2019-10-07
Tra Renzi e Conte è guerra di spie
Il premier si rifiuta ancora di spiegare che cosa è successo il 15 agosto, quando in piena crisi incontrò gli emissari di Donald Trump, e che cosa ha garantito loro. Intanto dà il via libera agli F35, proteste del M5s.Che il vero Russiagate sia quello che vede coinvolto Giuseppe Conte e non quello in cui si vorrebbe coinvolgere Matteo Salvini lo dimostrano almeno due fatti. Da tre anni a questa parte, con Russiagate si intende una campagna con cui i democratici americani hanno cercato di abbattere un presidente regolarmente eletto. Giornali e sinistra a stelle e strisce hanno provato in ogni modo a dimostrare presunte influenze russe a favore di Donald Trump nella corsa elettorale contro Hillary Clinton e le accuse, rimbalzate sulla stampa e sulle tv Usa, hanno prodotto anche un'indagine. L'inchiesta, che avrebbe dovuto risolversi con l'impeachment del presidente e la sua conseguente cacciata dalla Casa Bianca, si è però rivelata un boomerang. Fin qui i fatti noti. Meno nota è la controffensiva di Trump il quale, dopo che il procuratore speciale Robert Müller è stato costretto a mollare l'osso e a dichiarare che sul conto del presidente americano non è stata trovata alcuna prova di presunte relazioni con i russi, è partito all'attacco. In vista della campagna per la rielezione, Trump ha infatti sguinzagliato i suoi uomini al fine di dimostrare che quello contro di lui è stato un complotto dei democratici, cioè della Clinton e di Barack Obama. E qui veniamo all'aspetto che più interessa noi e il nostro presidente del Consiglio. Perché il 15 agosto, nel pieno della crisi di governo, gli emissari di Trump hanno fatto tappa a Roma, per bussare alla porta di Giuseppe Conte. Fino a ieri pochi si erano occupati della vicenda, preferendo scrivere d'altro, ossia di Salvini e poco di più, ma in realtà il Russiagate presenta aspetti inquietanti che coinvolgono anche i nostri servizi segreti. Ieri Repubblica ha raccontato che lo stesso premier avrebbe autorizzato un incontro nell'ambasciata americana tra l'Attorney general William Barr e Gennaro Vecchione, ossia il capo degli 007, molto vicino a Conte che, come è noto, si è tenuto la delega sui servizi. È in quella sede che l'uomo mandato da Washington chiede al capo degli 007, la cui delega è nelle mani di un premier sull'orlo delle dimissioni, di aiutarlo a trovare le prove del complotto ordito contro Trump, rintracciando il professor Joseph Mifsud, docente della Link, l'università privata romana frequentata da spioni e 5 stelle e, secondo gli americani, a conoscenza di molti segreti del cosiddetto Russiagate. In quella sede, cioè nell'ambasciata Usa, i servizi italiani si mettono a disposizione di quelli americani. All'incontro con Barr e i suoi segue un secondo appuntamento, questa volta con tutti i vertici degli 007 italiani. Certo, gli americani sono nostri alleati, ma un presidente del Consiglio che srotola il tappeto rosso agli emissari di un presidente americano in campagna elettorale, infilando il Paese in un intrigo dai risvolti inimmaginabili non si era mai visto. Perché lo fa? Perché il premier si mette a completa disposizione di Barr e di Trump? Forse perché spera che l'America gli dia una mano a resistere all'offensiva di Salvini? È l'ipotesi più probabile, in quanto pochi giorni dopo Conte incontra a Biarritz il presidente Usa e, come riferiscono le cronache, si intrattiene a lungo con lui. Ancora un paio di giorni e Trump twitta un endorsement a favore di Conte, schierandosi apertamente al suo fianco con un'inusuale apertura. Perché? Che cosa ha ottenuto Trump in cambio di quella dichiarazione a favore di una conferma del presidente del Consiglio italiano? (L'esistenza di uno scambio in atto potrebbe essere confermata anche dal sì di Conte agli F35, che ieri ha sollevato le proteste dei Cinque stelle).Che l'affare abbia risvolti da chiarire lo dimostra però non solo l'incontro all'ambasciata americana rivelato da Repubblica, ma anche un altro fatto. Ieri, prima su La Stampa e poi in tv da Lucia Annunziata, è tornato a parlare Matteo Renzi (ormai non passa giorno che il leader di un partitino del 4% appaia sulle pagine di qualche giornale o in tv). Oltre a giurare che non farà fare a Conte la fine di Letta, l'ex segretario del Pd si è occupato anche del Russiagate. Da un lato per smentire di aver avuto qualche ruolo come invece avrebbe avuto secondo George Papadopoulos, collaboratore di Trump. E dall'altro per chiedere che il presidente del Consiglio rinunci alla delega sui servizi segreti, affidandola a un'autorità indipendente. Che Renzi voglia riprendere il controllo degli 007 pur essendo una minoranza nella maggioranza che sostiene il governo, ci spinge a pensare dunque che il Russiagate ci darà presto altre sorprese, perché intorno a questa oscura vicenda di spie e di interessi privati si combatte una battaglia di potere dagli esiti incerti, che da un lato ha avuto effetti imprevisti sin dall'inizio, contribuendo alla nascita del governo, ma dall'altro potrebbe averne altri incerti, perfino sulla durata del governo.Per ora si rincorrono le voci di una sostituzione dei capi dei servizi segreti, che pagherebbero con la poltrona quella collaborazione con gli americani voluta dal premier. Ma tra tante voci, tutte da verificare, a mancare è proprio quella del presidente del Consiglio. Il quale, giunti a questo punto, ha il dovere di spiegarci: che cosa è successo il 15 agosto e che cosa ha garantito agli Usa? Ma soprattutto, a quale prezzo?
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)
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