2023-07-13
Pure i progressisti contro il salario minimo
Su «Repubblica», Tito Boeri e Roberto Perotti spiegano che la proposta del Pd per fissare l’asticella a 9 euro l’ora porterebbe a un abbassamento degli stipendi. Non solo: fra i rischi anche il licenziamento dei lavoratori vulnerabili, come colf e badanti, e l’aumento del sommerso. Chi se lo sarebbe mai aspettato? L’icona della sinistra che demolisce la riforma della sinistra su cui la nuova segretaria del Pd ha giocato tutte le sue carte per costruire un’alleanza con i 5 stelle. Eppure, ad annientare la proposta di salario minimo avanzata dai compagni è proprio il compagno Tito Boeri, docente di economia del lavoro all’Università Bocconi ed ex presidente dell’Inps nominato da Matteo Renzi. Imbracciata la penna insieme al suo socio di studi, il professor Roberto Perotti, altro bocconiano doc, Boeri ha spiegato ieri sulla prima pagina di Repubblica che, se la legge suggerita dal Partito democratico fosse introdotta così come è stata immaginata, i lavoratori percepirebbero un salario che molto probabilmente sarebbe inferiore a quello che oggi incassano i dipendenti con contratti a tempo indeterminato. In pratica, la coppia di docenti ha bocciato senza appello l’idea di uno stipendio universale (cioè, valevole per tutti) fissato a un minimo di 9 euro lordi l’ora, «media fra il 50% del salario medio e il 60% del salario mediano». Boeri e Perotti in stereofonia hanno impartito una lezione a Elly Schlein e compagni, chiarendo un concetto che a tutti noi che ci occupiamo da tempo di questi argomenti era chiaro da anni, pur senza essere né giuslavoristi né sindacalisti. Infatti, se per legge fissi uno stipendio base, la cifra non può essere troppo bassa perché altrimenti tutte le aziende adegueranno i salari al ribasso. Ma se la alzi troppo, invece di migliorare le condizioni economiche dei lavoratori rischi di metterli fuori mercato, trasformandoli rapidamente in disoccupati oppure in dipendenti retribuiti in nero. Non serve una laurea in economia del lavoro (e neanche un posto in Cgil o in Parlamento) per capirlo. Se abbassi l’asticella al minimo, spingi le imprese a rispettare il livello più basso e dunque a ignorare contratti di lavoro che oggi riconoscono condizioni di miglior favore. Se per legge devo pagare una retribuzione lorda di 7 euro e mezzo (questo il risultato se si adotta il metodo del 50 per cento del salario mediano) invece di aumentare gli stipendi si finisce per abbassarli. E se per caso invece si fa il contrario, portando la retribuzione più su, soprattutto nei settori che garantiscono compensi più bassi, si potrebbe avere una conseguenza ancor più negativa, ovvero di rendere non più sopportabili i costi per alcune tipologie di datori di lavoro. Infatti, prendete le colf e le badanti, che sono a carico delle famiglie. Se si introducesse un salario minimo di 9 euro, nel caso applicassimo questo dato al numero di ore massimo, una famiglia dovrebbe riconoscere al lavoratore e alla lavoratrice più di 1.700 euro al mese, cui aggiungere però anche i contributi, le ferie, la tredicesima e il trattamento di fine rapporto. E vai con il salasso. Facile dunque immaginare che se oggi le collaboratrici domestiche in regola sono relativamente poche, domani con il salario minimo ce ne saranno ancora meno. Mica male come furbata: invece di migliorare, si peggiora. Il tandem Boeri-Perotti fa capire che applicare ai lavoratori a tempo indeterminato la riforma, così come è stata immaginata dal Pd, sarebbe controproducente. Ma non di meno lo sarebbe anche per coloro i quali hanno assunzioni a tempo determinato e passano da un’occupazione all’altra, oppure alla disoccupazione. Per non parlare poi di chi ha contratti a mezzo servizio. Per costoro il rischio vero è che, usando la formula partorita dagli scienziati del Pd, la retribuzione minima si collochi di poco sopra i 5 euro o, nel migliore dei casi, a 8, ma con dentro anche la tredicesima, le ferie e le ore di malattia. Insomma, con la grande pensata della sinistra si rischia maggior povertà, cioè il contrario di ciò che sbandierano i propagandisti del Partito democratico. La lezione dei due professori, da anni guida della sinistra lib e lab, ricorda anche che nel passato furono Massimo D’Alema e la Cgil a fermare l’idea di un salario minimo, forse perché spaventati dalla perdita di potere contrattuale del sindacato. Dunque, pur essendo in teoria favorevoli all’introduzione di una proposta di legge che fissi dei parametri retributivi, Boeri e Perotti avvisano la politica, ovviamente di sinistra. «Se si vuole che il salario minimo abbia qualche speranza, è fondamentale attenersi a fatti e numeri ben documentati, invece di produrre esercizi avventati e numeri infondati». Secondo i prof, operazioni come quella del Pd rischiano di essere pericolose, perché - scrivono - per procacciare un po’ di popolarità si possono distruggere posti di lavoro di chi oggi è in posizione vulnerabile. Cioè, se fossimo maliziosi titoleremmo: il Pd vuole licenziare migliaia di lavoratori. Anzi, già che ci pensiamo non si tratta di malizia, ma di una verità.