2022-07-20
«Pubblico un diario che è una prova: il metodo De Donno salva ancora vite»
Il collega del medico scomparso Massimo Franchini: «Il plasma iperimmune, se dato precocemente ai fragili, riduce i decessi. Giuseppe è stato un eroe».Alle 22.30 del 1° aprile 2020, in uno scenario da incubo che sgomentava gli italiani, chiusi in casa causa lockdown, gli occhi del dottor Giuseppe De Donno brillavano. In quel momento telefonò al direttore del servizio di immunoematologia e medicina trasfusionale, Massimo Franchini, comunicandogli l’atteso riscontro. La signora Maria Rosa, una paziente di 71 anni ricoverata in terapia intensiva al Carlo Poma di Mantova con polmonite bilaterale da Covid 19 e grave insufficienza respiratoria, alla quale, alle 14.30, era stato trasfuso sangue iperimmune ricco di anticorpi proveniente da donatore guarito dal virus, stava decisamente meglio, e il giorno successivo sarebbe uscita dalla rianimazione.Era stato proprio il dottor Franchini, dopo aver letto, il 29 febbraio, un articolo su Lancet Infectious Diseases nel quale s’ipotizzava il ricorso alla plasmaterapia per pazienti Covid, evocandone i positivi riscontri nella cura di altri virus come Ebola, Sars e Mers, a proporre a De Donno, primario di pneumologia, il ricorso a questo metodo, che sperimentò subito. Non sempre la terapia trasfusionale servì. Ma a decine di pazienti, talvolta in condizioni critiche, se non disperate, fu salvata la vita. Una delle storie più incredibili fu quella di Pamela, 28 anni, mantovana, alla 24ª settimana di gravidanza, colpita gravemente dal Covid, alle soglie di un’intubazione con ventilazione artificiale, che sarebbe stata fatale per la creatura in grembo. La gestante aveva un pensiero fisso e pregava: «Signore, salva almeno il bambino». De Donno decise di trasfonderla prima con una, e poi con una seconda sacca di sangue immune. L’intubazione fu evitata, la paziente migliorò e guarì. Il 25 luglio 2020 nacque Beatrice, secondo nome Vittoria, 3 chili e 200 grammi. A Giuseppe De Donno gli occhi luccicarono ancora. «Benvenuta tesoro mio», scrisse in un post su Facebook. «Benvenuta Beatrice Vittoria. Una vittoria per tutti». Nell’agghiacciante primavera del 2020, quel medico emotivo, dall’eloquio accorato e pragmatico, così diverso da quello di tante viro-star, commosse i cittadini, infondendo speranza. Il 5 maggio 2020, dopo una discussione a Porta a porta con il direttore dello Spallanzani, scomparve dal collegamento ma, il 14 maggio, la Commissione Sanità del Senato lo invitò a illustrare i suoi risultati. Roberto Burioni sollevò dubbi sul suo metodo e lui rispose, «da piccolo pneumologo di periferia»: «Vedo che si sta già arrovellando per trasformare una donazione democratica e gratuita in una “cosa” sintetizzata da una casa farmaceutica».Nell’autunno 2020, gli occhi del dottor De Donno avevano perso luce. Si tolse la vita il 27 luglio 2021, a 54 anni, impiccandosi nella sua abitazione. La Procura di Mantova aprì un fascicolo con ipotesi di «istigazione al suicidio». Massimo Franchini, 55 anni, originario di Legnago (Verona), a tutt’oggi primario di immunoematologia a Mantova, il più stretto collaboratore di De Donno, ha ricostruito la vicenda in un libro in uscita da Graus Edizioni, Giallo plasma (130 pagine., 15 euro). I proventi delle vendite andranno a beneficio dei due figli di Giuseppe e Laura De Donno. Perché ha deciso di scrivere questo libro?«Durante la prima ondata dell’epidemia la direzione sanitaria mi chiese di annotare in un diario il succedersi degli avvenimenti. L’ho tenuto in un cassetto e non intendevo pubblicarlo. Poi l’ho fatto leggere a colleghi e amici che mi hanno consigliato di farlo, trasformandolo in un libro. Giuseppe è stato un eroe della lotta al Covid».Come lo ricorda, come medico e come uomo?«I miei ricordi più forti sono del periodo febbraio-luglio 2020, perché poi si allontanò. Sono stato conquistato dalla sua grande umanità, dalla sua totale dedizione ai pazienti. Per essere sempre vicino a loro, ha vissuto per oltre 3 mesi nel reparto, dormendo poche ore in una poltrona. Giuseppe ha sconvolto la mia vita professionale e umana facendomi riscoprire l’amore per il paziente e per la sua cura».Nella primavera del 2020, il sistema sanitario italiano si trovò disarmato nel contrasto al virus… «Non c’era nessuna terapia disponibile e il plasma costituiva l’unico rimedio antivirale specifico. Dall’esperienza di Mantova con Pavia, l’utilizzo del plasma iperimmune è stato conosciuto in Italia e nel mondo parallelamente alla diffusione dell’epidemia. Negli Usa, Anthony Fauci ha inserito la terapia nel protocollo dell’Fda (Food and drug administration, ndr) ».Su quanti pazienti affetti da Covid, fino ad oggi, questa terapia è stata utilizzata a Mantova e con quale percentuale di guarigioni?