2019-09-19
Roi Macron fa visita alla provincia domata
Viaggio lampo del leader transalpino, che incontra Giuseppe Conte e Sergio Mattarella. Dietro ai sorrisi di rito, c'è un piano preciso: celebrare la fine della «ribellione» salviniana, stringere patti farsa sull'immigrazione e il solito shopping nelle nostre aziende strategiche.Prima la visita al Quirinale al presidente Sergio Mattarella, e poi, all'ora di cena, l'incontro a Palazzo Chigi con il premier Giuseppe Conte: si è svolto così, in un fazzoletto di ore, il blitz romano di ieri di Emmanuel Macron, con l'aria del monarca che visita una provincia del suo impero che si era «ribellata» e che è stata prontamente «domata». Almeno dal punto di vista governativo, perché ieri, all'arrivo del leader francese, il Movimento nazionale per la sovranità ha aperto uno striscione con la scritta «Macron l'Italia non si compra», per il quale sono stati fermati otto militanti, malgrado la natura pacifica della manifestazione. Tornando ai summit, è il caso di leggere tra le righe, di andare oltre i reciproci scambi di cortesia esteriore, l'eleganza formale in cui i cugini francesi notoriamente sanno eccellere. La sostanza - che sarà sempre più chiara nelle prossime settimane e mesi - è amara almeno su tre fronti. Il primo è il patronage politico sulla nuova maggioranza e sul nuovo equilibrio politico italiano che Parigi non fa nemmeno lo sforzo di nascondere. Nei giorni scorsi, era stato il ministro degli Esteri transalpino Jean-Yves Le Drian a dare la propria benedizione: «Il nuovo governo appare più aperto nella sua dimensione europea, più determinato ad avere con la Francia relazioni più positive, più aperto anche all'attuazione di dispositivi migratori condivisi». Inutile girarci intorno. Macron ha centrato i suoi obiettivi: estromettere - almeno per ora - Matteo Salvini dalla stanza dei bottoni. Prima delle europee, il presidente francese aveva scelto proprio Salvini come arcinemico e bersaglio polemico, venendo però punito nelle urne: come si sa, l'esito elettorale è stato quello di una la Lega primo partito italiano, e - in Francia - della lista di En Marche scavalcata da Marine Le Pen, che si era pure tolta lo sfizio di far guidare la campagna a un giovanissimo, Jordan Bardella, il quale ogni giorno evocava la Lega e Salvini come riferimenti positivi. Ma ora Macron si è preso una momentanea rivincita. Di più: ha pure ottenuto un poderoso ridimensionamento di Di Maio, passato dalle foto con i gilet gialli a fare da stampellina a Bruxelles al solito patto francotedesco. Ieri è stato proprio uno dei leader della protesta francese ad esprimere il proprio sconcerto verso il capopartito grillino: «Luigi Di Maio sta scivolando verso sinistra», ha detto all'AdnKronos Christophe Chalençon, che a febbraio aveva incontrato Di Maio e Alessandro Di Battista, suscitando le ire dell'Eliseo, con tanto di richiamo a Parigi dell'ambasciatore Christian Masset. «Se Di Maio si avvicina troppo a Macron, se non tiene la sua linea, penso che abbia da preoccuparsi a livello elettorale, rischia di perdere voti», ha aggiunto Chalençon, forse ignaro di come i grillini abbiano già ceduto su tutti i fronti. E quindi questo è il primo punto reso plasticamente dalla visita di ieri di Macron: certificare che il nuovo equilibrio politico a Roma, alle spalle di elettori e sondaggi, corrisponda ai desideri di Parigi. La cosa più umiliante - dal punto di vista italiano - è che i litiganti del centrosinistra (da Matteo Renzi al Pd, passando per il neo commissario Ue Paolo Gentiloni) siano tutte pedine che Parigi pensa di poter gestire agevolmente. Il secondo obiettivo è ancora più mortificante, e ha a che fare con l'immigrazione. Lasciate perdere i sorrisi, le dichiarazioni distensive, le affermazioni di disponibilità, il battage mediatico che sarà costruito intorno al vertice di Malta del 23 settembre prossimo. Parigi non farà concessioni, se non di facciata. Tra meno di due settimane, l'Assemblea nazionale francese discuterà proprio di immigrazione, e, sotto gli occhi dei suoi elettori (e sotto il tiro dell'opposizione lepenista), Macron non potrà certo cedere o mostrarsi arrendevole. Come La Verità ha spiegato ieri, il Presidente, incontrando i deputati di En Marche, è stato chiarissimo, prefigurando un indurimento della sua linea sul tema (temendo di perdere altro terreno presso le classi popolari). E già prima degli incontri romani di ieri, l'Eliseo aveva messo le mani avanti con una nota ufficiale dai due volti. Da un lato, una concessione apparente all'Italia, e cioè l'auspicio di un «meccanismo stabile, prevedibile e automatico di ripartizione». Dall'altro, però, un netto no alla messa in discussione «del principio dell'approdo più vicino». Morale: l'Italia rimane - nei desideri francesi - la destinataria del flusso principale di arrivi, e poi - al massimo - gli altri collaboreranno sui profughi (appena il 10% di chi sbarca). Su tutto il resto, promesse vaghe. E perfino la beffa dell'insistenza macroniana sui rimpatri: facile a dirsi, quando il peso ricadrà ancora una volta sulle spalle dell'Italia. Il terzo punto in agenda è quello economico, con diversi dossier di estremo interesse per l'Eliseo: il rapporto tra Stx e Fincantieri, la Tav, e anche (su un piano di valutazioni politiche generali) la questione Fiat-Renault. Inutile girarci intorno: Parigi mira da tempo a nuove operazioni di shopping in Italia, con alcuni bersagli molto precisi. Banche, risparmio, agroalimentare, industria della difesa. Su ognuno di questi settori, la Francia - che a casa propria fa sciovinisticamente valere il criterio dell'interesse nazionale, calpestando ogni proclamazione liberale e pro mercato - pensa di fare qui da noi la spesa a basso costo. Ed è convinta (lo pensa da anni) che un equilibrio politico con al centro il Pd crei un ambiente oggettivamente e soggettivamente più favorevole al protagonismo e alle scorribande transalpine.