True
2018-03-25
I super ricchi in Italia sono 3.150 e comperano case in Liguria e Umbria
Anche i super ricchi, un popolo in prevalenza nordamericano, europeo e asiatico, sono soggetti a cali e incrementi demografici in base all'andamento dei mercati. Per esempio, se negli Usa crescono in Sud America e ai Caraibi diminuiscono. E hanno pure loro grandi paure: temono il populismo.
Tutti dati e considerazioni che potete trovare nel The wealth report di Knight Frank, che come ogni anno fotografa dati e tendenze dei grandi patrimoni, ovvero i singoli che detengono più di 50 milioni di euro di ricchezza oltre alla abitazione principale. Partiamo da un primo dato significativo, ovvero che, a seguito della ripresa economica nel 2017, la crescita dei grandi patrimoni negli ultimi 12 mesi è stata molto forte, sicuramente più che in passato, ben il 10% su base annua. Nei cinque anni precedenti si era fermata al 18% quindi con una media ponderata di poco superiore al 3% su base annua. Il dato di crescita nel 2017 poi rappresenta ovviamente una media e spaccandolo su base geografica si scopre che il popolo di super abbienti è cresciuto percentualmente di più in Russia, del 26%, che in Europa, del 10%, o nel Medioriente, solo del 3%.
Ma come sempre la cura nel raccogliere i dati e le analisi contenute nel report offrono molti spunti e fotografano tendenze interessanti, non solo per i fortunati che appartengono alla categoria, o per coloro che ambiscono a entrarci, ma anche e soprattutto per operatori economici e fornitori di servizi, dalle banche ai family office, passando per gli operatori del mondo dei beni di lusso, da quelli di consumo a quelli da collezione, che sono da una parte interessati e da una parte volano di questo fenomeno. Come dicevamo le super ricchezze sono ancora una espressione geografica con contorni ben definiti ma non più limitata al mondo occidentale. Il podio vede sul gradino più alto il Nord America con oltre 44.000 detentori di superpatrimoni seguiti dall'Asia che con oltre 35.880 membri dell'esclusivo club e che stacca di poche lunghezze la vecchia Europa, arrivata a quota 35.180. E scendendo ancora nel dettaglio si scopre che qui in Italia, con 3.150 membri, doppiamo sia Spagna che Olanda o Svezia, fermi a quota 1.500 circa, quasi pareggiamo con la Svizzera che tocca i 3.750. Ma siamo molto lontani dal Regno Unito, che ne registra oltre 5.000, e dalla Germania, locomotiva d'Europa con oltre 8.000 ricconi. Anche il Giappone vicino a quota 10.000 non se la passa male.
INFOGRAFICA
Purtroppo il report non fornisce ulteriori dettagli sui Paesi, sarebbe stato interessante capire come si distribuiscono su base geografica i detentori di grandi patrimoni in Italia. Quello che più colpisce però sono i grafici e le tendenze che, fotografando lo spazio temporale ricompresi dal 2012 al 2022, ovviamente con i prossimi quattro anni su base statistica, vedrà Stati Uniti e Asia raddoppiare nell'arco di un decennio, mentre altre aree come Russia o Sud America, che sono state colpite dalla crisi più duramente di altre e essendo andate parecchio indietro, si troveranno al punto di partenza. Se i numeri sono importanti ma lo sono ancora di più i flussi, lascia a bocca aperta il dato +722% relativo ai fondi entrati negli Usa dalla Cina, anche Francia e Regno Unito hanno raccolto molti flussi monetari ma sono dati da prendere con cautela o almeno interpretare, perché poi spesso a contare sono più le città che le nazioni. E viene il sospetto quindi che almeno in parte questa attrattività non dipenda dal sistema paese nel suo complesso ma da motivazioni fiscali e anche, tutto sommato, logistiche. Non immaginiamo un super ricco desideroso di stabilirsi a Grenoble piuttosto che a Parigi, per esempio.
