2020-11-03
Proietti si congeda con l’ultima mandrakata
L'attore è morto a seguito di una crisi cardiaca nel giorno dell'ottantesimo compleanno. Portabandiera della romanità, era amato in tutto il Paese grazie a un'infinità di registri: grandioso a teatro, divertentissimo al cinema e rassicurante come carabiniere in tv. Il primo giorno della sua immortalità. The last urrah (giocando sul triplo senso: il nome di un famoso purosangue da corsa, il film cult Febbre da cavallo e la traduzione «l'ultimo evviva»). La sua «mandrakata» più grande. L'ennesimo colpo di teatro. Sono tante le definizioni piovute sull'amarcord di Gigi Proietti, spentosi ieri nello stesso giorno in cui è nato, il 2 novembre, al traguardo degli 80 anni, dopo oltre 50 di onorata carriera.«Come William Shakespeare» ha azzardato qualcuno, volendo celebrare Proietti anche come direttore del Globe Theatre di Roma, il teatro elisabettiano dove ha fatto mettere in scena i capolavori del drammaturgo (di tale «coincidenza» avrebbe riso Proietti per primo, ben lui sapendo come il Bardo risulti sì nato e morto il 23 aprile, ma con datazioni entrambe incerte).«È morto di Covid?», è stata la domanda segno dei tempi.No, gli è stato fatale un nuovo attacco di cuore. Di botto, il rito del cordoglio collettivo via social ha accantonato la memoria di Sean Connery. Quando due celebrità se ve vanno quasi in contemporanea, è norma che quella universalmente più famosa «oscuri» l'altra.È successo nel settembre 2007 con Gigi Sabani e Luciano Pavarotti, nel giugno 2009 con l'attrice Farrah Fawcett (una delle Charlie's Angels televisive) e Michael Jackson. In questo caso non poteva accadere: dentro i confini italici, tra l'icona James Bond e il mito nazionalpopolare Mandrake non ci poteva essere partita. Perché Proietti era sì orgogliosamente romano, ma stimato e amato dalla val d'Aosta alla Calabria, isole comprese. E se Alberto Sordi, altro figlio della Lupa, si era imposto in maniera magistrale come l'arci-italiano, ma a ben guardare «solo» al cinema, Proietti (che un po' si crucciava di non aver avuto maggiore successo sul grande schermo) era artista più versatile e poliedrico, un mattatore: attore sofisticato di teatro, comico, cabarettista, regista, conduttore televisivo, cantante, doppiatore, insegnante che nel suo «Laboratorio di esercitazioni sceniche» ha tenuto a battesimo un bel po' di «saranno famosi». Uno per tutti: Enrico Brignano, che con chiunque ieri gli parlasse del Maestro non riusciva a trattenere le lacrime: «Sento un gran dolore dentro, ma so che è stato un privilegio starti vicino e devo farmelo bastare come consolazione» ha scritto su Instagram.Ma il senso di smarrimento per la dipartita di chi ci aveva regalato sì grandi interpretazioni, ma soprattutto crasse risate - «senza mai comportarsi da divo», così l'attore Tullio Solenghi - non è riassunto solo nelle parole dello sceneggiatore e regista Enrico Vanzina («Sono distrutto, per me se n'è andato uno di famiglia, il più grande amico insieme a Carlo Verdone»), ma autorevolmente interpretato dal capo dello Stato Sergio Mattarella, che ha inteso omaggiare la «grande cultura e l'eccezionale capacità espressiva dell'erede di Ettore Petrolini». Cogliendone il tratto peculiare: «La simpatia travolgente e la bonomìa naturale, che ne hanno fatto il beniamino del pubblico di ogni età».Vanzina lo ha paragonato ai campioni dell'ippica: «Un fuoriclasse come Varenne, Ribot», senza dimenticare il già citato The last urrah, e non poteva essere altrimenti, visto che Proietti rimarrà nella storia del cinema (nonostante le sue riserve) per il personaggio di Mandrake nel film Febbre di Cavallo - regia di Steno, Stefano Vanzina, padre di Enrico e del fratello Carlo - un imbroglione sempre pronto