Alcune settimane fa, all’inizio del mese, il Giappone aveva annunciato e messo in atto l’esportazione di alcune cacciatorpediniere di classe Abukuma verso le Filippine, sei per la precisione. A darne notizia era stato il 6 luglio scorso, il quotidiano nipponico Yomiuri, in quella che definiva un’operazione volta a «migliorare l’interoperabilità con le forze armate filippine e a rafforzare congiuntamente la deterrenza e la capacità di risposta contro la Cina, che sta avanzando unilateralmente nell’Oceano Indiano». L’accordo tra i ministri della Difesa Gen Nakatani (Giappone) e Gilberto Teodoro (Filippine) prevede l’ispezione estiva delle unità classe Abukuma, cacciatorpediniere leggeri con equipaggi da 120 uomini. Si tratta di navi costruite intorno ai primi anni Novanta; ma, seppur datate, sono ancora equipaggiate con sistemi antisommergibile e antinave, ideali per il pattugliamento e il contrasto a minacce ibride.
Per Manila, che non dispone che di fregate leggere, corvette e un esiguo numero di pattugliatori, questo accordo significa una promozione sul campo nella deterrenza anticinese. Per comprenderne l’impatto, è necessario analizzare le capacità militari e mercantili delle potenze coinvolte all’interno di un panorama più ampio. Filippine e Giappone sono solo le due entità regionali; ma a livello macroscopico la partita si gioca tra i due colossi che si affacciano sul pacifico: Stati Uniti e Cina. Tutti questi pezzi della scacchiera condividono lo spazio marittimo indo-pacifico, ciascuno con il proprio modello geopolitico e industriale e ciascuno con il proprio grado di autonomia o di sudditanza.
La minaccia è la Cina, che negli anni ha costruito la più grande marina militare del mondo, con 422 navi da combattimento, 60 sottomarini, tre portaerei operative (Liaoning, Shandong, Fujian, 41 cacciatorpediniere, 45 fregate; i 384.000 effettivi (inclusi 55.000 marines) sono la più imponente forza navale esistente. E, parallelamente al primato militare, Pechino detiene anche la supremazia mercantile: il 18,7% della capacità mondiale con 430 milioni di tonnellate Dwt, il tonnellaggio di portata lorda, e 8.314 navi, molte delle quali costruite localmente, grazie a una capacità cantieristica superiore di 232 volte rispetto a quella statunitense. Ma il punto debole della Cina è duplice al momento: la scarsa esperienza operativa in scenari reali e la vulnerabilità sottomarina.
Con 164 navi da guerra, tra cui 8 cacciatorpediniere Aegis, 24 sottomarini diesel-elettrici, e due portaelicotteri della classe Izumo convertibili per F-35B, il Giappone mantiene una flotta sofisticata e tecnologicamente all’avanguardia. Pur vincolato da limiti costituzionali, Tokyo ha ampliato notevolmente le sue capacità offensive e difensive negli ultimi anni. Sul fronte mercantile, il Giappone detiene la terza flotta mondiale (163,5 milioni di tonnellate Dwt), con giganti come Nyk Line, Mol e K Line, riuniti sotto Ocean Network Express. A differenza del modello cinese statalista, quello giapponese è privatizzato, ma sostenuto da un’industria cantieristica avanzata. La criticità nipponica risiede nei fattori sociopolitici del Paese: invecchiamento demografico e dipendenza dal supporto americano.
In parallelo, le Filippine stanno compiendo sforzi significativi per modernizzare la propria marina, oggi composta da 92 navi, tra cui fregate leggere, corvette e pattugliatori. Il programma Horizon 3 da 35 miliardi di dollari mira all’acquisto di nuove unità, inclusi sistemi missilistici e navi d’assalto anfibio. Tuttavia, il Paese non possiede né sottomarini né portaerei, ed è fortemente dipendente da donazioni e trasferimenti tecnologici esterni. L’unico reale punto di forza dell’arcipelago è la sia strategica, a cavaliere tra gli Oceani Indiano e Pacifico, visto che a livello mercantile, operano 2.203 navi con capacità di tonnellaggio limitata a 3,5 milioni di tonnellate, ossia lo 0,034% del totale mondiale.
Sopra tutto questo, si ergono gli Stati Uniti, che mantengono 419 navi da guerra, 11 portaerei nucleari, e 74 sottomarini, tutti a propulsione nucleare, oltre 96 unità Aegis tra cacciatorpediniere e incrociatori, e una superiorità aeronavale attualmente ineguagliata. Ma sul piano mercantile la situazione è molto diversa. Solo 185 navi registrate e una quota di appena il 2,6% della capacità globale. La flotta mercantile è principalmente a servizio della logistica militare, sotto l’egida del Military sealift command e per questo è stato introdotto il . Il programma Ships for America act, che punta ad aggiungere 250 navi entro il 2035.
Nello sterminato orizzonte marittimo a contare, certo, sono i numeri: di quante navi si dispone e quanto forti. Ma, come tutte le potenze navali ben sanno, la vera partita si gioca sull’accesso alle rotte, dal quale derivano la capacità di proiezione, la flessibilità strategica e la costruzione di alleanze credibili. Ecco perché l’esportazione dei cacciatorpediniere Abukuma nelle Filippine. Il Giappone, pur non abbandonando la sua postura difensiva, è sempre più coinvolto in dinamiche di sicurezza attiva e Manila svolge un ruolo geografico fondamentale in questo gioco.