2020-08-06
Razzista è l’idea di accogliere tutti per espiare le «colpe» dell’Occidente
Porte aperte ai migranti come risarcimento per la schiavitù? Furono i colonizzatori a mettere fine a quella barbarie africana. Condonare ai neri ciò che non perdoniamo a noi bianchi: questo sì che è suprematismo.All'origine della maniacale infatuazione di pressoché tutta la sinistra, italiana ed anche europea, per l'indiscriminata accoglienza dei «migranti» provenienti dall'Africa e da alcune regioni dell'Asia non è difficile riconoscere il diffuso convincimento (talvolta apertamente confessato) che l'Italia e l'Europa intera debbano accettare passivamente di essere invase per una sorta di legge del contrappasso, vale a dire in espiazione delle colpe accumulate nei secoli passati a partire dalle Crociate per finire alla tratta degli schiavi ed alla colonizzazione. Si tratta di un convincimento che presuppone a sua volta un vero e proprio «complesso di colpa», come messo in luce, tra i numerosi altri, dallo scrittore franco-italiano Alexandre Del Valle nel suo volume recentemente tradotto in italiano con il titolo Il complesso occidentale. Piccolo trattato di decolpevolizzazione.A smontare questo complesso di colpa dovrebbe, in teoria, essere sufficiente ricordare (come fa il citato Del Valle), alcuni fatti di assoluta e incontestabile evidenza, noti a chiunque abbia un minimo di conoscenze storiche, e cioè: che le Crociate furono soltanto dei tardivi, episodici e complessivamente sfortunati tentativi di recuperare al mondo cristiano una piccola parte degli immensi territori (Siria, Palestina, Egitto e tutto il resto dell'Africa settentrionale) già cristiani ed appartenenti all'impero romano bizantino, i quali erano stati oggetto di brutale e ingiustificata conquista da parte dell'islam nel corso del settimo e dell'ottavo secolo d.C.; che l'islam, prima arabo e poi turco, tenne costantemente sotto assedio l'Europa, con ripetuti tentativi di assoggettarla completamente, per oltre dieci secoli, perdendo la sua aggressività solo dopo una serie di sconfitte iniziatasi con quella subita a Vienna nel 1683; che le coste dell'Africa settentrionale, fino ai primi decenni del XIX secolo, costituirono la base dalla quale partivano, con il beneplacito dei vari bey o sultani locali, le frequenti scorrerie piratesche a danno delle città costiere d'Europa, con l'obiettivo, soprattutto, di catturare il maggior numero possibile di persone da condurre poi come schiavi in Africa; che il mercato degli schiavi neri acquistati dai trafficanti europei sulle coste dell'Africa era alimentato dagli stessi africani, re e potentati vari, che mettevano in vendita quanti erano stati da loro resi schiavi per debiti oppure a seguito di guerre o razzie effettuate proprio a quello scopo (come ricordato, tra gli altri, proprio da uno studioso africano, di nome Abiola Félix Iroko, dell'Università del Benin, in una recente intervista ad una tv locale, riportata sulla rivista Il Timone); che la tratta degli schiavi nelle Americhe fu comunque vietata agli inizi del XIX secolo ad iniziativa spontanea ed esclusiva delle potenze europee (in primis Gran Bretagna e Francia), mentre la pratica della schiavitù continuò indisturbata, negli anni seguenti, con altri sbocchi, in tutta l'Africa, trovando la sua fine soltanto a seguito della pur tanto deprecata colonizzazione europea, alla quale, quindi, almeno questo merito dovrebbe essere riconosciuto. Tutti questi argomenti, però, non hanno, di solito, la benché minima efficacia a fronte della granitica, incrollabile presunzione (frutto di un indottrinamento che comincia dalle scuole di ogni ordine e grado per finire al cinema, alla tv e ad ogni altro mezzo di comunicazione) che gli europei e gli occidentali in genere debbano sentirsi colpevoli e bisognosi di perdono nei confronti degli altri popoli, a prescindere, pur dandolo per ammesso, da tutto quanto a questi ultimi possa essere addebitato. C'è da chiedersi, allora, quale possa essere il fondamento di una tale presunzione. L'unica risposta possibile, per quanto strano possa apparire a prima vista, è che si tratta di puro e semplice razzismo: lo stesso identico razzismo che, fino a molto meno di un secolo fa, giustificava, in nome della presunta superiorità dei bianchi occidentali sugli altri popoli della terra, lo stato di soggezione in cui questi ultimi erano tenuti, e che ora impone, sempre in nome della stessa presunta superiorità (stavolta, però, non proclamata ma artatamente e ipocritamente dissimulata), di considerare imperdonabili, se posti in essere dai bianchi occidentali, i medesimi comportamenti da ritenere invece perdonabili quando a commetterli siano altri popoli; e ciò proprio nell'implicito ma evidente presupposto che questi, a causa appunto della loro inferiorità, non potrebbero essere ritenuti responsabili delle loro azioni allo stesso livello dei bianchi occidentali, quasi si trattasse di bambini rispetto a persone adulte.Si è dunque in presenza di una flagrante e macroscopica contraddizione rispetto al principio fondamentale, da tutti oggi accettato (almeno a parole) della perfetta eguaglianza fra i popoli di tutte le razze, per cui nessuno di essi, a parità di comportamenti, presenti o passati, ritenuti riprovevoli, può esserne considerato responsabile in misura maggiore o minore rispetto ad un altro (ammesso e non concesso, poi, che possa farsi riferimento ad un concetto di per sé aberrante come è quello della responsabilità collettiva di un intero popolo, quali che siano i fatti che ad esso si vogliano addebitare) La conclusione è, quindi, molto semplice: gli assatanati dell'accoglienza indiscriminata, quando non siano immersi nella più totale e crassa ignoranza della storia, sono, forse senza rendersene conto, dei veri e propri razzisti, per cui, paradossalmente, adoperando solo un pizzico della stessa perversa fantasia creativa mostrata dagli organi giudiziari che hanno configurato a carico di Matteo Salvini il reato di sequestro di persona nei confronti dei «migranti», potrebbero essere chiamati a rispondere del reato di «propaganda di idee fondate sulla superiorità razziale», quale previsto dall'art. 604 bis del codice penale.