2022-02-05
Quanto servirebbe l’urlo di Fantozzi contro le «cagate» del conformismo
Paolo Villaggio in «Fantozzi», 1975
Un nuovo saggio ricolloca il personaggio di Paolo Villaggio nella culla letteraria, prima che filmica. E ne svela il potere dissacratorio.Così lo descrive la Treccani: «Ragionier Ugo Fantozzi, personaggio comico cinematografico creato e impersonato dall’attore Paolo Villaggio. Uomo incapace, goffo e servile, che subisce continui fallimenti e umiliazioni, portato a fare gaffe e a sottomettersi ai potenti». Dell’aggettivo «fantozziano» aggiunge che definisce persona impacciata o servile nei confronti dei superiori. E, riferendosi ad un accadimento, appunto «fantozziano», ricorda che è caratterizzato da aspetti penosi e ridicoli.Nello splendido saggio di Guido Andrea Pautasso e Irene Stucchi Fantozzi, ragionier Ugo. La (ir)resistibile ascesa di un perdente nato, pubblicato da Bietti (304 pagine, 20 euro) il giudizio della Treccani è confermato. Fantozzi è uno sfigato. Un povero disgraziato. Una natura sottomessa. Una maschera imbarazzante. Un perdente nato. Un buffone di corte. Un Ercole deforme. Si potrebbe continuare a lungo, pescando qua e là fra le pagine. È l’autobiografia di una nazione, volendola buttare sulla sociologia spicciola. Oppure, sempre rimanendo in tema, un prodotto tipico aziendale della civiltà moderna. Lo stesso Villaggio ne diede, nel corso del tempo, varie definizioni, tra cui: la risposta italiana alla catastrofe hollywoodiana. Capita spesso di ascoltare qualcuno (appartenente a generazioni differenti) narrare un pezzo, spesso esilarante, di un film di Fantozzi. Fantozzi nell’immaginario comune degli italiani è un personaggio cinematografico. In realtà, sottolinea Pautasso, Fantozzi ha una gestazione di cellulosa, in fasce sotto forma di rivista (L’Europeo) e poi sgambettante come romanzo edito da Rizzoli nel 1971. Diventa un’icona, da adulto, grazie alla celluloide, con Fantozzi (1975), al quale segue rapidamente Il secondo tragico Fantozzi (1976), entrambi diretti da Luciano Salce. Dopo il clamoroso successo editoriale del primo Fantozzi, Villaggio pubblica nel 1974 Il secondo tragico libro di Fantozzi. Nel prolungamento delle tragicomiche vicende dell’Ercole deforme, però, viene narrato un potente, quanto inaspettato, gesto di ribellione. Uno sberleffo che riassume in maniera ineguagliabile l’arte sublime del Villaggio-Fantozzi. Reso mitologico dallo schermo in Il secondo tragico Fantozzi. Ricordiamo la scena. Il povero ragioniere spera di godersi a casa una partita destinata a diventare storica. Il 14 novembre 1973, allo stadio londinese si Wembley, si gioca Inghilterra-Italia. Gli spalti del tempio del calcio sono gremiti all’inverosimile. 100.000 spettatori, di cui 30.000 italiani rumorosissimi. Gli inglesi attaccano a testa bassa. Fa freddo e piove. Il campo è allo loro portata. Sono di una spanna più alti dei loro avversari. L’unico che gli tiene testa è il centravanti Giorgio Chinaglia. Alcuni giornali locali hanno ironizzato sul fatto che l’attacco italiano è guidato da un cameriere gallese. Chinaglia, emigrato in Galles da Massa Carrara con la famiglia, aveva giocato con i gallesi dello Swansea. Partita dura. La difesa azzurra ha eretto un muro impenetrabile. A quattro muniti dalla fine, proprio Chinaglia si impossessa di un pallone innocuo e lo scaraventa diritto in porta. Il portiere commette l’errore di volerlo fermare, ma lo apparecchia per Fabio Capello, che a porta vuota deposita la palla in rete. Per la prima volta l’Italia sbanca Wembley. Fantozzi non può però vedere la partita. È