Basta scorrere la classifica delle città con New York che domina tutte le categorie, dalla ricchezza complessiva ai patrimoni passando per gli investimenti. per farsi una idea di dove via, lavori e si muova questo popolo ad alta capacità di spesa. Londra segue la Grande Mela a fare la damigella di onore, o forse da contraltare nel Vecchio continente, poi ci sono varie capitali che ti spetti e non ti aspetti: Hong Kong, Singapore, Tokyo a giocarsi i buoni piazzamenti insieme a Chicago, Houston. E l'Europa? Escludendo Londra post Brexit, fanno capolino solo Parigi e in fondo alla classifica Madrid. Italia, non pervenuta. Normale poi che le università top o il lifestyle si allontani da noi e tocchi città come Londra, Melbourne, Dubai o Tel Aviv che attraggono capitali. Londra per la cronaca ha il record mondiale di hotel a 5 stelle, ben 77. Altro angolo di prospettiva quello degli investimenti immobiliari nel settore lusso, ovvero le magioni da super ricchi, qui una interessante classifica relativa alle variazioni intercorse tra dicembre 2016 e dicembre 2017 fotografa risultati e andamenti, non tutti scontati. La migliore performance di crescita si registra in Cina nel Guangzhou con un +27%, seguito da Cape Town al 19,% Amsterdam al 15%. Crescite più modeste, quasi da bond, per mercati vivaci come New York, 4%, piuttosto che Miami, ferma al 2%. In negativo piazze come Dubai, Mosca, Ibiza ma occorre sempre considerare che stiamo parlando solo degli ultimi 12 mesi.
Anche qui ci sono dati sorprendenti per il Belpaese. La Liguria registra una crescita molto elevata, un rotondo +10% per gli immobili di lusso, ma questi numeri sono anche una conseguenza di fortissimi cali negli anni passati. Roma è sostanzialmente stabile, Firenze in leggero territorio negativo mentre l'Umbria cala del 10% in un solo anno, si potrebbe ipotizzare per un minore interesse di chi la vedeva come alternativa a buon mercato per le case di lusso rispetto alla Toscana e forse anche a seguito dei continui terremoti. A proposito, questi grandi patrimoni non determinano una grande crescita di acquisti diretti di aerei privati, mentre aumentano i noleggi, del 10% in Europa solo i voli charter. In crescita invece le imbarcazioni sopra i 40 metri. Tutto perfetto e un mondo ideale? Come sempre ci sono i problemi e le ansie che riguardano tutti. Non sarà una consolazione per chi vive di stipendio, ma rimane un fatto sapere che anche i detentori di grandi patrimoni hanno paura nell'ordine di terrorismo, populismo e cybercrime e poi anche della Nord Corea. Tutto questo riporta con i piedi per terra e fa capire che in effetti sono temi importanti per tutti, ineludibili per chi abita sul pianeta terra, indipendentemente dal reddito o patrimonio.
Investimenti e collezioni di lusso: l'arte cresce più di tutti
LaPresse
Bond, azioni, case. Fin qui i gusti dei milionari sembrerebbero coincidere (in parte) con quelli delle persone normali, ma sarebbe solo una parte del film. Basta scorrere la classifica relativa all'andamento dei beni da collezione di lusso per cambiare idea: arte, monete antiche e auto storiche piuttosto che vini da collezione, diamanti e ceramiche cinesi fanno su e giù nei valori in base a gusti e decisioni di investimento. I l punto è che i detentori di grandi patrimoni esattamente come un piccolo risparmiatore devono pensare cosa fare del proprio gruzzolo, quello che cambia sono gli approcci globali, la propensione al rischio e il più ampio spettro di possibilità. I