2022-11-23
In manovra assegni mensili più pesanti per tutti ma meno del previsto. Quota 103 con «limitazioni economiche di buonsenso» per 48.000 lavoratori . Premio del 10% a chi rimane. Rinnovate Ape sociale e Opzione donna.Il nodo della previdenza era uno dei più urgenti da sciogliere nella prima manovra del governo Meloni. Prima di tutto c’era da disinnescare il reintegro della legge Fornero. L’obiettivo è stato centrato, come previsto, con quota 103. Meno previste erano le limitazioni che sono state introdotte. Si, perché è vero che si potrà andare in pensione con 41 anni di contributi e 62 anni di età, non si potrà però percepire l’intero importo della propria pensione se questa dovesse superare di cinque volte la pensione minima. Insomma, chi va in pensione prima dei 67 anni di età non potrà quindi prendere, fino al compimento dei 67 anni, un assegno pensionistico superiore a 2.850 euro. «Limitazioni di buon senso» le ha definite il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.Va invece chiarita l’esistenza o meno del divieto di cumulo con l’attività lavorativa che scoraggerebbe per un’ampia platea di lavoratori l’accesso alla misura (dovrebbe essere lasciata la possibilità di cumulare un reddito da lavoro di 5.000 euro l’anno).Ma quali sono i tempi? Chi ha i requisiti per l’accesso a Quota 103 a fine 2022 dovrà attendere per l’uscita il mese di aprile 2023 se lavoratore privato e il mese di agosto se lavoratore pubblico. La manovra dovrebbe prevedere infatti una finestra mobile di tre mesi per i lavoratori privati e di sei mesi per i pubblici. Limitazioni, ma anche concessioni, perché grazie alla proroga di quello che il vicepremier Matteo Salvini ha chiamato il bonus Maroni, verrà attribuito un premio del 10% di pensione in più a chi deciderà di rimanere al lavoro e quindi di non sfruttare quota 103. Opzione donna, prorogata in manovra, consente alle lavoratrici che abbiano maturato entro il 31 dicembre 2023 il requisito anagrafico dei 58 anni, di andare in pensione con il ricalcolo contributivo dell’assegno. Ma per accedervi devono essere madri di almeno due figli. Andranno a 59 anni le donne che hanno un solo figlio, mentre chi non ne ha fatti dovrà lavorare fino ai 60 anni. Anche Ape sociale è stata rinnovata. Si tratta dell’anticipo di pensione per determinate categorie di lavoratori: gli addetti a lavori particolarmente gravosi, come gli insegnanti di scuola primaria e infanzia, i tecnici della salute, i magazzinieri, gli operai specializzati o gli agricoltori. E ancora i disoccupati con più di 30 anni di contributi o chi assiste familiari con disabilità da più di 6 mesi. Per loro sarà possibile anche nel 2023 l’uscita anticipata con un assegno fino a 1.300 euro per 12 mesi fino al raggiungimento dei requisiti per la pensione ordinaria o per quella anticipata. Per avere diritto all’assegno dell’Ape sociale si devono aver compiuto almeno 63 anni, con anzianità contributiva di 30 anni. Questi interventi non sono strutturali. Quota 103 interesserà una platea, secondo i calcoli del governo, di circa 48.000 lavoratori per un costo potenziale di circa 700 milioni di euro e avrà la durata di un anno. La speranza è che questi 12 mesi servano per costruire una riforma della previdenza italiana strutturale e duratura che metta fine una volta per tutte al grande problema delle pensioni. Insomma, quota 103 era una misura annunciata, che ci si aspettava e di cui si era già parlato a fondo, ma sulla previdenza c’è una novità che impatta molto sulla vita dei pensionati: si tratta della rivalutazione degli assegni. Si parte dalla minima: il governo ha stabilito in questa manovra di bilancio di rivalutare le minime del 120%. Questo porterà le pensioni minime da 525 euro a 570 euro circa, 45 euro in più quindi e riguarderà circa 2 milioni e mezzo di pensionati. La misura è pensata per andare incontro alle difficoltà che derivano dall’alta inflazione che ha fatto salire i prezzi di ogni cosa. Con il crescere della pensione è prevista però la diminuzione di queste rivalutazioni. Funziona in questo modo: gli assegni dal valore superiore a 4 volte più del minimo (si parla di pensioni più o meno superiori ai 2.100 euro) non vedranno una rivalutazione del 90%, ma solo del 40%, che scenderà al 20% per quelle che superano i 5.000 euro. Non verranno toccati, invece, gli assegni inferiori ai 2.100 euro: per loro la perequazione sarà piena, pari cioè al 100% dell’inflazione, come previsto dalle norme vigenti. Sulle pensioni forse si poteva fare un po’ di più, ma come detto più volte la «coperta è corta», per esser chiari non c’erano i soldi per mantenere tutte le promesse fatte in campagna elettorale. Ed è per questo che Giorgia Meloni parla di «visione» quando spiega la manovra in conferenza stampa. «Se noi non avessimo avuto il problema delle bollette avremmo fatto un intervento più significativo» la sua giustificazione. Insomma, levata la parte sull’energia, si tratta di una manovrina, come ampiamente previsto, ma il solco tracciato sembra essere quello giusto. Non resta che affidarsi alla «visione».