stato convocato, con gli altri dipendenti, a vedere un film. Sconsolato, accompagnato dalla moglie, si avvia alla proiezione. Prima dello spegnimento delle luci il responsabile della programmazione annuncia che la copia prevista non è arrivata. In sostituzione vedranno La corazzata Kotiomkin. La disperazione assale i presenti. Per l’ennesima volta! In sala le voci sull’andamento dell’incontro si rincorrono. Addirittura, pare che l’Italia stia vincendo 20 a 0. Avrebbe segnato anche il portiere Dino Zoff, su calcio d’angolo. Finisce il film. Il professore Guidobaldo Maria Riccardelli, col occhialini e papillon, monta sul palco e domanda se qualcuno vuole intervenire. Silenzio di tomba. Fantozzi alza la mano e chiede di parlare. «Bene. La nostra merdaccia Fantocci» - così lo accoglie il professore - «finalmente ha trovato le parole, chissà quale giudizio estetico avrà maturato in questi anni?». Fantozzi esita. Poi spara: «Per me La corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca!». Seguono 92 minuti di applausi. Scoppia la ribellione. I dipendenti capitanati da Fantozzi sfasciano tutto, malmenano Guidobaldo e solo l’intervento della polizia ristabilisce l’ordine. Come è noto si sta assistendo alla proiezione de La corazzata Potëmkin del regista russo Sergej M. Ejzenstejn. Un capolavoro muto e in bianco e nero del 1925, dedicato alla sommossa popolare, repressa nel sangue dai militari zaristi, nel 1905 a Odessa. Pautasso e Stucchi ricostruiscono esaustivamente le reazioni indignate di vari intellettuali sullo sfregio portato da Villaggio al grande regista, celebratore della rivoluzione bolscevica. Ma Villaggio non intendeva ridicolizzare il film, né il suo autore. Anticipava il grido di rivolta che avrebbe pronunciato, di lì a poco, un anonimo protagonista, nel film di Nanni Moretti Io sono un autarchico (1976). Un ragazzo, alla fine dello sciagurato spettacolo messo in scena in un localino alternativo, è accasciato sulla sedia, sfinito. Forse addirittura sta dormendo. Un attore, essendo l’ultima replica, informa il pubblico che intende fare una verifica, attraverso il dibattito. Il ragazzo si rinviene. Scappa gridando «il dibattito no!». Villaggio, come Moretti, intendeva ribellarsi a quel rito ormai insopportabile, del dibattito seguito al film, tipico del cineforum impegnato. Spesso ci si doveva sorbire, oltre a prolisse e pallose pellicole celebrative, sovietiche, rivoluzionarie, terzomondiste, di stampo cattolico, anche il dibattito. Lasciare la sala era offensivo. Intervenire per dire qualcosa di politicamente corretto (dell’epoca) necessario. Rendere pubblico il proprio giudizio negativo impossibile. Il cineforum social-comunista - non molto diverso da quello clericale - non prevedeva deviazioni. Serviva a celebrare l’ortodossia. Ma il mondo, alla metà degli anni Sessanta del secolo passato, stava cambiando. Paolo Villaggio era il sismografo del cambiamento. Oggi tendiamo a guardare con simpatia la militanza cinematografica seguita dal dibattito. Un po’ come osservare una vecchia foto. Ha avuto effetti benefici (il cinema era l’asse portante della cultura classica), accompagnati spesso da risultati non proprio edificanti. La corazzata non era una cagata pazzesca. La vera rottura di coglioni erano le proiezioni imposte dall’ideologia - comunista, cattolica, sessantottina - e il dibattito che ne seguiva. Il ragionier Ugo Fantozzi, nostro fratello, lanciava il segnale della ribellione. Per questo lo abbiamo amato e, oggi più che mai, in tempi di conformismo, lo amiamo come ieri.
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