2022-09-03
Sulla campagna elettorale piomba
anche il dossier della rete unica
Arnaud de Puyfontaine (Getty images)
Fra due settimane la lettera non vincolante. Cifra di circa 13 miliardi inferiore ai desideri dell’azionista francese di Tim.Le elezioni non sembrano rallentare la partita della rete unica. Tra il 14 e il 16 di settembre Open Fiber, società controllata dopo l’uscita di Enel da Cdp Equity e dal fondo australiano Macquarie, riunirà il proprio consiglio di amministrazione per partorire l’offerta non vincolante destinata a Tim. L’obiettivo è acquisire l’infrastruttura dell’ex monopolista e dare il via alla rete unica. Non è certo questa una novità. È infatti stato sottoscritto un accordo lo scorso giugno che prevede una serie di step oltre a una serie di attività congiunte fino al 31 dicembre. Gli step prevedono che l’offerta non vincolante sia presentata a settembre. Non però a metà, bensì al massimo entro fine mese. Mentre quella poi definitiva (o vincolante) sarà da valutare entro fine ottobre. La notizia sta dunque nel fatto che il cda e quindi la stessa Cassa depositi e prestiti, guidata da Dario Scannapieco, abbiano scelto di non attendere l’esito delle elezioni per muoversi. Ben inteso. Non c’è alcun obbligo. La partita è del tutto finanziaria e niente impone un stop politico, ma sarebbe ipocrita non mettere sul tavolo il possibile cambio di scena. Dopo il 25 settembre gli azionisti politici dell’effettivo azionista di Open Fiber potrebbero cambiare improvvisamente. Immaginando una vittoria del centrodestra. Non solo. A quanto risulta alla Verità, il cda di metà settembre sta preparando un’offerta con una forchetta compresa tra i 16 e i 18 miliardi di euro, tutto compreso. Sia debiti che attivi. E con una serie di specifiche rispetto alla posa della fibra e lo stato dell’arte dell’attuale infrastruttura. Una tale proposta è ben lontana da quanto l’azionista di maggioranza relativa di Tim, i francesi di Vivendi, ha fatto sapere di attendersi. A fine giugno, il numero uno di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine , avrebbe fatto trapelare di attendersi una proposta da almeno 31 miliardi. Ci sarebbero dunque ben 13 miliardi di differenza. A quel punto è chiaro che nonostante le informazioni fatte trapelare potrebbe partire una trattativa. L’offerta di Open Fiber verrebbe infatti vagliata dal cdm di Tim e magari ricalibrata al rialzo. Trovare un punto di caduta però non sarà facile. I francesi fino ad oggi hanno gestito vari cambi di manager senza riuscire a evitare un crollo del titolo da 1 euro agli attuali 20 centesimi. D’altro canto la valutazione che sarà fornita da Open Fiber si baserà su parametri numerici e a quel punto sarà certamente necessario trovare una sorta di paciere. Chi? Beh c’è Cdp che in questa partita siede a più tavoli. Sia da una parte che dall’altra. E poi ci sono pure le connessioni finanziarie. Non si può dimenticare che a maggio Tim, già con Pietro Labriola nel ruolo di amministratore delegato, ha incassato la preautorizzazione a un prestito da 3 miliardi di euro (Unicredit,Bnp Paribas, Credit Agricole e Santander) garantito da Sace fino a poco tempo fa controllata da Cdp e adesso direttamente dal Mef. I soldi servono proprio per portare avanti il piano industriale e investire sulle nuove reti. Per questo dalle parti di Via Goito dove c’è l’ufficio di Scannapieco, sono arrivate diverse missive. Alcune vorrebbero che si vada avanti così come preventivato. Altre, invece, che si sfrutti la settimana successiva al voto per riunire il cda di Open Fiber. Fino a oggi Fratelli d’Italia è il solo partito a essere intervenuto chiaramente sul tema. Il delegato di Giorgia Meloni per le tlc, Alessio Butti, anche su queste colonne si è espresso più volte per chiedere lo stop dell’operazione. Secondo Fdi non dovrebbe essere Open Fiber ad acquisire la rete Tim, ma esattamente il contrario, a fronte però di un’integrazione verticale. Certo, resta sempre il tema del debito e della sostenibilità. Così come d’altro canto resta anche il tema francese. Sarebbe importante evitare in qualunque modo che dopo sette anni di presenza di Vivendi in Italia, il gruppo di Vincent Bolloré riesca a incassare più di quanto spetti. Tradotto, guai a pensare che a fronte di una svalutazione degli asset in Borsa il finanziere bretone possa trovare un po’ di ristoro grazie alle casse pubbliche. Al momento Tim gode infatti anche di un’altra importantissima partecipazione pubblica, ovvero quella nel cosiddetto Psn, Polo strategico nazionale. Si tratta del cloud di Stato su cui il solo Pnrr ha riversato svariati miliardi di investimenti. La partita gestita in questo caso dal ministro Vittorio Colao, ha subito una serie di ritardi sulla base di un bando di gara con qualche punto cieco. Non a caso un mese fa la «perdente» Fastweb ha fatto ricorso al Tar, che non ha ravvisato gli estremi di una sospensiva. Ecco che una settimana fa è stato firmato il contratto, mentre per l’udienza bisognerà attendere ottobre. A quel punto vedremo che accadrà. Certo ci sarà un nuovo governo e un nuovo ministro al posto di Colao. Non vorremmo mai assistere a un nuovo cambio di rotta, perché l’Italia ha esigenza di nuove infrastrutture. E a al tempo stesso non vorremmo dover scoprire che lo schema Colao funzioni come uno scolapasta.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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