2024-09-14
Putin vuol tagliare l’export di uranio
La mossa, in risposta alle sanzioni, manderebbe in crisi le centrali nucleari occidentali e favorirebbe il Dragone, pronto a triplicare la produzione di energia atomica.Vladimir Putin minaccia di limitare l’export di uranio in risposta alle sanzioni occidentali. Sfruttando la trasmissione in tv di una riunione del suo governo, mercoledì Putin ha chiesto al suo primo ministro, Mikhail Mishustin, di verificare la possibilità di restrizioni sulle esportazioni di alcuni beni come uranio, titanio, nichel. Il capo del Cremlino ha fatto riferimento anche ad altre materie prime, senza specificare quali. «Non dico che questo debba essere fatto domani, ma potremmo considerare alcuni limiti all’approvvigionamento del mercato estero. Dobbiamo però garantire che queste misure non ci danneggino» ha detto Putin.La trovata della diffusione televisiva della riunione del governo sembra avviare una nuova fase della guerra commerciale in corso sulle materie prime. L’elenco dei materiali russi sanzionati dall’Occidente è lungo: embargo sul petrolio greggio e sui prodotti raffinati, price cap sul petrolio trasportato via nave, sanzioni sui progetti Lng russi nell’artico, divieto di importazione di alluminio e rame negli Usa, divieto di deposito degli stessi metalli nei mercati regolamentati di Usa e Gran Bretagna, sino alla decisione europea di fare a meno del gas russo. Cosa, quest’ultima, che non sta riuscendo particolarmente bene, visto che nel primo semestre di quest’anno l’Europa ha importato ancora oltre 26 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia, tra gasdotti e Lng. Riguardo all’uranio, negli Usa esiste un divieto di importazione dalla Russia del materiale non irradiato, sino al 2040, salvo alcune deroghe possibili sino al 2028. Il bando è stato stabilito da Joe Biden nel maggio di quest’anno.Ora Mosca sembra intenzionata a rispondere a sua volta con restrizioni all’export di materie prime di cui l’Occidente ha molto bisogno per i suoi piani sulla transizione. Restando all’uranio, secondo i dati della World Nuclear Association, la Russia dispone di circa l’8% delle risorse ragionevolmente garantite più le risorse presunte, mentre controlla circa il 46% della capacità di arricchimento.Vi sono altri elementi importanti che emergono dalla riunione del governo russo. Il ministro delle risorse naturali e dell’ambiente, Alexander Kozlov, ha osservato durante la riunione trasmessa in tv che solo il 35%-45% dell’oriente russo e della Siberia sono stati mappati geologicamente e che occorre aumentare l’esplorazione per sette materie prime: uranio, alluminio, cromo, fluorite, manganese, titanio e tungsteno. Ha aggiunto poi che la Russia assieme al Sudafrica controlla l’80% della produzione mondiale di platino e palladio, con la Cina l’84% del vanadio.Questo apre a scenari di alleanza tra la Russia e tali Paesi per il controllo di queste materie prime, a cui occorre aggiungere il Kazakistan, molto vicina a Mosca. La repubblica della ex unione sovietica è responsabile, infatti, di ben il 43% della produzione di uranio grezzo. Una saldatura tra i due paesi metterebbe in serissima difficoltà le forniture all’Occidente, mettendo a rischio la produzione di energia nucleare. È ragionevole pensare altresì che eventuali restrizioni all’export verso l’Occidente andrebbero a vantaggio della Cina, che giusto poche settimane fa ha annunciato un corposo piano di sviluppo di nuove centrali nucleari: cinque nuovi progetti per oltre 5.000 MW di potenza, in grado di generare più di 500 miliardi di kilowattora all’anno, pronti entro cinque anni. Delle circa 60 nuove centrali in costruzione nel mondo circa la metà si trova in Cina, con Pechino che vuole triplicare la produzione di energia elettrica da fonte nucleare entro il 2060. Insomma, i nuovi clienti per Rosatom, la compagnia controllata dal Cremlino che si occupa dell’arricchimento dell’uranio, non mancherebbero di certo.I prezzi dell’uranio lo scorso gennaio avevano toccato i 100 dollari alla libbra, livello più alto dal 2007, per poi stabilizzarsi attorno agli 80 dollari.Nonostante il bando già attivo, gli Stati Uniti importano circa il 20% del proprio fabbisogno di uranio arricchito da Rosatom e dalla sua controllata Tenex. Un rapporto del Congresso americano del 2023 sollevava preoccupazioni sull’eccessiva dipendenza dall’estero per l’uranio arricchito: dopo l’incidente di Fukushima «la domanda globale di combustibile nucleare è diminuita e ha indebolito l’estrazione, la conversione e l’arricchimento dell’uranio nazionale, poiché i prezzi di mercato sono crollati. Questo ha eroso l’infrastruttura nucleare nazionale degli Stati Uniti e ha creato vulnerabilità alle interruzioni dell’approvvigionamento e dipendenza dall’uranio russo a basso costo».La Francia può contare sullo specialista Orano (ex Areva), che ha in mano circa il 12,5% del mercato mondiale dell’arricchimento, mentre una joint venture tra Gran Bretagna, Germania e Olanda, Urenco, ha il 30% circa del mercato. Ma in generale, la strategia europea sulle materie prime resta debole: incredibilmente, l’uranio non è nemmeno nell’elenco delle materie prime considerate da Bruxelles critiche per la transizione.
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