a mettere a segno la mandrakata, espressione entrata nella Treccani, la trovata ingegnosa con cui ribaltare una situazione complicata.Quando accettò il mio invito a venire ospite in tv, sottolineando come la circostanza fosse una rarità, il complimento mi spiazzò, al che per uscire dall'imbarazzo lo provocai: «Ma se ci sta sempre: le puntate del Maresciallo Rocca non si contano più». Lui replicò a tono: «Te credo, a ogni ora del giorno e della notte la Rai manda in onda una replica». Vero: la serie ha avuto solo 30 puntate in cinque stagioni, con record di ascolti macinati a gogo, fino ai 15.585.000 telespettatori e il 50,27% di share, ma un numero imprecisato di riproposizioni.In un ambiente competitivo, tracimante di primedonne, Proietti ha sempre brillato per il suo chiamarsi fuori da ogni polemica. Tranne una volta: quando si ritrovò «scippato», sostituito alla direzione artistica di un noto teatro romano da Maurizio Costanzo, e allora vestì i panni del Cavaliere Nero di un suo famoso sketch («Ar Cavaliere Nero nun je devi caga' er ca...»): «È chiaro che io non mi metto a lavorare sotto la direzione artistica di Costanzo, me faccio frate, prima!» tuonò, definendo Costanzo «un nemico in senso metaforico (ma neanche tanto metaforico)». Nell'intervista in tv di cui sopra, provai a fargli sotterrare l'ascia di guerra, e lui concesse di averlo «perdonato». Ma ribadì che era stato il modo a ferirlo di più, secondo quella prassi orrenda di far apprendere per vie oblique una notizia all'interessato: «La novità l'ho appresa dai giornali». Mattarella l'ha definito «intellettuale lucido e appassionato». Con radici a sinistra. Ma infine, come tanti, Proietti aveva maturato un sereno disincanto per il teatrino della politica, che gli faceva ripetere con il Gloucester del Re Lear: «È un malanno dei tempi che i matti debbano guidare i ciechi». Un rigetto che ricomprendeva i talk show, «li guardo per qualche minuto come fossero un acquario. Contemplo Maurizio Gasparri e mi dico: vediamo dove va a parare per giustificare il suo presenzialismo, chissà che c'avrà da dì stavolta. Vale per lui come per tutti gli altri, la solita compagnia di giro». Alla sinistra non le mandava certo a dire: «Io ho ho campato di teatro popolare. Che non è una definizione spregiativa. Certo, quando Massimo D'Alema venne in camerino dopo un mio spettacolo, commentando: “Ho visto quanto il popolo l'apprezzi", riferito al pubblico del teatro Sistina, espressione della borghesia commerciante romana, non certo quindi quello dei “teatri di cintura" nelle periferie, ho realizzato che a sinistra forse c'era un problemino di messa a fuoco».E giù una stilettata anche al ministro della Cultura Dario Franceschini: «Hanno cambiato il logo di Roma Capitale: via la Lupa, via Spqr, perché faceva più fine dire Rome & you. Mi pareva una follia, e l'ho detto. Franceschini non avrebbe gradito perché l'idea pare fosse della moglie (Michela De Biase, all'epoca consigliere comunale, ora regionale del Pd, ndr). Franceschini del resto ha fatto rappresentare al Colosseo la Medea del romano Seneca dall'Istituto del Dramma antico di Siracusa per 300 persone, assicurando che però avrebbero fatto delle copie video da mandare in giro per il mondo. Immagino l'attesa spasmodica in Guatemala e Lettonia».Proietti era anche questo: un signore che diceva la sua, ma con stile e garbo, riuscendo a far apparire elegante perfino la parodia della hit francese Ne me quitte pas trasformata in Nun me rompe er ca...Mi piace pensarlo come il più degno degli epitaffi.
Ecco #DimmiLaVerità dell'11 settembre 2025. Il deputato di Azione Ettore Rosato ci parla della dine del bipolarismo italiano e del destino del centrosinistra. Per lui, «il leader è Conte, non la Schlein».