Il giovane ha sviluppato una miocardite in seguito al richiamo. Eppure, neanche i pareri di due cardiologi bastano a esimerlo dal booster. Il medico dell’hub: «Se ti dispenso e prendi il Covid vengono a prendere me».
Il giovane ha sviluppato una miocardite in seguito al richiamo. Eppure, neanche i pareri di due cardiologi bastano a esimerlo dal booster. Il medico dell’hub: «Se ti dispenso e prendi il Covid vengono a prendere me».Clicca sulla foto per ascoltare l'audio registrato da Gabriel all'hub vaccinale di Ospitaletto.Il mostro burocratico creato da questo governo - non da oggi - è in grado di spaventare più del Covid. Tale terrore produce un sostrato viscido di vigliaccherie, omissioni e bugie che va a oliare un meccanismo terrificante in cui alcuni italiani (e non sono pochissimi) rimangono inevitabilmente stritolati. È il caso di Gabriel, 23 anni, di Ospitaletto in provincia di Brescia. La seconda dose di vaccino gli ha provocato una «perimiocardite di possibile origine autoimmune» che dallo scorso agosto gli causa problemi, ma malgrado l’evidenza e i pareri di ben due cardiologi, non riesce a trovare qualcuno che si prenda la responsabilità di firmargli un’esenzione.Marco, il padre di Gabriel, ci racconta che già al momento della prima iniezione il ragazzo aveva avvertito malessere, ma alla fine dell’estate si è comunque presentato all’hub per «fare il suo dovere». Dopo la seconda puntura, il dramma. Gabriel ha iniziato a star male, è stato ricoverato e gli è stata diagnosticata la patologia cardiaca. «È stato molto male fino a dicembre», racconta Marco, esausto, «e ancora oggi assume farmaci, ha dolori e fitte». Gabriel lavorava, gli avrebbero dovuto rinnovare il contratto a termine per farlo diventare indeterminato, ma ha perso il posto. E oggi, a mesi di distanza, si ritrova espulso dalla società come il più reietto dei no vax perché non possiede il green pass. A sentire la storia come la raccontano i suoi genitori e come lui stesso l’ha raccontata martedì a Fuori dal coro, c’è da dubitare che sia vera tanto è allucinante. Il 5 febbraio scorso, Gabriel si è presentato all’hub di Ospitaletto e ha appoggiato sul tavolo del medico vaccinatore tutta la documentazione sanitaria che lo riguarda. Tra le varie scartoffie c’era anche quella contenente il parere di un cardiologo che lo aveva visito appena due settimane prima e aveva scritto convinto: «In considerazione della miocardite occorsa dopo il secondo inoculo del vaccino anti Covid-19 sarei propenso alla astensione da ulteriori richiami». Una opinione condivisa pure da un secondo specialista che ha visitato il giovane proprio in questi giorni. La miocardite è riconosciuta come possibile effetto avverso del vaccino (nel caso di Gabriel all’Aifa è stata inviata pronta segnalazione), e in presenza di un parere firmato da un medico di un grande ospedale l’esenzione dovrebbe scattare quasi automaticamente. E invece no: il medico vaccinatore dell’hub bresciano si è rifiutato di inserire Gabriel tra coloro che non devono fare la terza dose perché rischiano. Come sia potuto accadere lo rivela una registrazione che il ragazzo ha effettuato mentre si trovava al centro vaccinale e che abbiamo potuto ascoltare. Si sente distintamente la voce di una dottoressa - per altro gentile e anche piuttosto imbarazzata - che tenta di spiegare i motivi del gran rifiuto. «Quello che ci è stato riferito», dice la donna, «è di vaccinare le persone che hanno avuto la pericardite. Si può valutare di cambiare tipo di farmaco…». Gabriel invita la dottoressa a mettersi nei suoi panni: «Lei nelle mie condizioni rifarebbe il vaccino?». Ma la risposta è la stessa. «Io le sto dicendo le indicazioni che abbiamo», continua il medico. «Obiettivamente, in base alle indicazioni, lei è vaccinabile con un cambio di farmaco perché il rapporto rischi/ benefici resta comunque sbilanciato verso il rischio della malattia». Più la registrazione prosegue più vengono i brividi. A un certo punto, la dottoressa mostra di essere a sua volta prigioniera di un meccanismo perverso. «Io lo so che è ridicolo», dice un po’ titubante, «ma provi anche lei a mettersi nei miei panni. Io le faccio l’esenzione, poi le viene il Covid, la intubano e poi vengono a prendere me perché lo ho fatto l’esenzione anche se in base alle indicazioni non potrei». Qui ci sono due elementi su cui soffermarsi. Il primo riguarda le «indicazioni» citate dalla dottoressa. Come spiega Sara Soresi, avvocato di Gabriel, il medico vaccinatore si stava riferendo a una circolare ministeriale del 4 agosto 2021 in cui si legge: «Dopo la vaccinazione con i vaccini Covid-19 a mRna sono stati osservati casi molto rari di miocardite e pericardite. La decisione di somministrare la seconda dose di vaccino Pfizer o Moderna in persone che hanno sviluppato una miocardite/pericardite dopo la prima dose deve tenere conto delle condizioni cliniche dell’individuo e deve essere presa dopo consulenza cardiologica e un’attenta valutazione del rischio/beneficio. In tale situazione, laddove sia stato valutato di non procedere con la seconda dose di vaccino Covid-19 a mRna, va considerato l’utilizzo di un vaccino di tipo diverso per completare l’immunizzazione». Già è ridicolo che si citi una circolare sulla seconda dose nel caso di un ragazzo che deve fare la terza. Ma la leggerezza con cui il ministero invita chi ha avuto una reazione avversa a cambiare vaccino è sconvolgente. Il secondo elemento rilevante sta nelle parole del medico che, in sostanza, dichiara: se non ti vaccino e poi stai male finisco nei guai io. Chiaro: può darsi che la dottoressa di Ospitaletto sia stata eccessivamente timorosa. Ma il problema esiste eccome: non è la prima volta che un medico viene indagato per aver firmato un’esenzione. Proprio in questa pagina raccontiamo quanto sta avvenendo a Perugia, dove la Procura ha disposto indagini sul caso di Franco Trinca, il biologo scettico sui vaccini che di recente è morto per Covid. Gli inquirenti vogliono appurare se «le situazioni che avevano giustificato l’esenzione fossero effettive» e hanno aperto un fascicolo per omicidio colposo. Capite che, se il clima è questo, un medico ci pensa mille volte prima di evitare a qualcuno la puntura . Il risultato è che il nostro Gabriel viene condannato a soffrire per la pericardite e pure per l’esclusione sociale dovuta al mancato possesso del green pass. In un mondo decente, egli verrebbe prima di tutto risarcito con tante scuse e subito dopo esentato. Ma non accade, perché il mostro burocratico è all’opera. Se il medico vaccina il ragazzo nonostante la miocardite, non rischia nulla anche se il paziente sta male. Se invece gli firma l’esenzione, pure se motivata, può finire indagato. E se Gabriel sceglie di farsi la terza dose e poi sta male? Semplice: lo Stato lo abbandona.