cosiddetti "luxury collectibles" sono infatti visti anche come un modo per "diversificare" e proteggersi dalle fluttuazioni dei mercati. In generale, scorrendo dati e tabelle del report di Knight Frank, si scopre che a livello di propensione e in senso allargato gli investimenti azionari registrano la più ampia preferenza, seguiti da immobili e dalla buona vecchia liquidità che, strappando un terzo posto, la dice lunga sui tempi incerti che viviamo. Nel dubbio si sta liquidi. Ma se non manca attenzione ai classici beni rifugio come l'oro e un occhio alle criptovalute. sono gli investimenti alternativi compresi in quelli dei beni da collezione di lusso ad essere molto legati a questa tipologia di investitori molto abbienti. E anche qui il report Knight Frank che cura il settore con apposito Luxury Index viene in soccorso facendo la fotografia dell'ultimo anno. L'indice cresce del 7 percento, meno della media degli ultimi 10 anni che ha fatto registrare il 126% complessivo, quasi a testimoniare una fase di stanca anche per questi investimenti alternativi o, più probabilmente, una pausa di riflessione dopo le grandi crescite degli anni passati. Il primo posto in ogni caso va all'arte, che sopravanza il vino,che a sua volta l'anno scorso aveva strappato la leadership alle auto. Le auto storiche che, bene notarlo, pur salendo solo del 2% nel 2017, rimangono leader sui dieci anni con una crescita del 334%. Ma l'arte è in grande recupero dopo anni di stanca, piu 21% negli ultimi 12 mesi grazie anche a fenomeni di grande interesse intorno all'arte moderna e contemporanea e ad un crescente interesse intorno al tema anche in nuovi mercati, vedi gli Emirati Arabi ma anche a forse anche perché, a seguito dei grandi investimenti immobiliari, poi le case devono essere arredate e i ricchi proprietari amano godersi le opere d'arte. Curiosamente la maggiore domanda per vini da collezione è guidata dall'Asia, con i vini francesi al top ma anche italiani e californiani si difendono. Diamanti a crescita zero, mobili e ceramiche cinesi in arretramento non sono stati buoni investimenti ma, come spesso si sente dire dagli esperti del settore, quando i prezzi calano ci sono buone occasioni di ingresso nel mercato. Vale per le auto ma probabilmente anche per gli altri settori, i dati medi sono indicativi ma non dicono tutto. Il mercato è sempre più selettivo come i collezionisti e i gusti si muovono facilmente così magari mentre auto molto antiche fanno fatica a strappare quotazioni record e rimangono invendute, auto relativamente moderne più vicine ai gusti dei nuovi ricchi o delle generazioni più giovani, come la MCLaren F1 degli anni 90 che ha registrato crescite impetuose solo per fare un esempio. Poi ci sono anche all'interno di questa categoria di super abbienti gli investimenti per pochi, come possedere un club sportivo di grido. I dati UBS parlano chiaro e fanno da cartina al tornasole del crescente lievitare dei valori di club e giocatori: 140 tra i top club sportivi del mondo sono posseduti da 109 miliardari, la maggior parte americani ma con i tycoon asiatici in forte crescita. Anche qui una conseguenza del mondo globalizzato, se un tempo un ricco possidente pensava alla squadra di club o sportiva del suo paese, che attirava l'attenzione dei suoi concittadini, oggi con la globalizzazione multimediale i ragazzi possono guardare i top player giocare nei campionati più interessanti e competitivi, e anche le scelte di acquisto seguono il mainstream.
