Negli ultimi dieci anni, i governi hanno lanciato diverse iniziative per cercare di limitare l'evasione fiscale globale. Parliamo della creazione di una nuova forma di cooperazione internazionale, ritenuta per molto tempo utopica, dello scambio automatico di informazioni bancarie entrato in vigore dal 2017 e applicato da più di 100 paesi nel 2023, e della global minimum tax, approvata da più di 140 paesi e territori nel 2021. Iniziative nobili che però molto spesso si sono mostrate lacunose, se non addirittura del tutto inutili.
Scambio automatico di informazioni
Lo scambio automatico di informazioni bancarie è riuscito ad abbattere parzialmente l’evasione fiscale. Secondo lo studio di Eu tax observatory, l'evasione fiscale offshore è diminuita di circa tre volte in meno di dieci anni. Prima del 2013, i nuclei familiari a livello globale detenevano nei paradisi finanziari l'equivalente del 10% del Pil mondiale, la maggior parte del quale non dichiarato alle autorità fiscali. Dall’entrata in vigore dello scambio automatico di informazioni la situazione è migliorata dato che secondo l’osservatorio ci sarebbe ancora il 10% del Pil mondiale sotto forma di asset finanziari offshore dei nuclei familiari, ma solo il 25% circa di questo reddito evade la tassazione.
Nonostante questi progressi, permane un certo livello di evasione fiscale offshore, non trascurabile, dovuto a due problemi principali. Il primo è che risulta essere ancora possibile detenere attività finanziarie che sfuggono agli obblighi dichiarativi. Molte istituzioni finanziarie offshore rispettano appieno i requisiti, ma altre non lo fanno, per paura di perdere i clienti e con la consapevolezza di non dover affrontare alcuna minaccia reale da parte delle autorità fiscali straniere. In secondo luogo, non tutte le attività sono coperte dallo scambio automatico di informazioni bancarie. Recenti ricerche hanno infatti messo in evidenza come alcuni individui, che erano soliti nascondere attività finanziarie in banche offshore, hanno spostato le loro attività finanziarie sul settore immobiliare.
Base erosion and profit shifting dell’Ocse
Nel 2015, l'Ocse ha lanciato il Base erosion and profit shifting (Beps) e nel 2017 gli Stati Uniti hanno introdotto misure per limitare il profit shifting da parte delle multinazionali Usa, riducendo al contempo la corporate tax dal 35% al 21%. A niente è servito. A 7 anni dall'inizio dell’iniziativa Beps e a 5 anni dall’entrata in vigore della legge statunitense, il profit shifting globale non è stato scalfito.
L’ammontare dei profitti che viene spostato nei paradisi fiscali è di circa 1.000 miliardi di dollari nel 2022. Si tratta dell'equivalente del 35% di tutti gli utili contabilizzati dalle multinazionali al di fuori del paese in cui hanno sede. Le multinazionali statunitensi sono responsabili di circa il 40% del profit shifting a livello globale e i paesi europei sono i più colpiti da questa evasione.
Global minimum tax
Nel 2021 all’Ocse, più di 140 Paesi e territori si sono accordati per applicare la global minimum tax, del 15%, sui profili delle multinazionali. Dal punto di vista puramente tecnico si tratta di una svolta epocale, dato che per la prima volta si è riusciti a raggiungere un accordo internazionale per stabilire un limite minimo di imposta per cercare di far pagare la giusta quantità di tasse alle multinazionali. Il problema è l’applicazione. Dall'accordo politico del 2021 ad oggi, l’aliquota minima globale è stata drasticamente indebolita dall’emergere di un numero crescente di scappatoie. Allo stato attuale, sottolinea l’osservatorio, la global minimum tax genererebbe solo una frazione del gettito fiscale che ci si potrebbe aspettare sulla base dei principi stabiliti nel 2021: meno del 5% del gettito dell'imposta globale sul reddito delle società, contro un 9% che si sarebbe potuto ottenere con un'aliquota del 15%, senza scappatoie, e oltre il 16% se si fosse decisa una global minimum tax al 20%.
Ancora più preoccupante è il fatto che l'imposta minima globale consenta e addirittura potrebbe persino rafforzare una corsa al ribasso delle imposte sulle società. Questo perché, spiega l’osservatorio Ue, le multinazionali riuscirebbero a mantenere le aliquote fiscali effettive al di sotto del 15% fintanto che continueranno ad avere un'attività nei paesi a bassa tassazione.
