2023-08-21
Renzo Ulivieri: «Sulle dimissioni di Mancini non si è detta tutta la verità»
Il capo dell’Associazione allenatori promuove il nuovo Ct della Nazionale, Spalletti: «E il Napoli resta favorito per ciò che lui ha seminato. I soldi arabi falsano il mercato».Non aveva dubbi che la decisione sarebbe ricaduta su Luciano Spalletti, Renzo Ulivieri, ma avverte subito che se gli chiediamo valutazioni sul nuovo Ct della Nazionale sarà «esagerato». E lo dice con un sorriso soddisfatto perché lo lega a lui «troppa amicizia da sempre»: «Da casa mia vedo quasi casa sua, non posso che parlarne bene, no?». All’attivo Ulivieri ha la carriera di calciatore e quella di allenatore che lo ha reso celebre. Si è pure impegnato in politica. Oggi presiede l’Associazione italiana allenatori calcio da ben quattro mandati. Ottantadue anni, risponde al telefono dalla sua San Miniato.Cosa si dice nell’ambiente calcio? Quali sono i veri motivi dell’addio di Roberto Mancini?«Mi sembra una faccenda molto vaga e poco chiara, se devo essere sincero».L’ex mister azzurro ha parlato di rinnovi dello staff non richiesti, ma sembra che la mancata eliminazione della clausola sulle qualificazioni all’Europeo sia stata decisiva.«Non sono convinto sia stato detto tutto. È vero che lo staff è un elemento importantissimo per l’allenatore, ma ho l’impressione che nei prossimi mesi, o chissà anni, salterà fuori il retroscena decisivo».E se avesse già firmato con l’Arabia Saudita? Si dice potrebbe diventare il secondo allenatore più pagato al mondo.«Fare ipotesi a caso non mi garba, non le dirò qual è la mia idea. Ribadisco: stiamo a vedere».La hanno mai corteggiata da Oriente?«Mi è capitato di avere a che fare con Turchia e Russia, ma ai tempi miei andare ad allenare all’estero voleva dire “uscire dal giro”, pure se si trattava di una squadra importante come capitò a me. Era pericoloso per la carriera, andare oltre confine, si rischiava di compromettersi. Non c’era la circolazione di mercato di oggi».Si è cambiato in meglio?«Al contrario: avere i Paesi arabi che si comprano tutto è un problema non solo per noi, ma anche per Uefa e Fifa. Perché diventa un mercato falsato, c’è poco da aggiungere. Si sa che non ho particolare simpatia per il libero mercato, questo è da premettere. Ma mi sembra logico che chi mette al primo posto il denaro ha altri obiettivi: il calcio è un mezzo per apparire, apparire nel mondo». Se la squadra gioca bene, d’altra parte, pure l’Italia ne fa un merito.«Siamo però la dimostrazione eccezionale che per vincere abbiamo bisogno di buoni calciatori italiani, che facciano esperienza e che si ritrovino al momento giusto al massimo rendimento della carriera. Così è accaduto con i nostri quattro titoli mondiali».Dopo l’addio di Mancini la Nazionale è al centro delle polemiche. Con De Laurentiis che non arretra sulla penale con il Napoli, l’ex senatore Quagliariello ha detto che la Federcalcio si comporta come fossimo in Unione sovietica…«Lasci dire, lasci dire. La verità è che ci fanno comodo anche le polemiche, menomale che ci sono. Perché uniscono. Noi italiani siamo così: un popolo che nelle difficoltà si compatta meglio di quando la strada è in discesa. Lo dice la nostra storia, non solo sportiva. E poi guardi che il calcio è una cosa seria».Lo ribadisce perché sta parlando con una femmina?(Ride) «Ma no, lo dico perché lo è davvero».Nei giorni scorsi se l’è presa con lei l’allenatrice Carolina Morace, dice di non essere stata chiamata a causa sua per la successione a Milena Bertolini, lei ha diramato una nota…«Non è il momento di polemiche da ombrellone o personalismi. Il calcio femminile in Italia sta attraversando un momento di crisi, ma vedo pure tanto entusiasmo e resto fiducioso».Anche lei ha allenato le donne, qualche anno fa.«Ho avuto il vantaggio di essere entrato in quel mondo già da anziano. Mi dissero: devi saperti adeguare».Lo ha fatto?«Al contrario. Sono arrivato e ho detto invece alla squadra che si sarebbe adattata a me. Le cose poi sono andate bene. Perché il calcio è calcio, non c’entra il genere di chi lo gioca. Non ci sono altre logiche se non scegliere la miglior formazione per la partita della domenica. Ma sul calcio come atto politico mi lasci dire un’altra cosa».Per lei la politica è una passione vera, è un combattente.