2023-08-06
«La Repubblica dei dossier» è già finita. La stampa in retromarcia sulla Spectre
Dopo le illazioni iniziali, i giornali correggono il tiro. Ma resta il cortocircuito politico.Peccato, il tuffo negli anni Settanta è durato meno di un aperitivo. Ieri, la sensazione di retromarcia imbarazzata rispetto agli scenari dipinti da molta stampa venerdì mattina era difficile da accogliere senza un sorriso. «La Repubblica dei dossieraggi» (così Il Giornale) e «La fabbrica dei ricatti» (La Repubblica) non hanno dato ciò che promettevano due giorni fa, e lo scandalo della presunta centrale nazionale di sputtanamento collettivo è stato derubricato con una rapidità sospetta. Peccato, perché nel calderone fumante ribollivano trame grigie, burattinai misteriosi, assalti alla tenuta democratica, militari deviati, e tutti (Matteo Renzi, Rocco Casalino, Francesco Totti, Matteo Salvini, ministri, vip e chi più ne ha più ne metta) erano potenziali vittime retroattive del militare indagato per presunte spiate sul ministro Guido Crosetto. Il quale militare veniva descritto come un formidabile smanettone scatenato avvolto in una nuova di fumo, alle dipendenze di chissà chi. Ieri, fischiettando allegramente, siamo passati dalla «lista lunghissima di politici e vip spiati» e dagli «oltre cento nomi illustri (Corriere della Sera del 3 agosto) collegati all’inchiesta di Perugia a una prosa ben più compassata: «Rispetto agli accessi sui nomi più famosi circolati in questi giorni (fatti circolare dallo stesso Corriere, ndr) ci sono stati finora riscontri negativi; dall’ex premier Giuseppe Conte e la sua compagna Olivia Paladino, a Matteo Renzi e Matteo Salvini, Francesco Totti e altri ancora: non risulta che il militare assegnato alla Dna se ne sia interessato». Ah.Ma l’inversione più spettacolare si registra su Repubblica. In 24 ore si è slittati con apprezzabile disinvoltura dal dipingere trame oscure («Da Pecorelli al Sismi, la storia d’Italia avvelenata da spioni e ricatti», «Caccia ai mandanti») a un più rassicurante «La destra all’attacco sul caso dossier» e un occhiuto «Ecco perché il faro di Bankitalia è indispensabile per le indagini», dove si spiegava che qualcuno vorrebbe usare il caso Crosetto per smontare la Spazzacorrotti («parto» del governo gialloblu nel 2019). Tesi incidentalmente esplicitata in chiaro dall’esponente di Italia viva e membro del Copasir Enrico Borghi.L’impressione è che - soprattutto a sinistra - confondere un’indagine avente come oggetto i presunti accessi abusivi di un finanziere con l’inchiesta del secolo sulla Spectre abbia palesato evidenti contraddizioni, oltre che un certo attrito con la realtà. Primo: significava mandare al macero una capillare attività di sorveglianza che riguarda persone non sottoposte a indagini ma che serve, laddove lo preveda la legge, a fondare la nascita delle indagini stesse. Secondo: ha creato un cortocircuito politico, viste le porte girevoli tra la Dna e la sinistra (gli ultimi tre capi della Direzione antimafia, come noto, si sono candidati con Pd - due - e M5s). Appena venerdì, infatti, si assisteva alla curiosa epifania di una Repubblica inopinatamente contigua alle ragioni di un ministro di destra, Crosetto stesso, che si descriveva al centro di attività sospette. L’esponente di Fdi, infatti, da campione di garantismo sbandierato, scriveva di suo pugno di essere «oggetto di un’attività illegale», come se non spettasse a un eventuale processo stabilirlo. È un po’ lo stesso intoppo ideologico per cui Nicola Porro accusava questa testata di essere garantista solo per una volta con l’indagato Pasquale Striano, non intuendo che la «mozione Sifar» del grande complotto finisce per attribuire al militare una colpevolezza da provare, estendendola a capi d’imputazione che la Procura retta da Raffaele Cantone non gli ha mai contestato. Insomma, per qualche ora almeno si è sperimentato il possibile boomerang del Leviatano fiscale e della possibilità tecnologiche che, unite al potere della legge, possono rivelare verità sgradevoli per i «controllati». E ciò che non desta particolare indignazione per migliaia di cittadini comuni, nel caso di un ministro ha generato differenti reazioni. Poi è tornata la normalità: Repubblica ha ripreso a bastonare contro la destra che non vuole controlli anti riciclaggio (quando le notizie riguardano i bersagli giusti hanno sempre fatto comodo, eccome), il Corriere ha scalato un paio di marce sull’argomento e nessuno, al governo e in maggioranza, è corso a puntellare la tesi della tenuta democratica del Paese minacciata dalla «fabbrica di dossieraggi».A chi fosse interessato a capire su cosa stesse indagando l’uomo della Dna, e perché a un certo punto gli sia finito sotto il naso il nome di Crosetto, non resta che leggere il giornale che avete tra le mani.