
Si è costituito il giovane che a fine febbraio a Torino ha tagliato la gola a un uomo di 33 anni: «Sorrideva e io invece ero disperato. Volevo uccidere un ragazzo come me, sottrarlo alla sua famiglia e togliergli le promesse di felicità. Forse avrei ammazzato ancora».Aveva perso la moglie e il lavoro e, siccome si riteneva uno sventurato, ha deciso di vendicarsi: si è piazzato nel parco dei Murazzi e ha aspettato che gli arrivasse a tiro la prima persona sorridente, l'ha sorpresa alle spalle e con un coltellaccio da cucina gli ha tagliato la gola. È questo il movente dell'omicidio di Stefano Leo, sgozzato il 23 febbraio scorso a Torino, in riva al Po. Domenica sera si è presentato in Questura e ha confessato, facendo ritrovare anche l'arma del delitto. Said Machaouat, classe 1992, nato in Marocco e giunto in Italia a soli sei anni perché abbandonato dai genitori, era diventato italiano per una legge del '92 che prevede la concessione della cittadinanza agli stranieri regolari da almeno dieci anni. E siccome Said, dopo aver lasciato la scuola alberghiera, aveva cominciato a lavorare da lavapiatti e cameriere, raggiunti il reddito previsto e gli anni di permanenza, era riuscito a ottenere la cittadinanza. Poi si era sposato con una italiana ed era arrivato anche un bambino. Le cose gli sono andate bene fino al 2015, anno in cui si è separato. I servizi sociali del Comune l'hanno seguito finché non ha lasciato l'Italia. Ha cercato fortuna prima in Spagna, a Ibiza, poi è tornato in Marocco, dove, però, non ha trovato aiuto dalla famiglia. A quel punto, a gennaio, è rientrato in Italia. Da due anni non aveva neppure un telefono cellulare, la notte cercava riparo nei dormitori della città, oppure, quando gli andava male, si rifugiava sotto i ponti. «Volevo uccidere un ragazzo come me, sottrarlo alla sua famiglia e togliergli tutte le promesse di felicità», ha spiegato ai poliziotti. Ha ucciso per invidia.A confermarlo è il procuratore Paolo Borgna, citando un passo del verbale d'interrogatorio dell'assassino marocchino. «Un movente banale quanto terrificante», ha chiosato il procuratore. Quella mattina del 23 febbraio, in preda alla follia omicida, con gli ultimi 10 euro che si trovava in tasca ha comprato un set di coltelli. Ne ha tenuto uno solo, il più grande e affilato, e si è sbarazzato degli altri. Con fredda lucidità ha aspettato Stefano e l'ha assassinato. L'altro giorno, dopo aver fatto tappa a Porta Susa, è passato vicino alla Questura e ha deciso di costituirsi. Il motivo? «Avevo una voce dentro di me», ha spiegato ai poliziotti, «che mi diceva di uccidere ancora». E, così, dopo Stefano, Said l'invidioso avrebbe potuto sgozzare chiunque altro.Come Adam Kabobo, che nel 2013 uccise a picconate tre persone per strada a Milano. O come Amine Asssoul detto Aziz, che a Terni, nel 2015, sgozzò un ragazzo con un coccio di vetro davanti a un pub. Vittime sventurate, che si sono trovate nel posto sbagliato al momento sbagliato. «È stata una scelta tragicamente casuale», sostiene ora l'avvocato Basilio Foti, che difende Said.«Mi ha detto di essere stato in sofferenza per giorni e che si doveva assolutamente liberare. Non c'è logica nel suo racconto, ha detto di stare male perché è un papà che non vede da anni suo figlio». E nonostante la piena confessione di Said, resa forte dal fatto che abbia fatto ritrovare il coltello con cui ha ucciso Stefano, il legale si dice perplesso: «Perché sostiene di aver colpito con la sinistra lui che è destrorso? Inoltre la sua versione è quella che racconta un gesto da squilibrato e lui non mi sembra lo sia, ma la mia», precisa il difensore, «è un'impressione da uomo e non da avvocato. La certezza l'avremmo con l'esame del dna sul coltello». Uscendo dalla Questura, però, Said ha smentito subito le impressioni del suo avvocato mostrando con la mano destra le corna ai fotografi. E anche gli investigatori sono perplessi sugli alibi. «Nelle cinque settimane successive al delitto è stato svolto, in stretta sinergia con la procura di Torino, un lavoro investigativo minuzioso, che ha consentito di raccogliere numerose fonti», spiega il colonnello Francesco Rizzo, comandante provinciale dei carabinieri, «che ci hanno consentito di riscontrare in gran parte il racconto del fermato». Ed è documentata anche la presenza di Said sulla scena del crimine. Gli approfondimenti investigativi scavano nel passato di Said: «Stiamo documentando la sua vita per escludere che sia mai venuto in contatto con la vittima», ha sottolineato Rizzo. Per il resto, c'è anche il coltello che, spiega l'ufficiale dell'Arma, «a differenza della felpa sporca di sangue di cui si è liberato immediatamente, ha conservato perché ha detto che forse l'avrebbe di nuovo utilizzato». È stata proprio la paura di poter uccidere ancora a spingerlo a costituirsi. E infatti, il colonnello conferma: «Ha detto che non sapeva se suicidarsi o compiere altri fatti di sangue». In ogni caso, quel coltello gli sarebbe ancora servito.«Mio Dio, la vita di mio figlio è stata stroncata da un folle», ha detto in lacrime, ai cronisti della Stampa, Maurizio Leo, il papà di Stefano. Sulla gran parte dei media rappresentano Said come un depresso. E il neuropsichiatra Rosario Sorrentino alle agenzie di stampa inserisce il terribile gesto in un contesto di disagio ambientale. Per il questore della Camera dei deputati Edmondo Cirielli, di Fratelli d'Italia, invece, «la cittadinanza non può essere un diritto nemmeno dopo dieci anni. Serve un esame culturale e sociologico per capire se accogliamo una persona in grado di rispettare le leggi italiane e riconoscere le regole di convivenza civile».
Emanuele Orsini (Ansa)
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