Continua a leggere
Riduci
Per metterli assieme non basta uno stadio come San Siro, i detentori di patrimoni superiori ai 50 milioni sono quasi 130.000 e sono cresciuti del 10% nel 2017. Per un valore complessivo di 26.000 miliardi. Oltre ai numeri ci sono le preferenze di investimento nell'azionario, l'amore per il real estate (in Italia Liguria e Umbria) e per gli spostamenti di valuta tra le nazioni. Per capire come mettono a frutto le proprie ricchezze baste leggere il Luxury Index. Il primo posto va all'arte, che sopravanza il vino,che a sua volta l'anno scorso aveva strappato la leadership alle auto storiche. Queste ultime, pur salendo solo del 2% nel 2017, restano al top per rendimento sui dieci anni con una crescita del 334%. Nell'ultimo anno i russi sono tornati in testa alle classifiche. Anche i super ricchi, un popolo in prevalenza nordamericano, europeo e asiatico, sono soggetti a cali e incrementi demografici in base all'andamento dei mercati. Per esempio, se negli Usa crescono in Sud America e ai Caraibi diminuiscono. E hanno pure loro grandi paure: temono il populismo. Tutti dati e considerazioni che potete trovare nel The wealth report di Knight Frank, che come ogni anno fotografa dati e tendenze dei grandi patrimoni, ovvero i singoli che detengono più di 50 milioni di euro di ricchezza oltre alla abitazione principale. Partiamo da un primo dato significativo, ovvero che, a seguito della ripresa economica nel 2017, la crescita dei grandi patrimoni negli ultimi 12 mesi è stata molto forte, sicuramente più che in passato, ben il 10% su base annua. Nei cinque anni precedenti si era fermata al 18% quindi con una media ponderata di poco superiore al 3% su base annua. Il dato di crescita nel 2017 poi rappresenta ovviamente una media e spaccandolo su base geografica si scopre che il popolo di super abbienti è cresciuto percentualmente di più in Russia, del 26%, che in Europa, del 10%, o nel Medioriente, solo del 3%. Ma come sempre la cura nel raccogliere i dati e le analisi contenute nel report offrono molti spunti e fotografano tendenze interessanti, non solo per i fortunati che appartengono alla categoria, o per coloro che ambiscono a entrarci, ma anche e soprattutto per operatori economici e fornitori di servizi, dalle banche ai family office, passando per gli operatori del mondo dei beni di lusso, da quelli di consumo a quelli da collezione, che sono da una parte interessati e da una parte volano di questo fenomeno. Come dicevamo le super ricchezze sono ancora una espressione geografica con contorni ben definiti ma non più limitata al mondo occidentale. Il podio vede sul gradino più alto il Nord America con oltre 44.000 detentori di superpatrimoni seguiti dall'Asia che con oltre 35.880 membri dell'esclusivo club e che stacca di poche lunghezze la vecchia Europa, arrivata a quota 35.180. E scendendo ancora nel dettaglio si scopre che qui in Italia, con 3.150 membri, doppiamo sia Spagna che Olanda o Svezia, fermi a quota 1.500 circa, quasi pareggiamo con la Svizzera che tocca i 3.750. Ma siamo molto lontani dal Regno Unito, che ne registra oltre 5.000, e dalla Germania, locomotiva d'Europa con oltre 8.000 ricconi. Anche il Giappone vicino a quota 10.000 non se la passa male. INFOGRAFICA!function(e,t,n,s){var i="InfogramEmbeds",o=e.getElementsByTagName(t)[0],d=/^http:/.test(e.location)?"http:":"https:";if(/^\/{2}/.test(s)&&(s=d+s),window[i]&&window[i].initialized)window[i].process&&window[i].process();else if(!e.getElementById(n)){var a=e.createElement(t);a.async=1,a.id=n,a.src=s,o.parentNode.insertBefore(a,o)}}(document,"script","infogram-async","https://e.infogram.com/js/dist/embed-loader-min.js"); Purtroppo il report non fornisce ulteriori dettagli sui Paesi, sarebbe stato interessante capire come si distribuiscono su base geografica i detentori di grandi patrimoni in Italia. Quello che più colpisce però sono i grafici e le tendenze che, fotografando lo spazio temporale ricompresi dal 2012 al 2022, ovviamente con i prossimi quattro anni su base statistica, vedrà Stati Uniti e Asia raddoppiare nell'arco di un decennio, mentre altre aree come Russia o Sud America, che sono state colpite dalla crisi più duramente di altre e essendo andate parecchio indietro, si troveranno al punto di partenza. Se i