2018-07-21
Pur di inchiodare Trump sul Russiagate, Mueller grazia gli amici della Clinton
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Il procuratore speciale avrebbe offerto l'immunità a Tony Podesta, fratello del capo della campagna elettorale di Hillary, in cambio della testimonianza contro Paul Manafort, presunto collegamento tra The Donald e Vladimir Putin. I due lavorarono assieme come lobbisti in Ucraina: peccato che gli investigatori non si curino degli affari opachi degli uomini vicino alla democratica. L'unico obiettivo è il presidente.Che sull'inchiesta Russiagate aleggino sospetti di partigianeria politica, non è certo un mistero. E, negli ultimi giorni, i segnali che vanno in questa direzione sembrerebbero ulteriormente rafforzarsi. Secondo Tucker Carlson, giornalista di Fox News, il procuratore speciale Robert Mueller avrebbe offerto a Tony Podesta, il fratello di quel John Podesta che nel 2016 è stato il capo del comitato elettorale della candidata democratica, Hillary Clinton, l'immunità in cambio di una testimonianza contro il principale indiziato nell'inchiesta, Paul Manafort. Detta così, non sembrerebbe di per sé una notizia troppo eclatante. Eppure, a ben vedere, qualcosa di strano forse effettivamente c'è. Da quando sono iniziate le indagini sulla presunta collusione tra il comitato elettorale dell'attuale presidente americano Donald Trump e il Cremlino, Manafort è finito subito nell'occhio del ciclone. Manager della campagna elettorale del miliardario durante la prima metà del 2016, è stato subito additato dagli inquirenti come probabile trait-d'union con Mosca, visto il suo passato come lobbista in sostegno dell'allora presidente ucraino filo-russo Viktor Janukovyč. In poco più di un anno, Mueller ha accusato Manafort di numerosi e gravi reati (soprattutto riciclaggio di denaro). Il punto, tuttavia, è che non solo questi misfatti risalirebbero a ben prima del 2016 ma le prove di un coinvolgimento del comitato di Trump nelle presunte trame del Cremlino non sono di fatto ancora emerse. Tanto che, lo stesso New York Times sostenne a ottobre che la strategia del procuratore speciale sarebbe quella di spingere Manafort a collaborare sul Russiagate, mettendolo sotto pressione attraverso capi d'imputazione del tutto estranei. L'impianto accusatorio, insomma, ha l'obiettivo di usare Manafort per provare un'intesa segreta tra Trump e il presidente russo Vladimir Putin. Peccato che questo teorema lasci fuori un elemento non esattamente di poco conto: Tony Podesta. Non bisogna infatti dimenticare che, quando Manafort faceva il lobbista in Ucraina, con lui collaborava proprio Tony Podesta. Entrambi operavano infatti all'interno dello European centre for a modern Ukraine, un think tank con sede a Bruxelles che era vicinissimo a Janukovyč. Grazie a questa organizzazione, tra il 2012 e il 2014, la società di Tony, il Podesta group, guadagnò circa un milione di dollari.Del resto, gli strettissimi legami tra il gruppo e Mosca non sono certo una cosa nuova. Anzi, i problemi della società nacquero addirittura prima dell'inchiesta Russiagate. Nell'estete del 2016, la banca Suntrust interruppe i legami con il Podesta group, dal momento che quest' ultimo aveva lavorato a favore di una filiale statunitense di una banca russa colpita dalle sanzioni americane: Sberbank. Un istituto, legato al Cremlino, che avrebbe versato al gruppo circa 170.000 dollari nel corso di sei mesi, per fare lobbying contro le sanzioni economiche, comminate alla Russia dall'amministrazione di Barack Obama in seguito all'annessione della Crimea nel 2014. Ma non è tutto. Il gruppo risulterebbe infatti anche coinvolto nell'affare Uranium one. Tra il 2010 e il 2013, Hillary Clinton, all'epoca segretario di Stato, diede il suo assenso per cedere l'azienda canadese Uranium one (strategica per gli Stati Uniti) alla società russa Rosatom (controllata dal Cremlino). Magicamente, in quel periodo, sarebbero iniziate ad affluire donazioni alla fondazione privata della famiglia Clinton (la controversa Clinton foundation) e - sempre nello stesso periodo - il Podesta group avrebbe ricevuto circa 180.000 dollari per attività di lobbying svolte nello stesso affare. Alla luce di tutto questo, si capisce allora come, seppure indirettamente, il gruppo abbia subito ripercussioni negative dagli strascichi dell'inchiesta di Mueller. Tanto che, alla fine dell'anno scorso, si è trovato costretto a chiudere i battenti. Tutto ciò mostra come la retorica un po' semplicistica del Trump filorusso e della Hillary acerrima nemica di Putin non risulti forse eccessivamente fondata. Anche perché non si comprende per quale ragione il sospetto di collusione con la Russia debba valere per Manafort e non per Podesta, visto che, se vogliamo parlare di legami opachi con Mosca, non è che ci sia poi questa grande diversità tra i due. Ragion per cui, appare abbastanza strano non solo che Mueller abbia lasciato di fatto fuori Podesta dalla sua inchiesta ma soprattutto che sembrerebbe voglia usarlo come testimone per colpire Manafort. Un comportamento oggettivamente balzano che si presta a sospetti di doppiopesismo politico. Non si capisce per quale ragione l'inchiesta Russiagate continui infatti a occuparsi esclusivamente di Trump, senza invece estendersi magari ad alcuni settori del Partito democratico. Soprattutto al suo establishment: il vero nucleo di un potere clintoniano che, a dispetto della batosta elettorale del 2016, è ancora vivo e vegeto.
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