultato che rischia di essere controproducente», ha detto. «Nei prossimi giorni apriremo un confronto» con le opposizioni e «cercheremo di capire se ci sono i margini per una proposta seria sui salari bassi», ha poi continuato in video, chiedendosi: «Perché non abbiamo accolto la proposta sul salario minimo legale così come è stata presentata dall’opposizione? L’Italia è considerato un Paese virtuoso perché abbiamo un’altissima percentuale di lavoratori coperti dalla contrattazione collettiva, cioè da contratti di riferimento firmati per il 97% da Cgil Cisl e Uil e tutti prevedono anche una retribuzione minima per ogni settore. Ora se a fronte di questo, io decidessi di stabilire per legge una cifra minima oraria di retribuzione per tutti, che inevitabilmente dovrà stare nel mezzo, allora mi troverei con un salario minimo legale che in molti casi potrebbe ragionevolmente essere molto più basso del minimo contrattuale previsto».In effetti, pare che nemmeno l’opposizione abbia tutte queste certezze sul salario minimo. Oggi dovrebbe tenersi un incontro con tutti i partiti del centrosinistra la cui convocazione era stata spedita lo scorso 8 agosto. Inizialmente tutti i partiti dell’opposizione avevano risposto positivamente all’appello tranne Italia Viva che, essendo l’unico soggetto dell’opposizione a non aver siglato la proposta di legge sul salario minimo, si è tirata fuori. Ma la bagarre sul tema è tale che l’incontro di oggi potrebbe saltare. Gli esperti della materia spiegano, numeri alla mano, che l’idea del salario minimo potrebbe non funzionare. L’Ocse, già menzionato dalla premier, fa sapere che la retribuzione mediana oraria di un lavoratore dipendente a tempo pieno nel Belpaese è pari a circa 12 euro lordi. I 9 euro lordi l’ora proposti dai partiti all’opposizione, dunque, si aggirerebbero dunque intorno al 75% del salario mediano italiano. Pallottoliere alla mano, questo livello sarebbe tra i più alti a livello internazionale.Non a caso, l’Italia si troverebbe in classifica con economie poco sviluppate come quella colombiana (il Paese con il livello di salario minimo più alto rispetto al suo salario mediano, 92,3%), seguita dal Costa Rica (81,5%) e dal Cile (71,9%). I grandi mercati europei registrerebbero livelli ben diversi con la Germania al 51,1% del salario mediano, la Francia al 60,9%, la Spagna al 48,4% e il Regno Unito al 56,9%. Dello stesso avviso anche gli esperti di Adapt, l’associazione fondata da Marco Biagi per favorire gli studi nel campo del diritto del lavoro e delle relazioni industrial. «Il dibattito sviluppatosi a seguito della direttiva europea sull’individuazione di salari minimi equi e dignitosi si inserisce in un contesto, come quello italiano, da decenni caratterizzato da bassa crescita delle retribuzioni, della produttività e del Pil», spiegano dall’associazione. «In questo quadro, l’Italia presenta un tasso di copertura contrattuale superiore al livello minimo previsto dalla direttiva. Escludendo il settore agricolo e domestico, per cui non sono disponibili informazioni, secondo il Cnel sarebbero circa 12,8 milioni i lavoratori dipendenti di aziende private coperti da contratti collettivi, per una incidenza sul totale degli occupati attorno al 96,5%. Guardando ai Ccnl maggiormente rappresentativi, va evidenziato come in molti casi questi prevedono soglie minime retributive inferiori ai 9 euro, valore indicato dalle principali proposte di legge di introduzione di un salario minimo legale», continuano da Adapt. «La Fondazione Studi Consulenti del lavoro ha preso in rassegna 63 contratti collettivi, individuati tra i più rappresentativi, indicando per ciascuno il minimo retributivo previsto per il livello di inquadramento più basso e a questo sono stati sommati i ratei di mensilità aggiuntiva (tredicesima mensilità ed eventuale quattordicesima) nonché la quota di trattamento di fine rapporto che, come è noto, costituisce una retribuzione differita. Secondo l’analisi svolta, 39 Ccnl presentano livelli minimi retributivi superiori ai 9 euro, mentre 22 sono al di sotto di tale soglia. Questi ultimi, nella gran parte dei casi, hanno livelli che oscillano tra gli 8 e gli 8,9 euro (18 Ccnl)».Insomma, è giusto tutelare anche i lavoratori più svantaggiati, ma le statistiche mostrano che un salario minimo a 9 euro l’ora farebbe più male che bene perché già attualmente la situazione della maggior parte dei professionisti nel nostro Paese percepisce emolumenti analoghi o superiori a quello proposto. C’è poi da dire che i primi a non essere compatti sul salario minimo sono i sindacati. Il motivo? L’istituzione di una soglia oraria minima per legge potrebbe minare il ruolo delle unioni dei lavoratori. Ecco perché c’è chi, pur non osteggiandone l’idea, preferisce non spingere troppo per la sua approvazione.
Mario Venditti (Ansa)
Dopo lo scoop di «Panorama», per l’ex procuratore di Pavia è normale annunciare al gip la stesura di «misure coercitive», poi sparite con l’istanza di archiviazione. Giovanni Bombardieri, Raffaele Cantone, Nicola Gratteri e Antonio Rinaudo lo sconfessano.
L’ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, è inciampato nei ricordi. Infatti, non corrisponde al vero quanto da lui affermato a proposito di quella che appare come un’inversione a «u» sulla posizione di Andrea Sempio, per cui aveva prima annunciato «misure coercitive» e, subito dopo, aveva chiesto l’archiviazione. Ieri, l’ex magistrato ha definito una prassi scrivere in un’istanza di ritardato deposito delle intercettazioni (in questo caso, quelle che riguardavano Andrea Sempio e famiglia) che la motivazione alla base della richiesta sia il fatto che «devono essere ancora completate le richieste di misura coercitiva». Ma non è così. Anche perché, nel caso di specie, ci troviamo di fronte a un annuncio al giudice per le indagini preliminari di arresti imminenti che non arriveranno mai.
Alessia Pifferi (Ansa)
Cancellata l’aggravante dei futili motivi e concesse le attenuanti generiche ad Alessia Pifferi: condanna ridotta a soli 24 anni.
L’ergastolo? È passato di moda. Anche se una madre lascia morire di stenti la sua bambina di un anno e mezzo per andare a divertirsi. Lo ha gridato alla lettura della sentenza d’appello Viviana Pifferi, la prima accusatrice della sorella, Alessia Pifferi, che ieri ha schivato il carcere a vita. Di certo l’afflizione più grave, e che non l’abbandonerà finché campa, per Alessia Pifferi è se si è resa conto di quello che ha fatto: ha abbandonato la figlia di 18 mesi - a vederla nelle foto pare una bambola e il pensiero di ciò che le ha fatto la madre diventa insostenibile - lasciandola morire di fame e di sete straziata dalle piaghe del pannolino. Nel corso dei due processi - in quello di primo grado che si è svolto un anno fa la donna era stata condannata al carcere a vita - si è appurato che la bambina ha cercato di mangiare il pannolino prima di spirare.
Toga (iStock). Nel riquadro, Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.