numeri sono importanti ma lo sono ancora di più i flussi, lascia a bocca aperta il dato +722% relativo ai fondi entrati negli Usa dalla Cina, anche Francia e Regno Unito hanno raccolto molti flussi monetari ma sono dati da prendere con cautela o almeno interpretare, perché poi spesso a contare sono più le città che le nazioni. E viene il sospetto quindi che almeno in parte questa attrattività non dipenda dal sistema paese nel suo complesso ma da motivazioni fiscali e anche, tutto sommato, logistiche. Non immaginiamo un super ricco desideroso di stabilirsi a Grenoble piuttosto che a Parigi, per esempio. Basta scorrere la classifica delle città con New York che domina tutte le categorie, dalla ricchezza complessiva ai patrimoni passando per gli investimenti. per farsi una idea di dove via, lavori e si muova questo popolo ad alta capacità di spesa. Londra segue la Grande Mela a fare la damigella di onore, o forse da contraltare nel Vecchio continente, poi ci sono varie capitali che ti spetti e non ti aspetti: Hong Kong, Singapore, Tokyo a giocarsi i buoni piazzamenti insieme a Chicago, Houston. E l'Europa? Escludendo Londra post Brexit, fanno capolino solo Parigi e in fondo alla classifica Madrid. Italia, non pervenuta. Normale poi che le università top o il lifestyle si allontani da noi e tocchi città come Londra, Melbourne, Dubai o Tel Aviv che attraggono capitali. Londra per la cronaca ha il record mondiale di hotel a 5 stelle, ben 77. Altro angolo di prospettiva quello degli investimenti immobiliari nel settore lusso, ovvero le magioni da super ricchi, qui una interessante classifica relativa alle variazioni intercorse tra dicembre 2016 e dicembre 2017 fotografa risultati e andamenti, non tutti scontati. La migliore performance di crescita si registra in Cina nel Guangzhou con un +27%, seguito da Cape Town al 19,% Amsterdam al 15%. Crescite più modeste, quasi da bond, per mercati vivaci come New York, 4%, piuttosto che Miami, ferma al 2%. In negativo piazze come Dubai, Mosca, Ibiza ma occorre sempre considerare che stiamo parlando solo degli ultimi 12 mesi. Anche qui ci sono dati sorprendenti per il Belpaese. La Liguria registra una crescita molto elevata, un rotondo +10% per gli immobili di lusso, ma questi numeri sono anche una conseguenza di fortissimi cali negli anni passati. Roma è sostanzialmente stabile, Firenze in leggero territorio negativo mentre l'Umbria cala del 10% in un solo anno, si potrebbe ipotizzare per un minore interesse di chi la vedeva come alternativa a buon mercato per le case di lusso rispetto alla Toscana e forse anche a seguito dei continui terremoti. A proposito, questi grandi patrimoni non determinano una grande crescita di acquisti diretti di aerei privati, mentre aumentano i noleggi, del 10% in Europa solo i voli charter. In crescita invece le imbarcazioni sopra i 40 metri. Tutto perfetto e un mondo ideale? Come sempre ci sono i problemi e le ansie che riguardano tutti. Non sarà una consolazione per chi vive di stipendio, ma rimane un fatto sapere che anche i detentori di grandi patrimoni hanno paura nell'ordine di terrorismo, populismo e cybercrime e poi anche della Nord Corea. Tutto questo riporta con i piedi per terra e fa capire che in effetti sono temi importanti per tutti, ineludibili per chi abita sul pianeta terra, indipendentemente dal reddito o patrimonio. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/quanti-sono-e-dove-vivono-i-super-ricchi-del-mondo-2551387973.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="investimenti-e-collezioni-di-lusso-l-arte-cresce-piu-di-tutti" data-post-id="2551387973" data-published-at="1765392275" data-use-pagination="False"> Investimenti e collezioni di lusso: l'arte cresce più di tutti LaPresse Bond, azioni, case. Fin qui i gusti dei milionari sembrerebbero coincidere (in parte) con quelli delle persone normali, ma sarebbe solo una parte del film. Basta scorrere la classifica relativa all'andamento dei beni da collezione di lusso per cambiare idea: arte, monete antiche e auto storiche piuttosto che vini da collezione, diamanti e ceramiche cinesi fanno su e giù nei valori in base a gusti e decisioni di investimento. I l punto è che i detentori di grandi patrimoni esattamente come un piccolo risparmiatore devono pensare