«Non saprei che dirle, “combattente” mi sembra una parola grossa, non esageri».Qualche anno fa si incatenò persino al cancello della Figc per difendere il patentino allenatori…«Lì mi trovai solo, completamente solo, e agii per amore di questo sport. Ero disperato, più ancora che incazzato. Ecco, volevo dirle proprio che a me garba la giustizia soprattutto. Non sarò soddisfatto finché ogni squadra di bambini non avrà un allenatore diplomato. Perché ogni ragazzino ha il diritto di avere qualcuno di qualificato accanto a lui. La funzione educativa dell’allenatore è fondamentale. Sono arrivato a pensare che c’entri anche con l’astensionismo di questo Paese, sa?».Alle urne, intende?«Sì, si sta smarrendo il senso della partecipazione. Si vive isolati. Per come lo intendo io, l’allenamento di calcio è il miglior antidoto e insegna, alla Giorgio Gaber, che libertà è partecipazione. Che sia a destra o a sinistra, non mi importa, a me quel che preoccupa è la sfiducia».Lei era iscritto al Partito comunista. Ora?«Fino a 3 mesi fa ero con Potere al popolo, tesserato»Non più?«Sto riflettendo». Sedotto da Meloni? O da Elly Schlein?(Ride ancora di gusto) «No, no, non esageriamo. Sto cominciando però a pensare che attività e posizioni di sinistra devono poter incidere, servire per davvero, per aiutare i deboli. E pure i lavoratori, con gli stipendi che ci sono al giorno d’oggi. Mi viene il dubbio che sia da cambiare strategia, perché si rischia di smarrire il senso della realtà».Possibile che, come sostiene qualcuno, la premier si stia intestando alcune battaglie di sinistra?«Eh, guardi, questo tema in effetti c’è. Come andrà a finire sarà tutto da verificare. Resta il fatto che che noi pensavamo di essere quelli con il sol dell’avvenire in tasca e un mondo migliore per tutti, e invece…».Disilluso?«No, mai. Ma mi spiace per come stanno andando le cose».Intanto è finito il digiuno, e la serie A è ripartita. Le favorite secondo Ulivieri? Riuscirà il Napoli a fare di nuovo l’impresa?«Niente pronostici perché è presto. Al Napoli non può che andar meglio. Spalletti ha fatto un lavoro straordinario, chi è arrivato non potrà che aggiungere. Non penso cambierà una squadra che ha stravinto».Altri club che si guarderà con interesse?«I soliti, c’è poco da fare. Le squadre milanesi e quelle romane».Nessuna sorpresa?«Forse l’Atalanta, in vista della Coppa Campioni».E il Monza?«Raffaele Palladino mi piace. Deve ancora dare l’esame, è stato nostro allievo quest’anno. È molto bravo».Non è la serie A di una volta. Ci sono i fondi esteri…«Qualche cambiamento lo porteranno e lo hanno portato. Auspico però che al di là degli algoritmi e di tutte le strategie della finanza, non verrà intaccato il cuore del calcio».Ovvero?«Probabilmente sono un sognatore, ma non riusciranno a farlo diventare disumano. Al fischio d’inizio, in campo è umanità piena. Pensi solo al colpo di testa: il calciatore che deve andare a cercare un punto preciso nello spazio dove ci sarà il pallone… altro che intelligenza artificiale, nessuno può toccare questa sorta di magia. C’è tutto, in una partita: la mente, il ragionamento, l’intreccio dei sentimenti».L’allenatore conta ancora molto?«Il nostro mestiere è custodire questa umanità. Si dice che i calciatori oggi funzionano come delle aziende, e che è più difficile di un tempo, ma non ci credo fino in fondo. Perché si può sempre fare un lavoro sull’uomo. Venticinque persone, una diversa dall’altra, con cui avere a che fare tutti i giorni: è lo specchio dell’umanità, che è costituita dalla relazione».È riuscito a convincere sempre tutti?«Devo dirle che non ricordo rapporti difficili, in carriera. Come dico sempre, è fondamentale che l’allenatore resti sempre una persona per bene, e che non tradisca mai i suoi giocatori. Non tradire, significa anche dire cose spiacevoli. Ovvio: chi resta in panchina augura agli altri un’influenza, e quelli in tribuna pure peggio, ma il bello è anche che la settimana dopo si ricomincia da capo».Ci sarà chi gliene ha dette di tutti i colori, in faccia oppure alle spalle…«Una volta dissi a un ragazzo: studia, e non giocare a calcio. Ma lo pregai: “Studia per davvero”. La famiglia mi odiava, erano così concentrati su questo suo avvenire… Quando è diventato medico mi ha chiamato, ringraziandomi: “Ha fatto la mia fortuna”».Una ricetta per mantenere il calcio in salute e appetibile secondo Ulivieri?«Ci manca il calcio di strada. Quello che si giocava nei campetti di periferia e nei cortili. Andrebbe riprodotto negli allenamenti anche delle grandi. È esaltazione della fantasia».Costruire nuovi stadi è importante?«Ovvio che valgono pure quelli, sì. Ma intanto inviterei tutte le amministrazioni comunali a fare grandi opere per la società senza spendere troppo, recuperando le aree degradate perché i ragazzi possano andarci a giocare».
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.