«Ad oggi sono stati trattati oltre 400 pazienti, con una mortalità di circa il 12%, la metà di quella mediamente riportata a livello ospedaliero. Insomma, abbiamo salvato molte vite. I risultati sono stati pubblicati a marzo 2022 in un articolo su Life firmato da 80 professionisti dell’ospedale Poma».Tuttavia The New British Journal of Medicine e The Lancet scrissero che l’utilizzo del plasma iperimmune non sortiva effetti nella riduzione della mortalità, l’esatto contrario di ciò che De Donno dimostrò con i fatti…«Le letteratura sulla plasmaterapia è alquanto controversa. A Mantova abbiamo dimostrato che il plasma iperimmune con alto titolo di anticorpi neutralizzanti anti-Covid 19, se si somministra precocemente, entro 5 giorni dalla comparsa dei sintomi in pazienti ad alto rischio, è in grado di bloccare la progressione della malattia in un’alta percentuale di casi, evitando così l’intubazione e il ricovero in rianimazione con conseguenze spesso fatali». Quali sono i pazienti ad alto rischio?«Sono i pazienti immunodepressi che spesso non sono in grado di produrre anticorpi al virus, nemmeno attraverso i vaccini. In Italia sono circa 500.000. Fino alla primavera del 2021, quando sono stati resi disponibili i farmaci monoclonali e i vaccini, la plasmaterapia è stata l’unico strumento per non lasciar morire i pazienti».Oggi la terapia con i farmaci monoclonali funziona? «Attualmente, dato che il virus continua a mutare, spesso i monoclonali non sono efficaci perché contengono anticorpi relativi a precedenti varianti. Su Omicron, pertanto, non possono agire e quindi, in casi gravi, è opportuno ricorrere al plasma iperimmune, perché è l’unica terapia in grado di seguire le mutazioni del virus». A Mantova la utilizzate ancora?«A Mantova la utilizziamo e ciò può accadere anche in altri ospedali. La Regione Toscana ha formalizzato un protocollo dedicato per questa terapia e auspichiamo che lo facciano anche altre le altre regioni. È però un peccato che essa sia stata abbandonata da gran parte degli ospedali italiani e se la maggior parte degli studi non ne hanno dimostrato l’efficacia è perché sono stati fatti su un target di pazienti a uno stadio troppo avanzato della malattia». Nel suo libro ricorda 15 storie di pazienti rocambolescamente salvati dal dottor De Donno…«Sì, come quella di Domenico, 59 anni, di Napoli, colpito da Covid nel novembre 2020, contagiato dal figlio. Con una grave insufficienza respiratoria, e ricevuta la notizia del metodo De Donno dal suo medico di base, che aveva lavorato a Pegognaga, il figlio lo caricò in macchina attaccato a una bombola d’ossigeno che, nei 700 chilometri del tragitto, si esaurì. Il paziente giunse a Mantova quasi morente. Giuseppe gli fece subito trasfondere due sacche di sangue iper-immune e dopo 10 giorni di lotta tra la vita e la morte, Domenico guarì».Scrive poi che, in un caso, intervenne direttamente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella…«Un’altra vicenda incredibile. Luigi, 54 anni, della provincia di Bergamo. Si ammala di Covid il 21 marzo 2020. Viene ricoverato al Giovanni 23° di Bergamo con polmonite bilaterale interstiziale. Il 29 marzo la ventilazione meccanica non dà più effetti, ha un arresto cardiaco ed è in coma farmacologico. Lo portano a Pieve di Coriano (Mantova) perché non ci sono più posti. La moglie, disperata, scrive a Mattarella, che la fa chiamare dalla sua segreteria dicendo di interessarsi, e a noi a Mantova. Il 10 e l’11 aprile, al Poma, è sottoposto a due trasfusioni di plasma. Dopo 17 giorni di coma si risveglia, proprio nel giorno di Pasqua. Lo dissi in chiesa, a Verona, a padre Fausto, per rincuorarlo mentre stava piangendo. Dopo 54 giorni di degenza, Luigi fu dimesso e poté riabbracciare la moglie».S’intuisce che lei è credente. Anche De Donno lo era. In un video ringraziava il vescovo di Mantova, «i miei parroci e don Sandro». Ci si chiede perché nemmeno la fede abbia potuto confortarlo.«Giuseppe era religioso. E devoto di padre Pio, essendo di origini pugliesi. Per questa domanda non ho spiegazioni ultime. Se non ciò che ho sempre pensato».Ossia?«La mia idea è che la sua iper-esposizione mediatica e alcune critiche del mondo scientifico gli abbiano causato molta ansia. Diceva che le polemiche non lo toccavano ma mi accorgevo che poi ci rimaneva male. Lui voleva solo la verità e non abbassare mai la testa. Voleva solo salvare vite il più possibile. La sua pagina Facebook fu presa di mira da sciacalli. Mi stupiva la sua capacità di sopportazione, ma dall’autunno 2020, quando iniziò la seconda ondata, lo vedevo sempre più stanco e silenzioso. Andammo a pranzo qualche volta, nel 2021, e mi disse che voleva andare a fare il medico di medicina generale. Gli obiettai che l’ospedale aveva bisogno di lui».Le manca il dottor De Donno?«Sì, mi manca moltissimo. Non so cosa darei per vederlo entrare ancora nel mio studio e andare a prendere un caffè insieme».
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