Il problema è che a livello internazionale non c’è la volontà di voler effettivamente sconfiggere l’evasione. I paesi che maggiormente attirano le multinazionali (Irlanda, Malta, Cipro, diversi stati Usa ecc) non hanno nessun interesse a sottrarsi delle sicure entrate fiscali. E dunque, sì, a livello internazionali approvano determinate iniziative ma a livello nazionale la strada che intraprendono è l’opposto. Negli ultimi 15 anni, molti paesi hanno infatti introdotto regimi fiscali preferenziali per attrarre determinati gruppi socio economici percepiti come particolarmente propensi a spostarsi. Dal punto di vista del singolo paese, questa strategia può migliorare il livello di riscossione delle imposte e stimolare le attività a livello locale, ma a livello internazionale è un danno:i contribuenti attratti da un paese, che ha introdotto particolari agevolazioni fiscali, riducono la base imponibile dello stesso importo nel paese di provenienza.
Cosa può fare l’Italia
A ottobre il governo Meloni ha approvato in Cdm uno dei primi decreti attuativi della riforma fiscale che conteneva anche l’introduzione in Italia della global minimum tax del 15%.
La nuova imposta per i gruppi multinazionali di imprese,con almeno 750 milioni di fatturato annuo che operano nel nostro Paese, indipendentemente dal fatto che vi abbiano sede o uffici, scatterà dal 1° gennaio 2024. Misura che, secondo la relazione tecnica al decreto attuativo dell’imposta approvato dal Cdm il 16 ottobre, potrebbe garantire un gettito stimato di circa 500 milioni di euro l’anno. Un importo misero, legato al fatto che l’iniziativa di imposta, come ha rilevato Eu tax observatory, è stata molto depotenziata a livello internazionale a causa dell’emergere di un numero sempre maggiore di scappatoie. Allo stato attuale, sottolinea l’osservatorio, la global minimum tax genererebbe solo una frazione del gettito fiscale che ci si potrebbe aspettare sulla base dei principi stabiliti nel 2021: meno del 5% del gettito dell'imposta globale sul reddito delle società, contro un 9% che si sarebbe potuto ottenere con un'aliquota del 15%, senza scappatoie, e oltre il 16% se si fosse decisa una global minimum tax al 20%. E di conseguenza il gettito è rivisto a ribasso anche in tutti i paesi che la vedono applicata, specialmente quelli europei.
Il nostro Paese può fare ben poco. Certo potrebbe pensare di aumentare l’aliquota, allontanandosi di fatto dall’accordo internazionale raggiunto, ma in questo caso c’è il serio rischio che gli altri stati partecipanti si sfilino dal patto. A livello tecnico l’Italia ha effettivamente fatto tutto quello che poteva fare in modo corretto, applicando la norma. Ma non solo. Il nostro Paese sta partecipando al gioco globale dei crediti d'imposta. Si sta infatti cercando di rendere questi rimborsabili, in modo da abbassare l’effettiva tassazione sulle multinazionali, e dunque rendersi più appetibili a livello internazionale. Piccolo dettaglio: anche gli altri stati stanno agendo nello stesso modo. La situazione a livello di tassazione internazionale, per il momento, non sembra che si sbilancierà più di tanto o che cambierà le carte in tavola, in termini di politiche fiscali internazionali e relative entrate nazionali.
Il nostro Paese potrebbe però effettivamente migliorare il suo sistema fiscale nel suo complesso, per rendersi sempre più appeal a livello internazionale. La riforma del fisco rappresenta una grande opportunità in questo senso. Avere regole più chiare e semplici è uno degli elementi che viene valutato quando si cerca di capire in quale paese aprire una sede all’estero. I primi decreti attuativi della riforma fiscale vanno in questo senso, sia per quanto riguarda le imprese che i singoli contribuenti. A questo si aggiunge anche una riduzione della pressione fiscale sul lavoro, con il relativo taglio del cuneo. Misura temporanea, ma che se dovesse diventare strutturale si aggiungerebbe al puzzle fiscale del nostro Paese.
Accanto a ciò gioca un ruolo fondamentale rendere la lotta all’evasione ed elusione fiscale, contro le multinazionali, sempre più efficace. Anche in questo caso la riforma fiscale è fondamentale, dato che grazie ai primi decreti attuativi, si sono dati più strumenti all’Agenzia delle entrate, come l’uso dell’intelligenza artificiale e l’unione delle diverse banche dati, per scovare prima e in modo più efficace gli evasori.
Se dunque a livello internazionale l’Italia può fare ben poco per combattere l'inefficienza della global minimum tax, a livello nazionale si possono portare a termine determinati progetti per cercare di tamponare una normativa lacunosa e poco profittevole a livello di incassi.