cosa fare del proprio gruzzolo, quello che cambia sono gli approcci globali, la propensione al rischio e il più ampio spettro di possibilità. I cosiddetti "luxury collectibles" sono infatti visti anche come un modo per "diversificare" e proteggersi dalle fluttuazioni dei mercati. In generale, scorrendo dati e tabelle del report di Knight Frank, si scopre che a livello di propensione e in senso allargato gli investimenti azionari registrano la più ampia preferenza, seguiti da immobili e dalla buona vecchia liquidità che, strappando un terzo posto, la dice lunga sui tempi incerti che viviamo. Nel dubbio si sta liquidi. Ma se non manca attenzione ai classici beni rifugio come l'oro e un occhio alle criptovalute. sono gli investimenti alternativi compresi in quelli dei beni da collezione di lusso ad essere molto legati a questa tipologia di investitori molto abbienti. E anche qui il report Knight Frank che cura il settore con apposito Luxury Index viene in soccorso facendo la fotografia dell'ultimo anno. L'indice cresce del 7 percento, meno della media degli ultimi 10 anni che ha fatto registrare il 126% complessivo, quasi a testimoniare una fase di stanca anche per questi investimenti alternativi o, più probabilmente, una pausa di riflessione dopo le grandi crescite degli anni passati. Il primo posto in ogni caso va all'arte, che sopravanza il vino,che a sua volta l'anno scorso aveva strappato la leadership alle auto. Le auto storiche che, bene notarlo, pur salendo solo del 2% nel 2017, rimangono leader sui dieci anni con una crescita del 334%. Ma l'arte è in grande recupero dopo anni di stanca, piu 21% negli ultimi 12 mesi grazie anche a fenomeni di grande interesse intorno all'arte moderna e contemporanea e ad un crescente interesse intorno al tema anche in nuovi mercati, vedi gli Emirati Arabi ma anche a forse anche perché, a seguito dei grandi investimenti immobiliari, poi le case devono essere arredate e i ricchi proprietari amano godersi le opere d'arte. Curiosamente la maggiore domanda per vini da collezione è guidata dall'Asia, con i vini francesi al top ma anche italiani e californiani si difendono. Diamanti a crescita zero, mobili e ceramiche cinesi in arretramento non sono stati buoni investimenti ma, come spesso si sente dire dagli esperti del settore, quando i prezzi calano ci sono buone occasioni di ingresso nel mercato. Vale per le auto ma probabilmente anche per gli altri settori, i dati medi sono indicativi ma non dicono tutto. Il mercato è sempre più selettivo come i collezionisti e i gusti si muovono facilmente così magari mentre auto molto antiche fanno fatica a strappare quotazioni record e rimangono invendute, auto relativamente moderne più vicine ai gusti dei nuovi ricchi o delle generazioni più giovani, come la MCLaren F1 degli anni 90 che ha registrato crescite impetuose solo per fare un esempio. Poi ci sono anche all'interno di questa categoria di super abbienti gli investimenti per pochi, come possedere un club sportivo di grido. I dati UBS parlano chiaro e fanno da cartina al tornasole del crescente lievitare dei valori di club e giocatori: 140 tra i top club sportivi del mondo sono posseduti da 109 miliardari, la maggior parte americani ma con i tycoon asiatici in forte crescita. Anche qui una conseguenza del mondo globalizzato, se un tempo un ricco possidente pensava alla squadra di club o sportiva del suo paese, che attirava l'attenzione dei suoi concittadini, oggi con la globalizzazione multimediale i ragazzi possono guardare i top player giocare nei campionati più interessanti e competitivi, e anche le scelte di acquisto seguono il mainstream.
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
Continua a leggere
Riduci
Ecco #DimmiLaVerità del 10 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico analizziamo gli ostacoli che molti leader europei mettono sulla strada della pace in Ucraina.
L’intesa riguarda l’acquisto di un’area di 15.000 metri quadrati dal Consorzio ZAI e prevede un investimento complessivo di circa 20 milioni di euro. Si tratta di un progetto greenfield, cioè realizzato ex novo, che darà vita a un centro di manutenzione pensato fin dall’origine per rispondere alle esigenze della logistica ferroviaria europea e alla crescita del traffico merci su rotaia.
