
È la suggestiva cornice di Villa Bassi Rathgeb ad Abano Terme a ospitare (sino al 5 giugno 2022) l’attesissima mostra su Robert Capa. Un centinaio le immagini esposte, lontane da quegli scenari bellici che gli hanno regalato la fama di «miglior fotoreporter di guerra del mondo».
Nato Endre Erno Friedmann a Budapest nel 1913 e diventato Robert Capa solo nel 1936, a Parigi, grazie a un’idea della compagna Gerda Taro, il nome di Capa è indissolubilmente legato alla fotografia di guerra. Cinque i grandi conflitti che ha vissuto e documentato, dalla la guerra civile spagnola alla prima guerra d'Indocina , passando per la seconda guerra sino-giapponese (che seguì nel 1938), il secondo conflitto mondiale , la guerra arabo-israeliana . Sua la celebre foto del «Miliziano colpito a morte» (1936), discussa per autenticità, ma che lo rese celebre in tutto il mondo; sue le indimenticabili immagini della Sicilia nel 1943, scattate al seguito dell’esercito americano; pochi i fotogrammi rimasti sullo sbarco in Normandia, ma non per questo meno significativi e intensi. Paradossalmente, le brutture della guerra hanno dato immortalità a Capa, ma , per la legge del contrappasso, molto gli hanno tolto: a iniziare dall’ amore della sua vita, la fotografa tedesca Gerda Taro (travolta e schiacciata da un carro armato durante la Guerra civile spagnola) e la sua stessa vita, visto che il più grande fotoreporter di tutti i tempi trovò la morte nel 1954, sul fronte del primo conflitto indocinese, mettendo fallosamente un piede su una mina,
Una vita senza dubbio avventurosa quella di Capa, uomo non bello, ma dall'innegabile fascino. Donnaiolo e bevitore. Temerario e sprezzante del pericolo. Tante le città in cui visse – Berlino, Vienna, Parigi, New York, solo per citarne alcune – tante le persone che conobbe, importantissime o sconosciute. Molti i grandi fotografi suoi amici. Uno su tutti, Henri Cartier-Bresson , con il quale , insieme ai colleghi David Seymour, George Rodger e William Vandivert, nel 1947 fondò la celebre agenzia Magnum, tuttora esistente e da sempre ricettacolo del gotha della fotografia mondiale.
Una personalità poliedrica quindi. Dalle mille sfaccettature. Sicuramente Capa è stato un fotografo di guerra , anzi « IL» fotografo di guerra per antonomasia, ma non solo… E proprio da qui prende avvio l’originale progetto espositivo a Villa Bassi Rathgeb di Abano Terme, che mira a far conoscere, attraverso un centinaio di scatti, i suoi reportage poco noti, ma non per questo meno importanti e potenti.
«Robert Capa. Fotografie oltre la guerra», la mostra
Curata da Marco Minuz e promossa dal Comune di Abano Terme, l’esposizione a Villa Bassi racconta il rapporto che Capa intrattenne con il mondo della cultura dell’epoca, spaziando fra pittura, letteratura e cinema: in mostra, ritratti di Picasso, Hemingway e Matisse e i suoi lavori dedicati a famosi film d’epoca. Nel 1946, fu la straordinaria attrice svedese Ingrid Bergman ad introdurrlo sul set del film Notorius di Alfred Hitchcock (dove si cimentò per la prima volta in veste di fotografo di scena) e da qui, nell’arco di pochissimi anni, il reporter di guerra si trovò a confrontarsi con i divi del secolo scorso, mostri sacri del calibro di Humphrey Bogart e John Houston; immortalò la bellezza di Gina Lollobrigida e l’intensità di Anna Magnani; amò in modo viscerale il neorealismo, congeniale alla sua sensibilità e alla sua ricerca artistica: da qui nacquero gli intensi scatti realizzati sul set di Riso Amaro, con ritratti mozzafiato di Silvana Mangano e Doris Dowling.
Proseguendo nel percorso espositivo, di grande interesse la sezione dedicata alla collaborazione con lo scrittore premio Nobel americano John Steinbeck , con il quale Capa condivise il progetto Diario russo, una sorta di reportage culturale sulla gente comune dell’ex Unione Sovietica, salutato dal New York Times come «un libro magnifico».
A seguire, la serie di fotografie realizzate in Francia nel 1938 e dedicate all’edizione del Tour de France di quell’anno - dove l’attenzione del fotografo si focalizza più sul pubblico che sulle gesta sportive degli atleti - e uno spazio dedicato alla nascita dello Stato d’Israele a pochi anni dalla Shoah, con la vita che riprende nonostante le violenze ancora in corso: un lavoro intenso ed emozionante, visto con l’occhio, anzi, con l’obiettivo, di un fotografo ungherese, naturalizzato americano, cittadino del mondo, ma di radici ebraiche. Le origini del suo peregrinare...