La Commissione rivede al ribasso la crescita dell’Italia nel 2025 (+0,4%) e gli «strilloni» anti-governo ghignano: «Fanalino». Ma le stime dei burocrati sono spesso fallaci. E il nostro Pil pro capite supera quelli della Germania e della Francia del debito.
Tutti a parlare del fatto che le previsioni di crescita per il 2025 relegano l’Italia a fanalino di coda. Ah, le previsioni arrivano dalla Commissione europea. Che quattro volte l’anno ci offre le sue analisi sul passato e le sue previsioni per il futuro. A febbraio sono pubblicate le previsioni invernali. A maggio quelle di primavera. A settembre quelle estive. E a novembre quelle di autunno. E sono queste quelle che molti quotidiani italiani hanno commentato ieri. Il faro era puntato sulla bassa crescita. Che è una realtà indiscutibile.
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)
Francesco Saverio Garofani, consigliere del presidente della Repubblica per gli Affari del Consiglio Supremo di Difesa, in un colloquio con il Corriere della Sera confessa: «Era una chiacchierata in libertà tra amici» e convinto di «non aver mai fatto dichiarazioni fuori posto, mai esibizioni di protagonismo» aggiunge di aver «letto e riletto Belpietro, senza capire in cosa consisterebbe il complotto».
Ansa
Slitta a oggi il termine per le modifiche alla manovra. Spunta bonus per le scuole private.
Rush finale per gli emendamenti alla manovra. È slittato a oggi il termine per la presentazione dei cosiddetti segnalati. Significa che le 5.742 proposte di modifica del testo iniziale, saranno ridotte a 414. Sempre oggi si svolgerà un pre Consiglio dei ministri in vista del cdm di domani. Uno dei punti all’ordine del giorno è lo schema di disegno di legge che prevede l’istituzione del Registro unico nazionale dei dispositivi medici impiantabili. Sono poi previsti due schemi di decreto legislativo. Il primo su Terzo settore, crisi d’impresa, sport e Iva. Il secondo, introduce integrazioni per Irpef e Ires, tocca la fiscalità internazionale, le imposte sulle successioni e donazioni e di registro, con modifiche anche allo Statuto dei diritti del contribuente e ai testi unici delle sanzioni tributarie. Si affronterà poi l’adeguamento alla normativa europea. Vengono esaminati in via definitiva i decreti relativi alle sanzioni per chi viola gli obblighi sui carburanti sostenibili per l’aviazione (Saf).
Lucio Malan (Ansa)
La mossa di Lucio Malan ricorda che 275 miliardi di riserve sono del Paese. Anche se non ne può disporre per le regole europee.
Ci sono diversi modi per mandare frecciatine nemmeno tanto trasversali verso la Banca d’Italia, l’Eurosistema e la Ue. Uno è quello di voler stabilire in modo inequivocabile chi è il proprietario delle riserve auree detenute e gestite dalle stanze di Palazzo Koch.
Dopo un tentativo simile durante il governo Conte uno, a opera del senatore leghista Claudio Borghi, venerdì è stato il senatore Lucio Malan, capogruppo di Fdi al Senato, con altri quattro senatori del suo partito, ad apporre la propria firma su un lapidario emendamento alla legge di Bilancio 2026: «Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome del popolo italiano».