Il nuovo impianto sarà concepito secondo un modello open access, dunque accessibile a locomotive di diversi costruttori. L’hub ospiterà cinque binari dedicati alla manutenzione leggera e un binario riservato al tornio per la riprofilatura delle ruote, consentendo di effettuare test e interventi su locomotive multisistema e in corrente continua, compatibili con i principali sistemi di segnalamento europei. L’obiettivo è garantire elevati livelli di affidabilità e disponibilità operativa dei mezzi attraverso ispezioni programmate e interventi rapidi lungo l’intero ciclo di vita dei veicoli.
La scelta di Verona si lega alla centralità del corridoio Verona–Brennero, infrastruttura destinata a un deciso aumento della capacità ferroviaria con l’apertura della Galleria di Base del Brennero, prevista per il 2032. Il nuovo hub si inserirà inoltre in una rete già consolidata, integrandosi con il Rail Service Center di Siemens Mobility a Novara, operativo dal 2015 sul corridoio TEN-T Reno-Alpi e oggi punto di riferimento per la manutenzione di oltre 120 locomotive di operatori europei.
«Questo investimento rappresenta un ulteriore passo nel nostro impegno a favore di un trasporto merci sempre più sostenibile», ha dichiarato Pierfrancesco De Rossi, Ceo di Siemens Mobility in Italia. Secondo De Rossi, il nuovo hub di Verona è «una scelta strategica che conferma la fiducia di Siemens Mobility nel Paese e nel suo ruolo centrale nello sviluppo del settore», con l’obiettivo di rafforzare la posizione dell’Italia nella rete logistica europea e sostenere il passaggio verso modalità di trasporto meno impattanti.
Il progetto nasce dall’integrazione delle competenze delle due aziende. Siemens Mobility porterà a Verona l’esperienza maturata nella manutenzione delle locomotive dedicate al trasporto merci, mentre RAILPOOL contribuirà con il know-how sviluppato a livello europeo, facendo leva su sei officine di proprietà e su una rete di supporto che può contare su oltre 4.500 parti di ricambio disponibili a magazzino.
«Con il nuovo centro di manutenzione di Verona ampliamo il nostro potenziale manutentivo in una delle aree logistiche più strategiche d’Europa», ha spiegato Alberto Lacchini, General Manager di RAILPOOL Italia. Si tratta, ha aggiunto, di un investimento che riflette «un impegno di lungo periodo nel fornire soluzioni di leasing affidabili e complete», in grado di rispondere a esigenze operative in continua evoluzione.
La collaborazione tra Siemens Mobility e RAILPOOL si inserisce in un percorso avviato nel 2024, quando le due società hanno sottoscritto un accordo quadro per la fornitura a RAILPOOL di circa 250 locomotive, incluse le varianti multisistema Vectron oggi operative in 16 Paesi lungo i principali corridoi ferroviari europei.
Sul valore dell’investimento è intervenuta anche Barbara Cimmino, vice presidente di Confindustria per l’Export e l’Attrazione degli Investimenti e presidente dell’Advisory Board Investitori Esteri. «L’investimento di Siemens Mobility in Veneto è un segnale significativo per la competitività italiana», ha affermato, sottolineando come il progetto confermi la centralità del Paese nella logistica ferroviaria europea e nei processi di transizione sostenibile. Un’iniziativa che, secondo Cimmino, evidenzia il contributo degli investitori internazionali nel rafforzare le filiere strategiche e la capacità dell’Italia di offrire ecosistemi solidi e competenze tecniche avanzate.
Per Siemens Mobility, la manutenzione delle locomotive resta una delle attività centrali anche in Italia, all’interno di una rete globale che comprende oltre 100 sedi in più di 30 Paesi e circa 7.000 specialisti. L’apertura del nuovo hub di Verona consolida questo presidio e rafforza il ruolo del Paese come snodo industriale e logistico in una fase di forte crescita del trasporto merci su ferro.
Continua a leggere
Riduci