Il signor Yehia Elgaml, padre di Ramy (Ansa)
A un anno dal tragico incidente, il genitore chiede che non venga dato l’Ambrogino d’oro al Nucleo operativo radiomobile impegnato nell’inseguimento del ragazzo. Silvia Sardone: «Basta con i processi mediatici nei loro confronti, hanno agito bene».
È passato ormai un anno da quando Ramy Elgaml ha trovato la morte mentre scappava, su uno scooter guidato dal suo amico Fares Bouzidi (poi condannato a due anni e otto mesi di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale), inseguito dai carabinieri. La storia è nota: la notte del 24 novembre scorso, in zona corso Como, i due ragazzi non si fermano all’«alt» delle forze dell’ordine che avevano preparato un posto di blocco per verificare l’uso di alcolici nella zona della movida milanese. Ne nasce così un inseguimento di otto chilometri che terminerà solamente in via Ripamonti con lo schianto dello scooter, la morte del ragazzo e i carabinieri che finiscono nei guai, prima con l’accusa di omicidio stradale in concorso e poi con quelle di falso e depistaggio. Un anno di polemiche e di lotte giudiziarie, con la richiesta di sempre nuove perizie che sembrano pensate più per «incastrare» le forze dell’ordine che per scoprire la verità di quel 24 novembre.
I governi ricordino che il benessere è collegato all’aumento dell’energia utilizzata.
Quattro dritte ai politici per una sana politica energetica.
1 Più energia usiamo, maggiore è il nostro benessere.
Questo è cruciale comprenderlo. Qualunque cosa noi facciamo, senza eccezioni, usiamo energia. Coltivare vegetali, allevare animali, trasportare, conservare e preparare il cibo, curare la nostra salute, costruire le dimore dove abitiamo, riscaldarle d’inverno e rinfrescarle d’estate, spostarci da un posto all’altro, studiare fisica o violino, tutto richiede l’uso di energia. Se il nostro benessere consiste nella disponibilità di nutrirci, stare in salute, vivere in ambienti climatizzati, poterci spostare, realizzare le nostre inclinazioni, allora il nostro benessere dipende dalla disponibilità di energia abbondante e a buon mercato.
Stéphane Séjourné (Getty)
La Commissione vuole vincolare i fondi di Pechino all’uso di fornitori e lavoratori europei: «È la stessa agenda di Donald Trump». Obiettivo: evitare che il Dragone investa nascondendo il suo know how, come accade in Spagna.
Mai più un caso Saragozza. Sembra che quanto successo nella città spagnola, capoluogo dell’Aragona, rappresenti una sorta di spartiacque nella strategia masochistica europea verso la Cina. Il suicidio chiamato Green deal che sta sottomettendo Bruxelles a Pechino sia nella filiera di prodotto sia nella catena delle conoscenze tecnologiche si è concretizzato a pieno con il progetto per la realizzazione della nuova fabbrica di batterie per auto elettriche, che Stellantis in collaborazione con la cinese Catl costruirà in Spagna.
La Cop30 di Belém, Brasile (Ansa)
Il vertice ospitato da Luiz Inácio Lula da Silva nel caldo soffocante di Belém si chiude con impegni generici. Respinti i tentativi del commissario Wopke Hoekstra di forzare la mano per imporre più vincoli.
Dopo due settimane di acquazzoni, impianti di aria condizionata assenti e infuocati dibattiti sull’uso della cravatta, ha chiuso i battenti sabato scorso il caravanserraglio della Cop30. Il presidente del Brasile Luiz Inácio da Silva detto Lula ha voluto che l’adunata di 50.000 convenuti si tenesse nella poco ridente località di Belém, alle porte della foresta amazzonica, a un passo dall’Equatore. Si tratta di una città con 18.000 posti letto alberghieri mal contati, dove le piogge torrenziali sono la norma e dove il caldo umido è soffocante. Doveva essere un messaggio ai delegati: il mondo si scalda, provate l’esperienza. Insomma, le premesse non erano buone. E infatti la montagnola ha partorito uno squittìo, più che un topolino.






